"Marijuana, la medicina proibita": considerazioni sugli usi terapeutici (?)
“Marijuana, la medicina proibita”: considerazioni sugli usi terapeutici (?)
Nei giorni scorsi il Presidente dell'Associazione degli Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica ha lanciato l'allarme: "La riduzione delle risorse finanziarie destinate alla sanità mette a rischio anche il parto indolore, perché già oggi manca un numero adeguato di anestesisti rianimatori per effettuare questo servizio in cui la presenza dell' anestesista deve essere costante durante tutto il parto". Il blocco delle assunzioni infatti penalizzerà ulteriormente questa categoria, ove vi è già una carenza di 1500 unità. Veniamo così a scoprire che solo nel 16% degli ospedali italiani viene assicurato questo servizio, ma non certo per mancata richiesta da parte delle partorienti. Infatti nelle strutture che offrono la partoanalgesia gratuitamente in media il 90% delle donne ne fa richiesta. Eppure, a quanto assicurato dal Ministro Fazio, il parto indolore dovrebbe rientrare nei Livelli Essenziali di Assistenza, così da essere in teoria assicurato a chiunque ne faccia richiesta. Forse è tempo di pensare a come risolvere la quadratura del cerchio, ricorrendo eventualmente anche a tecniche alternative alla peridurale, sempre se le partorienti diano il loro consenso, ricordando che comunque la peridurale è il gold standard, supportato da ampia letteratura.
La medicina etnica occidentale non offre nessun consiglio al riguardo, e ciò è ben comprensibile se si ricorda che fino a non molto tempo fa imperava il precetto biblico di partorire con dolore. Ricordiamo ad esempio la triste storia di Eutame Mac Alyane che fu bruciata viva ad Edimburgo per aver cercato di attenuare i dolori della partoriente Agnes Sampson. Ovvio che di fronte a tale prospettiva vi era ben poco interesse ad affrontare il problema del dolore da parto, sia nel popolo comune che nei medici. Bisogna aspettare l'Ottocento perché si possa discutere scientificamente al riguardo, e i medici occidentali di quel tempo iniziano a sperimentare quanto l'esperienza di altri popoli aveva messo a disposizione. Tra le sostanze in grado di dare sollievo dal dolore viene introdotta in Europa la Cannabis, nota da secoli ai popoli orientali come pianta medicinale. Qualche anno fa fu scoperta ad esempio vicino a Gerusalemme una tomba del Quarto secolo contenente i resti di una ragazza apparentemente morta di parto. Attorno allo scheletro gli archeologi hanno trovato della cenere, che è risultata essere di Cannabis; i ricercatori hanno concluso che la pianta fu bruciata probabilmente per aiutare lo svolgimento del parto. Ma tale utilizzo era noto anche in Africa, come viene ricordato nel rapporto della "Commissione Nixon" del 1972.
La canapa, riconosciuta come valido analgesico, venne quindi utilizzata anche per facilitare il parto: J. Grigor, nel 1852 la sperimentò e in nove casi ottenne poco risultato, mentre in altri sette, comprese primipare lacerate "le contrazioni aumentano notevolmente di forza..(la canapa indiana) è in grado di portare il parto a una felice conclusione in metà del tempo che sarebbe richiesto" (Grigor, J. (1852). Indian hemp as an oxytocic. Monthly Journal of Medical Sciences, 14, 124.)
Ancora nel 1930, un articolo pubblicato sul prestigioso JAMA riferisce che "la sensazione di dolore è chiaramente ridotta o totalmente assente e il senso del tatto è meno acuto del normale. Quindi una partoriente può condurre un parto più o meno indolore. Se è somministrata una dose sufficiente di farmaco la paziente può cadere in un sonno tranquillo dal quale si sveglierà riposata. Da quel che si sa, un bambino nato da una madre intossicata con la Cannabis sarà del tutto normale"( Hoechstetter, S.S. (1930). Effects of alcohol and cannabis during labor. Journal of the American Medical Association,94(15), 1165.)
Purtroppo mancano dati più recenti, se non rapporti aneddotici come quelli pubblicati da L. Grinspoon e JB Bakalar in "Marijuana, la medicina proibita". Per questo motivo risultano interessanti i dati recentemente pubblicati sulla risposta del sistema endocannabinoide durante il parto (The plasma levels of the endocannabinoid, anandamide, increase with the induction of labour. Nallendran V, Lam PM, Marczylo TH, Bankart MJ, Taylor AH, Taylor DJ, Konje JC. BJOG. 2010 Jun;117(7):863-9. Epub 2010 Apr 20). Gli endocannabinoidi sono sostanze prodotte dal nostro organismo e che hanno effetti simili a quelle contenute nella Cannabis. Era già stato dimostrato che il livello di anandamide, così è chiamato l'endocannabinoide, risulta aumentato durante il parto. Ora uno studio longitudinale osservazionale condotto in Gran Bretagna ha dimostrato che l'anandamide, misurata prima dell'induzione del parto e durante il suo svolgimento, aumenta di 1,5 volte quando inizia il processo del parto, e quanto più aumentava la sostanza nel sangue tanto più il parto si svolgeva velocemente. Quindi, concludono gli Autori, gli endocannabinoidi sono coinvolti nel meccanismo fisiologico del parto.
Da qui a proporre i cannabinoidi in questa delicata fase della vita della donna corre parecchia strada, soprattutto in assenza di dati clinici recenti. Ma in fondo non sembri solo provocatorio quanto qui riportato: non si è d'altra parte utilizzato recentemente un derivato della morfina endovena al Careggi di Firenze, suscitando aperta perplessità tanto che la Società Italiana di Anestesia si è così espressa: "la comunità scientifica internazionale e quella italiana non considerano questa tecnica di parto indolore un'alternativa all' analgesia epidurale. Il remifentanil è un nuovo e costoso farmaco oppioide sintetico che purtroppo ha scarsa efficacia analgesica e potenziali effetti secondari pericolosi di depressione respiratoria su mamma e soprattutto sul neonato. I risultati delle sperimentazioni internazionali su questo farmaco sono ancora controversi e non vi è alcuna raccomandazione o linea guida accreditata che ne autorizzi l'uso per le future mamme".
Ricordiamo che i cannabinoidi non hanno, al contrario degli oppioidi, nessun effetto di depressione respiratoria.
E' tempo forse di rispolverare quanto già noto fino al 1930?