Merano (BZ): storie di ordinario degrado
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Lo chiameremo Giovanni, ma potrebbe chiamarsi anche Hans, perché queste storie - sempre più frequenti - riguardano tutti i gruppi linguistici. Oggi Giovanni, 57 anni, vive nel dormitorio Archè della Caritas: ma in precedenza ha lavorato per trent'anni, prima che il mondo gli crollasse addosso. Ecco come racconta la sua storia. Difficoltà in famiglia, un figlio con problemi, un matrimonio che va in frantumi, la crisi personale, la perdita del lavoro, il richiamo dell'alcol. E gli ostacoli per trovarne uno nuovo e potere ricominciare. Questa la vicenda di Giovanni - il nome è ovviamente fittizio -, una storia drammatica inasprita ulteriormente dalla crisi economica che in questi mesi non ha risparmiato nemmeno Merano. Signor Giovanni, quale è la sua storia? Ho iniziato a lavorare a 14 anni e sono stato un buon lavoratore. Per 25 anni ho lavorato presso un supermercato in cui partendo da semplice magazziniere mi sono costruito una carriera lavorativa che mi ha portato ad assumere il ruolo di vicedirettore per dieci anni. Nel corso del tempo mi sono sposato e ho avuto due figli. Purtroppo le cose all'interno della famiglia non si sono sviluppate come io speravo. Da qui la rottura del matrimonio aggravata da problemi derivati anche da uno dei miei figli. Sono entrato in una crisi depressiva alla quale comunque ho cercato di tenere botta. Nel frattempo ho deciso anche di cambiare lavoro e sono passato alle dipendenze di un'altra importante azienda del circondario. Vi rimasi tre anni, poi consensualmente abbandonai anche quest'attività. Senza l'idea di farsi assumere da qualcun altro? Certamente, quella era l'intenzione, ma improvvisamente tutto mi si è presentato più difficile e nonostante potessi presentare un buon curriculum iniziarono a piovere i "no". Così ho scoperto che un individuo sulla cinquantina, oggi come oggi, per il mondo del lavoro è una persona troppo vecchia. Io da parte mia mi sentivo e ancora mi sento pieno di forza e in grado di lavorare. Certo quella difficoltà di trovare un lavoro è stata una rivelazione atroce. Era ancora solo? Sì, mi sono ritrovato completamente solo. Alle spalle non avevo più una famiglia che potesse aiutarmi a reggere il colpo. La depressione è stata inevitabile e a quel punto ho cercato una via di fuga nell'alcol. È allora che è arrivato al dormitorio della Caritas? Non sapevo più dove andare, cosa fare. E finalmente tre anni fa ho trovato ospitalità qui. E qui, anche grazie agli operatori della casa, lentamente sto cercando di ricostruire la mia identità. Quella di una persona onesta, che ha sempre lavorato, stimata dai colleghi di lavoro d'allora, che quando ancor oggi mi incontrano per strada non mancano di salutarmi e di fermarsi a chiacchierare con me. Qui mi hanno dato fiducia assegnandomi dei compiti precisi all'interno della casa e in altre strutture della Caritas. E come vede il suo futuro prossimo? Non mi faccio grandi illusioni, ma certo mi sento determinato a mettermi nuovamente in gioco. Ovviamente mi rendo conto che il mercato del lavoro non è in un buon momento. Chi non chiude un'attività, in ogni caso riduce al suo interno le unità lavorative. E poi c'è il macigno della mia età, che spesso è determinante per non farmi assumere... Le storie come le mie sono numerose, anche se magari si innescano con la dinamica opposta, ossia la perdita del lavoro che sfocia nel divorzio. È la cruda realtà. Ma non per questo ci si rassegna.