Milano: droga, serve una svolta, basta con l'omertà delle scuole
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Studenti sniffano e fumano nei bagni. Le forze dell'ordine: i presidi devono collaborare
MILANO - C'è un poliziotto che racconta. Dice che in una scuola, un istituto del centro, la cocaina si tira nei bagni prima dell'interrogazione: «Credono che aiuti a parlare, che migliori l'esposizione». Non è vero, ma questo non conta. Quello che conta è che gli agenti in questo istituto vorrebbero entrarci. Vorrebbero far vedere quella foto, l'immagine di un cervello dove si notano le aree cerebrali «mangiate dalla cocaina». Ma le porte non si aprono, la polizia resta fuori. «Meglio non creare troppo allarme, parleremo con i ragazzi», ha chiuso la questione il preside. «Ecco, finché se ne parla in generale sono tutti d'accordo. Poi, però, si chiudono gli occhi. E a noi chiedono di arrestare i pusher in strada».
L'emergenza cocaina, la piaga sociale, non si batte con le parole. E neppure con gli arresti, che a Milano sono ormai cinque, sei a notte, ma che restano «un secchiello per svuotare l'oceano». Si batte, lo ripete da anni il direttore del Servizio dipendenze dell'Asl, Riccardo Gatti, intervenendo sull'educazione: «Finché chi si droga diventa un modello, e chi non lo fa 'uno sfigato', c'è poco da fare». Così nella città dei 150 mila consumatori di droghe, delle 6 tonnellate di polvere bianca sniffate ogni anno, dei 3 ricoveri al giorno per danni cardiaci scatenati da anfetamine e coca, dove si fanno ordinanze anti-alcol per i 16enni e il primo «tiro » si fa già a 15 anni, ecco, in questa capitale d'Italia dei consumi di droghe, anche parlare di questa emergenza resta un tabù. «Possiamo reprimere, fare leggi più severe - attacca Francesco Messina, dirigente della squadra Mobile -, e possiamo anche arrestarli tutti, gli spacciatori. Ma ormai la coca è nei salotti, si consuma in casa, con il cocktail all'happy-hour».
Messina però aggiunge dell'altro: «Non possiamo più nasconderci. Milano non può fingere. La coca gira nelle scuole, come a casa, come al parchetto con gli amici». Eppure per il futuro vice questore di Bergamo (lascerà l'incarico a fine agosto), professori, presidi, genitori non denunciano: «C'è paura di infangare il nome della scuola, timore che si crei una 'lista nera' degli istituti, che il nome di questo o quel liceo finisca legato a quello della droga. Ma così non andiamo da nessuna parte». Lo stesso commento, uguale negli esempi, arriva anche da un investigatore dei carabinieri, uno che nelle scuole a volte c'è andato, e con i cani antidroga: «Troppa ipocrisia. Così non si tutelano i ragazzi. Smettiamola di fingere».