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Morbo di Crohn: fattori di rischio

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Morbo di Crohn: la causa forse in un virus intestinale

Resta una delle malattie più studiate ma anche meno conosciute dell’intestino umano, con un tasso di incidenza in crescita. Dal morbo di Crohn, in Italia, oggi risultano affette almeno 150mila persone, anche se l’assenza di un registro unico della malattia impedisce una stima dettagliata. Le cause? Tante ipotesi, per ora, e pochissime certezze. C’entra la genetica (già individuate 140 mutazioni), come spesso accade: eppure non basta. Sul ruolo giocato dalla dieta e da alcune anomalie del sistema immunitario (responsabile dell’elevata risposta infiammatoria) si dibatte da anni, senza che però si sia riusciti ad avere una risposta certa e definitiva.

L’ULTIMA IPOTESI - E se la causa del morbo di Crohn fosse nascosta nel microbiota? L’ipotesi finora non era mai stata esclusa, dal momento che, seppur tipizzato, l’insieme dei microrganismi che popola l’intestino umano potrebbe nascondere ancora molte delle sue proprietà. Oggi è uno studio svedese pubblicato su Clinical and Translational Gastroenterology ad aprire una nuova strada alla ricerca. Conclusioni? Tutti i bambini affetti dal morbo di Chron, a differenza di quelli inseriti nel gruppo di controllo avevano nell’intestino una dose abbondante di enterovirus, in particolare le specie HEV-B e CBV (Coksackie virus), tra i più diffusi patogeni responsabili delle gastroenteriti virali. Nonostante la coorte di pazienti ridotta - 24 bambini: 9 con diagnosi certa e 15 sospetti -, la ricerca ha allargato il campo su un orizzonte da non sottovalutare. «Per quanto ritenga impossibile definire il morbo di Crohn, per le molteplici situazioni infiammatorie riscontrate, per i polimorfismi e per le diverse collocazioni delle lesioni intestinali, il risultato della ricerca è molto interessante - spiega Massimo Campieri, ordinario di medicina interna e direttore del centro per le malattie croniche intestinali al policlinico Sant’Orsola di Bologna -. In inverno, quando le gastroenteriti sono più diffuse tra i bambini, si registra un aumento delle diagnosi. Non si può escludere che gli enterovirus provochino un’alterazione del microambiente intestinale in grado di richiamare i patogeni responsabili del quadro infiammatorio». La diagnosi della malattia non è sempre facile. La colonscopia è abbastanza precisa quando le lesioni colpiscono la parte terminale dell’intestino, mentre risulta poco efficace quando l’infiammazione è in corso nel tenue.

UN QUADRO CONFUSO - L’ipotesi, per quanto interessante, non può spiegare da sola l’aumentata insorgenza della malattia. «L’evidenza c’è, ma non basta a farci dire che l’unica causa della malattia sia rintracciabile in un virus - afferma Francesco Pallone, docente di gastroenterologia all’Università Tor Vergata di Roma -. I numeri sono in crescita, ma non è ancora ben chiaro se per una maggiore accuratezza diagnostica o per un reale aumento di incidenza». Oggi il morbo di Crohn è diagnosticato anche quando non si dovrebbe, confuso con altre malattie croniche intestinali (colite ulcerosa) e intolleranze alimentari severe. Una situazione che scaturisce dalle poche conoscenze certe del disturbo, caratterizzato da un malassorbimento di carboidrati e lipidi alla base della perdita di peso che colpisce la maggior parte dei pazienti. Quanto alla dieta, mancano prove dirette della tossicità di alcuni alimenti. Qualche sospetto si nutre nei confronti dei lieviti (tranne quello madre) e dei latticini, potenziali fattori di aggravamento. I consigli per la tavola, per il resto, sono quelli più comuni: no ad alcolici e alimenti piccanti, prudenza con le fibre (soprattutto quando si registra un blocco intestinale), meglio prediligere pasti piccoli e frequenti alle abbuffate. Altre raccomandazioni riguardano lo stile di vita: stop al fumo, sì a una regolare attività fisica.

LE TERAPIE – Non esiste una cura per la malattia di Crohn, caratterizzata da frequenti remissioni. L’approccio varia in base alla gravità, sebbene l’obiettivo rimanga quello di ridurre l’infiammazione. Nelle forme lievi, in fase acuta e per brevi periodi, si utilizzano i corticosteroidi a effetto locale o la mesalazina. Gli stessi corticosteroidi vengono invece assunti per via orale, al massimo per due settimane, nei casi più gravi. Gli inibitori del TNF-alfa sono preferiti con i pazienti giovani, per evitare gli effetti collaterali legati al consumo di corticosteroidi.

 

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)