Nuove dipendenze: la "tanning addiction"
Nuove dipendenze: la "tanning addiction"
Abbronzarsi è ormai quasi una moda, è un concetto che si collega al benessere sia dal punto di vista salutistico (i rischi
connessi e i benefici dell'esposizione al sole) sia psicologico (estetica). Non rimane un fatto isolato e casuale ma un
comportamento ben studiato e accuratamente cercato anche e soprattutto come fonte di autostima, oltre che di relax. Ma questi
a volte rimangono iscritti tra i tanti luoghi comuni della nostra società.
Si, è vero in parte che l'abbronzatura rende più belli, più piacevoli, più attraenti e può leggermente migliorare la resa
estetica, ma è anche vero che se ci pensiamo bene esiste un errore nel pensare ciò, che è quello in cui incorrono le persone
che cercano di cambiare l'importanza delle cose nel tentativo di modificare la loro situazione (in questo caso estetica).
Pensiamo per esempio ad una persona che non ci piace e non ci attira fisicamente. La troveremmo più interessante se la sua
pelle fosse stata oggetto intenso di tintarella? E poi se pensiamo al relax in spiaggia ci accorgiamo come possa rimanere un
concetto assolutamente fittizio poichè l'esposizione al sole e alle alte temperature è comunque uno stress organico non
indifferente e che, una volta terminata la vacanza, al rientro al lavoro ritorna, dopo un giorno, una settimana o un mese, la
stessa stanchezza esistenziale di prima.
Nonostante queste considerazioni, il numero di italiani che si "abbrustolisce" al sole d'estate è enorme. Il mito
dell'abbronzatura è sempreverde e i mezzi di comunicazione contribuiscono a rafforzarlo, mostrando immagini di donne
abbronzate più seducenti che mai. Immagini che finiscono per influenzare l'immaginario femminile, senza che si tenga conto
dei non pochi rischi. Oltre ai tanti rischi medici di cui quasi quotidianamente ci informano i media, esiste anche un
disturbo psicologico legato alla ricerca e alla esposizione eccessiva ed ossessiva del sole. Questo vero e proprio disturbo
psicologico prende il nome di "Tanoressia", termine derivante da "tanning" (abbronzatura) e "anoressia", ed indica un
disturbo dovuto all'errata percezione del proprio corpo: chi è colpito da tanoressia non si vede mai abbastanza "abbronzato"
e arriva a dipendere patologicamente dall'abbronzatura. Detta anche sindrome compulsiva da sole (Scs) rientra fra le
dispercezioni corporee, quelle che gli anglosassoni chiamano "nuove forme di dipendenza".
Molte persone hanno un bisogno ossessivo di apparire sempre abbronzate e se ciò non accade entrano in ansia e non si sentono
sicure di sé. Il tono dell'umore, l'autostima e il senso di benessere sono quindi direttamente proporzionali al livello di
abbronzatura. Questo disturbo si fonda su un senso di insicurezza del sé corporeo per cui le persone non si vedono mai
abbastanza abbronzate. Ricerche dimostrano che in Italia questo disturbo coinvolge il 20 per cento della popolazione, oltre
11 milioni di persone, in modo più o meno severo.
La dipendenza dall'abbronzatura riguarda soprattutto le donne, fra i 25 e i 54 anni d'età, con una pelle già di base scura,
solitamente magre e con il vizio del fumo. Sono spinte dal bisogno ossessivo di apparire sempre abbronzate e se ciò non
accade entrano in ansia e non si sentono sicure di sé. La "tanning addiction" può manifestarsi nei giovani, ma non solo, in
persone a disagio, che fanno fatica ad accettarsi, e innescare un circolo vizioso per cui il colore non è mai abbastanza, per
cui si ricorre d'estate alla ricerca attenta e minuziosa dei raggi solari e d'inverno alle lampade abbronzanti.
Secondo gli esperti che hanno studiato il fenomeno, prima magari poco considerato, quando si arriva a livelli così elevati ed
ossessivi di ricerca spasmodica di sole si può arrivare a trattare queste persone oltre che con uno specifico percorso di
sostegno psicologico, esattamente come in ogni altro disturbo causato da problemi di autostima e accettazione di sè, per
individuare le cause profonde alla base del disagio e al fine di evitare un peggioramento della condizione. In alcuni casi
si ricorre persino all'uso di antidepressivi che possono modificare l'approccio alla tintarella, riuscendo a sentirsi a
proprio agio anche senza essere abbronzati.
Dott.ssa Florinda Bruccoleri Psicologa