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News di Alcologia

Ore 18 l'aperitivo, ore 5 lo sballo: tra sbornie e bivacchi il mondo perduto dei ragazzini

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di MARIDA LOMBARDO PIJOLA
ROMA - Come il baccano prima di un concerto, strepiti di strumenti scordati da accordare, un'entropia di decibel affilati, lame acustiche, che sfregiano l'encefalo e l'udito. Piazza Trilussa, sabato notte, bottiglie e bicchieri tra le mani, per terra, su tetti delle auto, sui sellini di moto, sui tavoli, sugli scalini. Sguardi appannati, posture barcollanti, gesti disordinati. Cacofonie: musica a palla, cellulari striduli, effusioni iperboliche, risate troppo acute, voci etiliche, urla che confluiscono in un solo urlo, intenso come l'urlo opposto, l'urlo silente, l'urlo di Munch. Lo stesso che gli abitanti di Trastevere in giugno hanno portato in giro sfilando, dipinto sulle maschere, con i cartelli in mano, «la movida è la nostra Guantanamo».
L'urlo dei giovani alcolisti è cominciato tra lingue di fuoco che si allungavano su ponte Sisto, proprio come sul ponte di Munch. Lingue di fuoco del tramonto, su suonatori di jazz e venditori di pannocchie abbrustolite. Lingue di fuoco in fegato per l'happy hour, l'ora felice della prima serie di sorsate da far precipitare in gola per mezzo di cannucce sepolte in un ammasso di lime e ghiaccio dal fondo di un bicchiere. Ore diciotto e trenta, aperitivo. L'urlo continuerà fino alle lingue di fuoco dell'alba. Berranno ancora. Mescoleranno una sostanza alcolica ad un'altra, per realizzare i loro elisir da apprendisti stregoni dell'ebbrezza. E poi saranno "stesi".
"Stesi": metafora gergale di ubriachi. Ma anche definizione letterale di una postura ricorrente: stramazzati sui gradini, sulle sedie dei pub, sui sanpietrini. Accade. Accade che si vomiti e si orini dove capita. Accade che si litighi e si faccia a botte. Accade che si salti, infine, su una delle auto parcheggiate in doppia o in tripla fila come cavalli ristretti in una stalla inadeguata, e si poi si parta. Accade, perché si ignora che scherzi fa l'alcol al lobo prefrontale; e forse non si sa neppure un lobo prefrontale cosa sia; e, in ogni caso, non se ne fa uso. «Sapete, ragazzi, quali sono gli effetti dell'alcol sul cervello?». Diciotto-vent'anni, ridono, ragazzi e ragazze, una decina. Franco addita Luca: «Lui non ce l'ha mica il cervello». Luca addita Franco: «Perché, scusate, lui ce l'ha?». Ridono ancora. A prima vista, sembrerebbero sprovvisti di cervello entrambi. Quanti drinks, ragazzi, questa sera? «Quattro, cinque», «in media», «cioè, chi più, chi meno». Quattro, tasso alcolico 0,7 grammi, gli esperti dicono "forte compromissione dei tempi di reazione, movimenti scoordinati e senza obiettivi logici". «Secondo voi, in queste condizioni, è pericoloso mettersi alla guida?». Allora, sovrapponendo le voci, si mettono a sgranare un rosario di cioè, che ne so, boh, dipende, «basta starci attenti». "Cioè", certe cose succedono soltanto agli altri, no? Gli altri che si ammazzano, gli altri che vengono ammazzati. E allora un borbottio su niente, e poi si disperdono nel branco sparpagliato in piazza, liquidi come ciò che hanno bevuto, sperduti in quell'urlo indecifrabile di gioia, di dolore, di entusiasmo, di paura, di solitudine, di chissà cosa.
Eccoli qui di nuovo, eccone altri a Ponte Milvio, allegri e malinconici, malmostosi e socievoli, teneri e rabbiosi, imperscrutabili come un mistero. Quartieri alti, età indefinibile, sembrano piccoli, teen-agers travestiti da ventenni, o forse viceversa, chi può dirlo. Sembrano omologati nell'età, simmetrici nelle pose e nell'atteggiamento, conformi nell'abbigliamento griffato, molto in tiro. Si portano in giro tra un bar e l'altro prendendo sul serio le pretese delle loro mise, come alla prima dell'Opera. Sul palco ci sono il Tevere, la notte, il ponte dei lucchetti, ma poi lo scenografo ha perso fantasia. Su tutti i tavolini lo stesso allestimento. Flut, coppe, coppette, boccali, bicchieri da cocktail, da vino, da liquore, e poi feticci: accendini, chiavi di motorini o macchinette, iPhone, cellulari di ultima generazione. Trillano ritmi tecno e house, veicolano messaggi circolari come una passeggiata attorno al nulla. «E dove vuoi che siamo?», «e voi che fate?», «no, niente di particolare, stiamo qui», «vabbé, magari ci becchiamo dopo a bere un'altra cosa». Prezzi più alti, liste di drink voluminose come bibbie alcoliche. Di tutto. Pre-dinner, after-dinner, superalcolici, sparkling, distillati, long drinks, liquori, coktails dai nomi evocativi, altri feticci, sesso, mafia, droga: orgasm, godfather, hypnotic, psicosour. E la dea birra. Blandita, diversificata, celebrata come una pozione magica. Sortilegi: «aroma di frutta», «sentore di affumicato», «profumo di pane», «riscontri organolettici», «gradazione alcolica interessante».
Giulia, diciassette o diciotto, è incontentabile. «Manca l'assenzio». Dibattito. Lucidità vulnerata. Non ancora del tutto. E' "solo" l'una. «Quello nei bar mica lo danno, scema, devi comprarlo online». «Poi ti do l'indirizzo, l'ho preso, è fortissimo». «Ha un'occhio sull'etichetta. Guarda che è caro arrabbiato: trenta euri». «Ma dice che fa male». «Ma no, la Fata Verde, se lo beveva anche Verlaine». «E non l'hanno beccato, all'anti-doping?».