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Percezioni e rappresentazioni sociali delle dipendenze: intervista ad Emanuele Bignamini

Percezioni e rappresentazioni sociali delle dipendenze: intervista ad Emanuele Bignamini

"Un'immagine deteriorata, un'idea svalutata di sé, spesso caratterizza la percezione che hanno di se stessi. Gli utenti del

Sert. Condividono il giudizio sociale, che stigmatizza il loro modo di vivere, li condanna moralmente, bollandoli come

viziosi, deboli e senza principi. Se non cambia la visione della società sulle dipendenze patologiche, non cambierà la

visione che del Servizio hanno i cittadini comuni e gli stessi utenti. Questo comporta, tra le altre conseguenze, uno scarso

sviluppo della consapevolezza dei propri diritti come pazienti, e l'incapacità di contribuire, organizzandosi, al

miglioramento delle cure di cui hanno bisogno."
Lo dice con serenità e sicurezza Emanuele Bignamini, medico (Direttore Dipartimento dipendenze 1, asl To 2), ricercatore,

autore di libri e numerosi articoli sulla psicopatologia della dipendenza, da anni operatore di Sert.
Dottor Bignamini, è possibile fare qualcosa per mutare questo stato di cose, e chi può concorrere al cambiamento, oltre agli

operatori del Servizio?
"Chiunque abbia consapevolezza di ciò. Gli operatori, ovviamente, ma anche le famiglie, i pazienti stessi, chi fa

informazione. Il concorso della società civile, nelle sue componenti, è irrinunciabile. Spesso è proprio tra gli utenti che

manca la coscienza della patologia, di cui colgono solo l'aspetto sociale (disadattamento e ghettizzazione) e non quello

sanitario."
La ricerca sull'apprezzamento della qualità. del Sert da parte dei pazienti, che lei ha progettato e realizzato insieme a

Tonino Como, un utente, è stata preceduta da analoghi lavori in altri Sert italiani, ma in numero modesto e con difficoltà di

scambio dei dati ottenuti. Pensa sia possibile realizzare un'indagine a livello nazionale?
"E' auspicabile, ma non so chi potrebbe coordinarla. La nostra ricerca ha scarsa validità sul piano statistico, sia per la

numerosità e la metodologia di selezione del campione, sia per la costruzione del questionario, ma offre la possibilità di

aprire un discorso tra utenza e operatori e, soprattutto, porre il problema della valutazione dei servizi da parte dei

pazienti".
E come vedono il Sert gli utenti?
"La valutazione complessiva della qualità del Servizio è buona, i punti di forza sono i servizi innovativi (Drop-in e pronta

assistenza), l'organizzazione del Sert e il rapporto con gli operatori .I punti deboli sono, invece, la somministrazione del

metadone, la qualità delle strutture e la capacità d'intervento sulla tossicodipendenza."
Perché i pazienti hanno la percezione di una scarsa capacità di incidere sulla patologia da parte del Sert?
"La tossicodipendenza viene considerata inseparabile da soluzioni abitative e lavorative, è un'idea infondata, casa e lavoro

non affrancano automaticamente dalla dipendenza. Molti pazienti sono in carico al Servizio da anni, non considerano l'aspetto

sanitario, ma solo quello assistenziale. Oltre la metà degli utenti del Dipartmento1 è in fase di remissione stabilizzata, ma

rimane in rapporto con il Sert per le condizioni di disagio psicologico e sociale."
Si riferisce alla psicopatologia "postmorbosa", di cui lei ha scritto nel periodico "Psicologia individuale", che spesso si

manifesta dopo la remissione del comportamento tossicomanico?
"Esattamente, oggi però le cose sono migliorate, disponiamo di più mezzi. La separazione delle strutture ci permette di

seguire in modo più adeguato i pazienti nelle diverse fasi del percorso terapeutico. L'utente sa che può contare sempre su di

noi. Il rapporto umano tra operatori e pazienti resta elemento fondamentale del nostro lavoro, unito all'esperienza acquisita

negli anni e alla professionalità di chi, ogni giorno, lo svolge".
Questa ricerca, ideata e condotta insieme da un utente ed un operatore, ha richiesto ad entrambi un adattamento ad una

situazione nuova, impegnativa ma stimolante: quali riflessioni le suggerisce?
"Il mio impegno è stato quello di lavorare non sull'utente o per l'utente ma con lui, grazie al riconoscimento reciproco come

interlocutore degno di fiducia, camminando insieme verso una meta condivisa di cui avevamo entrambi chiarezza; mi piacerebbe

riproporre questa ricerca, magari con la partecipazione di altri pazienti e operatori."
E oltre a questo ?
"Un dato appare chiaro, sono in molti quelli che hanno rifiutato di rispondere al questionario. Non è facile sollecitare

l'utenza ad una partecipazione critica alla valutazione del Sert e dei servizi che offre. Passività ed egocentrismo sono

alcune delle cause del rifiuto, insieme al ritiro difensivo o la difficoltà ad esprimersi, tratti questi della psicopatologia

della dipendenza. Ma la maggior parte degli utenti interpellati ha accettato di rispondere, questo è positivo. Molti,

tuttavia, pur avendo un'opinione personale, hanno difficoltà ad assumere un ruolo attivo e restano estranei al Servizio,

atteggiamento dovuto anche all'attuale cultura sociale."
Par di capire che la difficoltà delle persone interessate da questa patologia a vedersi come attori della propria esistenza,

rinunciando al vittimismo fatalistico e agli stereotipi sociali, sia un dato confermato. Fa da contraltare una buona fiducia

nel valore del rapporto con gli operatori e l'apprezzamento dei servizi di accesso immediato, quelli che rispondono alla

filosofia della riduzione e controllo del danno legato al consumo di sostanze. Concluda lei dottore.
"L'esperienza è stata profondamente significativa professionalmente, ma anche sul piano umano. Si è aperto un canale di

comunicazione tra utenti e operatori, è auspicabile mantenerlo tale sia per le ricadute sul piano organizzativo, sia su

quello terapeutico, è importante che tali ricerche si ripetano su scala più vasta con sistematica periodicità, e con il

coinvolgimento di un sempre maggior numero di protagonisti."