Poche cure, tanto alcol e in sovrappeso: dopo 3 anni di Covid la salute degli italiani è precaria
Poche cure, tanto alcol e in sovrappeso: dopo 3 anni di Covid la salute degli italiani è precaria
Presentato oggi il XIX rapporto dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane. Ridotte le visite specialistiche e gli interventi programmati; interrotta la continuità terapeutica per i pazienti cronici
I dati parlano chiaro, si sono ridotte le visite specialistiche, infatti, se nel 2019 sono state erogate circa 26 milioni e 600 mila prime visite, nel corso del 2020, le prime visite sono diminuite di circa un terzo, ammontando a circa 17 milioni e 700 mila. Sempre nel 2019, sono state erogate circa 32 milioni e 700 mila visite di controllo. Nel 2020, anche le visite di controllo sono diminuite di circa un terzo, ammontando a circa 22 milioni e 500 mila.
Si sono ridotti gli interventi programmati che sono strategici per la prevenzione e contrastano la mortalità evitabile. Un esempio per tutti, l’intervento di bypass coronarico: nel 2020, un valore pari a 76,6 per 100.000, in diminuzione rispetto al 2019 (100,9 per 100.000).
Con la pandemia si sono ridotte anche le coperture vaccinali: nel 2020 nessuna vaccinazione obbligatoria raggiunge il target raccomandato dall’OMS del 95%. Nell’ultimo anno i valori di copertura più alti si osservano per Tetano (94,04%), Pertosse (94,03%) e Poliomielite (94,02%), mentre Parotite (92,47%), Rosolia (92,21%) e Varicella (90,28%) presentano i valori più bassi.
Anche il Servizio Sanitario Nazionale ha subito notevoli contraccolpi: c’è stata una contrazione notevole dei proventi propri delle aziende sanitarie (per esempio ticket e libera professione). I dati relativi alla compartecipazione alla spesa farmaceutica indicano una netta diminuzione: se nel periodo 2016-2019 ammontava a 1,6 miliardi (mld) medi annui, nel 2020 scende a 1,5 mld e tra gennaio-maggio 2021 è pari a 0,6 mld. Anche i proventi per l’assistenza specialistica appaiono ridotti: nel periodo 2016-2019 ammontavano a 1,8 mld annui; nel 2020 calano a 1,2 mld; tra gennaio-maggio 2021 il dato è di 0,6 mld.
È quanto emerge in estrema sintesi dal XIX Rapporto Osservasalute 2021, curato dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che opera nell’ambito di Vihtaly, spin off dell’Università Cattolica, presso il campus di Roma. Questa nuova edizione di 655 pagine è frutto del lavoro di 240 ricercatori distribuiti su tutto il territorio italiano che operano presso Università, Agenzie regionali e provinciali di sanità, Assessorati regionali e provinciali, Aziende ospedaliere e Aziende sanitarie, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco, Istat.
«La crisi sanitaria innescata dalla pandemia ha avuto effetti rilevanti sulle prestazioni ospedaliere – sottolinea il direttore scientifico di Osservasalute Alessandro Solipaca. I dati del XIX Rapporto Osservasalute prendono in considerazione l’impatto dell’emergenza sanitaria sui ricoveri ospedalieri per patologie a elevato impatto sociale quali: protesi d’anca, somministrazione di chemioterapia in regime di RO e DH, assistenza per i pazienti diabetici, all’infarto miocardico acuto, malattia polmonare cronica ostruttiva (BPCO)».
«È un segnale – aggiunge Solipaca - che, durante il Covid, è peggiorata la tempestività di certe prestazioni, con probabili ripercussioni sulla salute e la qualità della vita degli anziani».
«Vedremo solo con il tempo – prospetta il professor Walter Ricciardi, direttore di Osservaslute e Ordinario di Igiene generale e applicata alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, nonché consigliere del Ministro della Salute per l’emergenza da coronavirus – gli effetti dello tsunami Covid-19 sulla salute degli italiani e sull’equilibrio del sistema sanitario, senza considerare il profondo impatto che sta avendo e avrà sempre di più in futuro il long-Covid, che colpisce una cospicua quota di guariti, con sintomi persistenti che richiedono di essere monitorati e gestiti».
Gli ultimi dati disponibili mostrano l’Italia prima in Europa con il più basso tasso di mortalità evitabile, infatti il tasso di mortalità evitabile era per quell’anno di 169 per 100 mila abitanti, ma resta da vedere se l’impatto che il Covid ha avuto su salute e comportamenti degli italiani e su efficacia di prevenzione e cura del sistema sanitario ci consentirà di mantenere questo primato per gli anni a venire”.
Per esempio, anche se la quota di fumatori in Italia si va progressivamente riducendo, si vede che, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), durante il lockdown sono diminuiti i fumatori di sigarette tradizionali, ma sono aumentati i consumatori di tabacco riscaldato e sigaretta elettronica (Nel 2020, il 2,5% della popolazione di età 18 anni ed oltre dichiara di utilizzare la sigaretta elettronica), alto il numero anche di chi li ha provati per la prima volta proprio durante il lockdown. Tra i fumatori di sigarette tradizionali chi non è riuscito a smettere ha invece aumentato il numero di sigarette fumate. In alcune regioni la quota dei fumatori è aumentata in modo significativo, ad esempio in Lombardia, al 5° posto tra le regioni dove si fuma di più, mostra un incremento significativo di 2,4 punti percentuali rispetto al 2019 e arriva al 19,6% di fumatori.
Alcol, una pessima abitudine foraggiata dallo stress da pandemia
Anche i consumi di alcolici sembrano aver risentito della pandemia: la prevalenza di consumatori a rischio in Italia, nel 2020, è pari al 22,9% per gli uomini e al 9,4% per le donne. Per gli uomini si registra, rispetto al 2019, un aumento a livello nazionale del 6,5% e a livello regionale del 27,0% in Molise, del 19,3% nella PA di Bolzano, del 17,9% in Veneto e del 15,0% in Lombardia. Per le donne si osserva un incremento complessivo delle consumatrici a rischio del 5,6% e a livello regionale soprattutto in Emilia-Romagna dove la prevalenza è passata dal 10,7% nel 2019 al 14,1% nel 2020. Nel corso dell’anno in cui è iniziata la pandemia si è assistito a una complessiva diminuzione degli astemi e dei non consumatori di bevande alcoliche.
Italiani a tavola, il Covid ha cambiato le portate
Anche sul fronte dell’alimentazione la pandemia ha determinato dei cambiamenti, non sempre positivi: secondo un’indagine condotta dall’Istat nel mese di aprile 2020 e nel periodo dicembre 2020-gennaio 2021 ha messo in luce che ad aprile 2020, nel periodo del primo lockdown, il 38,5% delle persone ha modificato le proprie abitudini alimentari, quota che scende al 21,5% durante la fase II (dicembre 2020-gennaio 2021). Tra i cambiamenti di abitudine, il più frequente è l’aumento nelle quantità di cibo. Infatti, un quarto della popolazione di età 18 anni ed oltre riferisce di aver mangiato di più durante il primo lockdown (25%), con quote particolarmente elevate tra i più giovani (39,5% tra i ragazzi di età 18-24 anni). Nella fase II la percentuale di coloro che hanno aumentato le quantità di cibo si dimezza (12,5%) e le differenze per età si attutiscono, ma rimane più elevata la percentuale di giovani di età 18-24 anni (18,5%).
La pandemia ha pesato anche sulle bilance degli italiani
Nel 2020, si conferma che il 36,1% della popolazione adulta è in eccesso di peso, mentre più di una persona su dieci è obesa (11,5%); complessivamente, il 47,6% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale.
Quanto all’attività fisica nel 2020 la praticava poco più di un italiano su 3 sopra i tre anni di vita, il 36,6% della popolazione, pari a circa 21 milioni 396 mila persone.
Tuttavia rispetto agli ultimi anni precedenti, non si osserva uno spiccato aumento nella quota dei continuativi, molto probabilmente anche a causa della pandemia e delle restrizioni che hanno portato alla chiusura dei centri sportivi, palestre, piscine.
In particolare, durante il lockdown (aprile 2020) il 22,7% della popolazione adulta di età 18 anni ed oltre (pari a circa 11 milioni e 400 mila individui) ha praticato attività fisica o sportiva organizzandosi prevalentemente presso la propria abitazione, sfruttando anche gli eventuali spazi aperti disponibili come balconi, giardini condominiali e giardini privati (94,0%). Diversamente da quanto osservato generalmente, non si osservano significative differenze di genere e la quota di donne che dichiarano di aver praticato attività fisico-sportiva è sovrapponibile a quella degli uomini (23,5% vs 21,9%, rispettivamente).
Tuttavia, a dicembre 2020, si è fortemente ridotta la quota di persone di età 18 anni ed oltre che hanno praticato attività fisico-sportiva attestandosi al 14,3% in un giorno medio (-8,4 punti percentuali rispetto ad aprile 2020). Su tale evidenze, molto probabilmente, ha inciso la ripresa delle attività lavorative fuori casa e un ritorno a ritmi di vita più simili al periodo pre-pandemico che hanno ridotto la possibilità di svolgere attività sportiva all’interno delle mura domestiche. Nello stesso tempo, la chiusura pressoché totale di palestre e centri sportivi e la possibilità di svolgere l’attività fisica e sportiva quasi esclusivamente all’aperto, ha aumentano la pratica in spazi aperti non pertinenti all’abitazione che è cresciuta dal 7,3% (aprile 2020) al 49,1%, mentre la pratica di attività in casa, pur restando alta, si è ridimensionata, passando dal 94,0% al 59,7%.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.lastampa.it/cronaca/2022/06/15/news/poche_cure_tanto_alcol_e_in_sovrappeso_dopo_3_anni_di_covid_la_salute_degli_italiani_e_precaria-5418040/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)