Pordenone: baristi scontenti: «Non siamo sceriffi»
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Non vogliono e non possono fare gli sceriffi. Gli esercenti di Pordenone guardano con diffidenza al modello di ordinanza che arriva da Milano e rilanciano la necessità di puntare su una cultura diversa del bere. Nei supermercati si attendono disposizioni più chiare, anche se c'è già chi si è mosso in autonomia per promuovere la campagna che vieta la vendita di alcolici ai minori. Ma i giovanissimi non sono l'unico problema: la legge, secondo i commercianti, non tiene conto degli alcolisti. Nessuna norma vieta, infatti, la vendita a questa categoria di persone. «Lo spacciatore di droga ha più diritti di me. Non ne posso più di questa situazione, sono demoralizzato. Per questo dalla prossima settimana non sarò più presidente regionale di categoria». Luca Garbo, referente dei baristi dell'Ascom, getta la spugna. «Noi vendiamo alcol per vivere e veniamo trattati come delinquenti. Non si può chiedere ai baristi di controllare i clienti, di fare gli sceriffi. Se chiedi la carta di identità a un ragazzo e questo non ce l'ha cosa fai? Se non obblighiamo per legge tutti a girare con il documento la richiesta diventa una violazione della privacy. Già lavoriamo poco, questi provvedimenti ci penalizzano e non risolvono nulla perchè comunque i ragazzi bevono lo stesso». Perplesso anche Stefano Pozzo, titolare del Woody: «Se lo Stato decide di pagarci per fare i tutori della legge allora va bene. E' impossibile controllare quello che avviene dopo la vendita, verificare se il maggiorenne compra per sè o se cede la bottiglia a un minore. Altra cosa è chiedere la carta di identità in caso si presenti un ragazzo che sembra minorenne. Questo lo dobbiamo fare, ma non in una chiave di repressione. Non basta porre divieti, bisogna lavorare con i ragazzi utilizzando una comunicazione diversa. A maggior ragione in questa fase di crisi, in cui provvedimenti repressivi rischiano di danneggiare solo chi lavora». «A noi capita raramente di trovarci davanti minorenni perchè la nostra clientela ha un'età più elevata - evidenzia Elena Gennari del Burchiello -. Lo Stato e gli enti pubblici fanno leggi severe, che però poi non vengono applicate. Il problema del consumo non è solo legato ai minori. Più in generale assistiamo a un consumo smodato, anche da parte dei trentenni, perchè non vengono date alternative.Se si vieta ai locali di fare i concerti perchè la musica disturba, di fare eventi culturali, le persone non hanno altri stimoli e finiscono per bere di più». Tra i supermercati la Coop consumatori Nordest già dallo scorso autunno ha promosso una campagna per vietare la vendita ai minori di 18 anni. «Se abbiamo la sensazione che il cliente sia minorenne - spiega il direttore di Ipercoop, Armando Rizzo - la cassiera chiede il documento. Se la persona risulta maggiorenne ci scusiamo. L'iniziativa è segnalata con apposita cartellonistica già all'ingresso del punto vendita». In attesa di disposizione i supermercati Pam, «anche se non ci sono mai capitati - spiegano al negozio di corso Garibaldi - casi che facessero ritenere che i clienti fossero minori. Chiedere la carta d'identità è un problema: spesso i clienti fanno difficoltà anche quando viene chiesto il documento per l'uso della carta di credito». Alla Despar di via Montereale «ci troviamo di fronte a clienti più che maggiorenni con evidenti problemi di dipendenza, ma in quel caso la legge non dà strumenti. Come dovremmo comportarci?».