Pordenone: tutelare la salute della gente friulana
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La campagna "Mole il bevi", che propone un messaggio forte, giocato sul filo dell'ironia, e pensata più per gettare un sasso nello stagno dei consumi alcolici (sembra oggi un piccolo tsunami per la verità), è stata artatamente interpretata come "criminalizzante il vino", concetto di lì poi esteso alla cultura friulana, alle tradizioni, all'attentato verso quella che dovrebbe essere l'essenza del popolo friulano. C'è ogni volta da vergognarsi quando in giro per l'Italia veniamo additati come la regione degli ubriaconi e dove il bere pare essere l'occupazione prevalente della popolazione. Questo sì è un mito da sfatare: primo, perché non è vero; secondo, perché getta un'immagine del tutto negativa sulla nostra regione e sulla nostra gente. Si chiede la tutela del vino? Si chieda allora anche la tutela della gente friulana, della sua salute e della sua cultura, quella vera, naturalmente, e non quella dell'osteria. Quella, per intenderci, di Pasolini, di Turoldo, di Sgorlon e di tutti quelli che con la loro creatività, il loro lavoro e la loro passione hanno tenuto alto il nome del Friuli nel mondo. Tra questi certamente anche coloro che hanno fatto della viticoltura e della produzione di qualità un esempio di appassionata e intelligente imprenditoria. Se ne sono sentite delle belle in questi giorni, a cominciare dal fatto che il vino non sarebbe da annoverarsi tra le droghe, per continuare con l'incidenza dell'alcol nel determinismo degli incidenti stradali, per finire con i dati "garbatamente" contestati dal dottor Pierluigi Struzzo sulle pagine del Messaggero del lunedì del 7 dicembre. Cominciando da quest'ultimo, che si è tranquillamente accodato alla schiera dei critici, stupisce che un professionista critichi i dati presentati senza fornire alcuna minima giustificazione alle proprie tesi e soprattutto senza fornire i suoi dati a confronto, come d'abitudine si fa nei consessi scientifici. I dati che abitualmente presentiamo derivano da un lavoro che viene prodotto ogni anno in collaborazione con l'Agenzia regionale della sanità sulle Sdo (Diagnosi di dimissione ospedaliera) e sulle cause di morte, ed elaborati usando criteri statistici collaudati. Rimaniamo in attesa da lui di notizie un po' più serie e concrete. Che l'alcol etilico contenuto in varia quantità nelle diverse bevande alcoliche, vino compreso, sia una droga è arcinoto ed evidente. Presenta le medesime caratteristiche delle altre droghe: provoca infatti tolleranza, dipendenza, ha effetti acuti e cronici sul cervello ed è potenzialmente pericoloso per la salute. Per saperne di più basta aprire una qualsiasi pagina Web sul tema e si potranno ottenere tutte le necessarie conferme. La questione degli incidenti stradali (per cui viene sbandierato il fatto che l'alcol in Italia sarebbe responsabile solamente del 2,12% degli incidenti della strada, a confronto di percentuali che vanno dal 30 al 40% negli altri Paesi europei) merita poi una particolare considerazione. L'Istat e l'Aci correttamente avvertono (vedi nota metodologica 2008) sulle modalità di rilevazione dei dati. Questi, infatti, vengono raccolti dalle forze dell'ordine sul luogo dell'incidente, in condizioni spesso drammatiche e nell'oggettiva impossibilità d'interrogare il malcapitato e tanto meno di sottoporlo alla prova dell'etilometro (quando fosse disponibile) e porre quindi una corretta diagnosi d'intossicazione alcolica che, senza l'ausilio di questo strumento, risulta di fatto impossibile. Ovvio che, secondo i dati riportati dalla statistica, il 93,05% delle cause fosse imputabile «al comportamento scorretto del conducente nella circolazione» e che invece le cause «imputabili allo stato psico-fisico del conducente» raggiungessero nel loro complesso un "misero" 3,12%. D'altra parte, lo stesso presidente dell'Aci, Enrico Gelpi, si è più volte espresso con affermazioni di questo tenore: «Chi guida non beve. E il guidatore designato è la soluzione più efficace per contrastare l'incidentalità imputabile all'alcol». D'altra parte già nel 2002 il ministero della Salute, in una nota ("Il portale informa" 19 aprile 2002), così affermava: «In realtà le statistiche Istat sugli incidenti stradali registrano i dati relativi alla guida sotto l'effetto dell'alcol, ma i valori appaiono decisamente inattendibili». Uno studio molto recente condotto nel Pronto soccorso dell'ospedale di Udine e pubblicato sulla rivista Bmc public health nel 2009 dimostra infatti come anche singole unità di alcol (si considerino grossolanamente, come unità alcolica, un bicchiere di vino, un boccale di birra, un bicchierino di superalcolico) comportino rischi significativi per la guida, pur con alcolemie inferiori al limite di legge. L'alcol a questo proposito va considerato una delle droghe più pericolose, in quanto a compromissione dell'abilità di guida. Si può serenamente affermare, fra l'altro, che sono più pericolose le alcolemie basse, dove la non coscienza della riduzione dei parametri di concentrazione-attenzione-acuità visiva si accompagna a una sottovalutazione del pericolo e a uno stato di euforia. Certamente "Mole il bevi" non ha la pretesa d'incidere sulla riduzione dei consumi di alcol della popolazione (qualcuno sostiene fra l'altro possibile un effetto paradosso, e cioè una spinta al consumo). Per fare questo ci vogliono ben altre azioni, metodologie collaudate e una programmazione pluriennale che intercetti i giovani in generale (prevenzione universale) e quelli a rischio (prevenzione selettiva) nei luoghi di frequentazione e vita, nella scuola, nelle attività del tempo libero, nei luoghi di divertimento e di aggregazione. È necessario per questo investire, programmare, creare un sistema di azioni puntuali e una rete che metta insieme, non soltanto sui temi dell'alcol e delle altre droghe, ma su quelli più ampi della salute, la Regione, le Province, gli enti locali in genere, la scuola, le Aziende sanitarie, il mondo del volontariato e della cooperazione sociale. È la sfida da accettare e l'obiettivo da perseguire per una migliore qualità della vita nelle nostre comunità e una più responsabile partecipazione attiva dei cittadini alle scelte di comportamento e di vita che li riguardano da vicino.