Proibizionismo: come al solito, la storia non insegna nulla
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Fioccano, in questi giorni, le ordinanze restrittive o addirittura proibizionistiche, sia da parte del governo che dei singoli sindaci. Da oggi è vietata la vendita di alcolici al di fuori di ristoranti e bar, direttiva con la quale di fatto si rischia di massacrare tutte le sagre estive (vedi anche comunicato della Confesercenti); è vietata la vendita di alcolici ai minori di 16 anni (però diamo il foglio rosa ai ragazzini di 17 e secondo il progetto-porcheria del senatore Orsi potremmo dare in mano un fucile a quelli di 16).
A Pordenone un'ordinanza del sindaco, in una specifica area del centro cittadino, vieta gli "assembramenti anche di due sole persone".
Proprio commentando questa notizia, ieri, mio figlio se è uscito con: "Ma perché la gente si droga? Per vedere cose strane, fantasmagoriche? Non serve mica: basta aprire il giornale!".
Concordo pienamente.
Assembramenti pericolosi di due persone, lattine killer, borsoni criminali... il ridicolo ormai non ci si limita più a sfiorarlo: è già stato ampiamente superato. Ormai siamo allo sballo da legge o da ordinanza municipale.
Tutte queste leggi/ordinanze, però, si basano sullo stesso presupposto, il proibizionismo, già fallito in ogni parte del mondo e a qualsiasi cosa si sia tentati di applicarlo (l'esempio più eclatante è quello del proibizionismo americano contro l'alcol, che inizialmente segnò un calo del consumo pro capite ma subito dopo diede il via all'epoca del gangsterismo, nato proprio per organizzare il contrabbando di alcolici).
Perché il proibizionismo non funziona, non ha mai funzionato e non funzionerà mai?
Molto semplice, quasi banale: perché se c'è un consumo sfrenato e pericoloso di un prodotto X (si tratti di sigarette, di alcol o di puttane) significa che esiste un bisogno che porta alla domanda di quel prodotto. Può trattarsi di un bisogno innato (come quello di fare sesso) o di un bisogno indotto (come quello di consumare sigarette o alcolici, ampiamente pubblicizzati per anni ed anni dallo stesso governo che ora vorrebbe farli sparire): ma bisogno resta.
Quindi i casi sono due: o si spegne l'appetibilità di questo prodotto, e allora nessuno lo cerca più, o se vieta l'uso con l'unico, ovvio risultato di aumentare il bisogno, un po' per una banale - ma umana, purtroppo, reazione psicologica (la mela è un frutto che mi piace, ma se non c'è pazienza: la mela proibita diventa un frutto indispensabile a cui muoio dalla voglia di dare una dentata), un po' perché alcuni dei prodotti che si cerca di vietare o limitare, come l'alcol o le sigarette, danno una vera e propria dipendenza. Quindi, se mancano, si va letteralmente fuori di testa e si è disposti a tutto pur di procurarseli (e ve lo dice una che se resta senza sigarette diventa un mix tra un licantropo e l'incredibile Hulk).
Dovrebbe essere ormai chiaro da SECOLI che il proibizionismo assoluto fa danni enormi, perché non evita affatto il consumo di un prodotto ma ne passa semplicemente la vendita nelle mani della criminalità. Quanto al proibizionismo "relativo", tipo "alcol sì, ma solo se hai più di 16 anni" è ridicolmente inutile. Chi non ha un amico maggiorenne da mandare a comprare una bottiglia?
Quello che bisognerebbe fare, ovviamente, è spegnere il bisogno, non innalzarlo. Ma per spegnere un bisogno creato da decenni di pubblicità positiva occorrerebbero: a) altrettanti decenni di pubblicità negativa; b) la possibilità di terapie dissuasive gratuite per i consumatori affetti da dipendenza; c) una profonda campagna informativa, culturale, già a partire dalle scuole materne, per far sì che le nuove generazioni crescessero senza quei bisogni.
Vietare è controproducente: abbiamo tutti sotto gli occhi il caso tragico della droga, di cui sono vietate vendita e consumo. Il problema della droga è in continua, drammatica espansione: c'è cocaina addirittura nell'ARIA delle maggiori città italiane. Cosa ha risolto, il proibizionismo? Niente.
Perché i giovani continuano a drogarsi, anzi si drogano sempre prima e sempre di più? Non solo, ma "anche" perché la cosa ha il fascino del proibito. Non solo, ma "anche" perché gli idoli dei ragazzini, e non parlo solo delle pop star ma anche delle faccine carine che vediamo in TV tutti i giorni, fanno ampio uso di stupefacenti. Abbiamo un numero elevatissimo di conduttori televisivi che prima di apparire sullo schermo si fanno la loro bella sniffata sotto gli occhi di tutti i presenti, senza che nessuno gli dica BA. Diverse rock star ammettono candidamente di essersi fatte e strafatte, e ancora nessuno gli dice BA. Dopodiché, cosa vorremmo dai nostri giovani? Che non imitassero - come accade da che mondo e mondo - i loro idoli quotidiani?
Questo significherebbe snaturare l'adolescenza: è semplicemente impossibile.
Forse sarebbe un po' diverso se l'idolo di turno, anziché osannato da tutti i media, fosse indicato come "quel poveraccio infelice e malato che canterà pure benino, ma riesce a farlo solo se prima si frigge il cervello". Ma poi chi glielo racconta agli sponsor, alle case discografiche e compagnia bella?
Viviamo nel regno dell'ipocrisia (e ovviamente del denaro che gestisce ogni nostra mossa e ogni decisione governativa, ad ogni livello): è probabilmente impensabile che possa mai partire davvero una campagna massiccia di informazione e "disassuefazione" dai bisogni che quel denaro lo fanno circolare a tutto spiano.
Ma allora evitiamo, almeno, l'ipocrisia del divieto. Lasciamo tutti liberi di fumare, bere, drogarsi e andare a puttane quando e come gli pare, limitandoci a punire - ma severamente, e con la certezza della pena - chi dopo aver soddisfatto questi bisogni crea un danno agli altri.
Mi sta bene che non si possa fumare nei luoghi pubblici, perché questo crea un danno agli altri: trovo ridicolo che si voglia proibire di fumare sui binari delle stazioni, all'aperto (altra bella pensata veneta degli ultimi tempi).
Mi sta bene che non si possa guidare dopo aver bevuto o essersi drogati: chi viene beccato a farlo è giusto che venga punito, chi ammazza pure qualcuno per questo motivo è giusto che vada in galera e che ci resti molto a lungo, non per tre o cinque anni come da recenti - e assurde - sentenze.
Ma se un ragazzino di 16 anni si fa uno spinello o una birra in casa sua, senza danneggiare nessun altro, lasciamo un po' che siano cavoli suoi e della sua famiglia. Che magari, se le responsabilizzassimo un po' di più, pure le famiglie riscoprirebbero l'importanza di rapportarsi coi figli anziché lasciarli in balia della play station.
Il proibizionismo non ha mai impedito a nessuno di ubriacarsi o drogarsi: ma una buona educazione sì.