Psicopatologia della dipendenza da sostanze -seconda parte-
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Psicopatologia della dipendenza da sostanze
di Emanuele Bignamini e Roberta Bombini
Nonostante gli esiti negativi delle ricerche sulla "addiction personality" e sulla "preference", si e' ampiamente affermata in ambito psicodinamico quella che Khantzian (Khantzian EJ, 1985), ha elaborato come "teoria dell'autocura", arricchita successivamente da alcune varianti (teoria dell'ipersensibilizzazione, Mueser KT et al, 1998, e teoria dell'alleviamento della disforia, Mueser KT et al, 1998).
Questa teoria, apparentemente molto esplicativa e certamente, in specifici casi, del tutto sostenibile sul piano idiografico, e' diventata lo schema interpretativo preferito da chiunque voglia prendere le distanze da un atteggiamento giudicante e moralistico verso la tossicodipendenza, assumendone invece una visione comprensiva.
In effetti, l'idea che le sostanze abbiano un ruolo adattativo (almeno sul breve periodo), compensando i deficit dell'organizzazione difensiva del tossicomane, appare molto suggestiva e quasi "autoesplicativa".
La natura intuitiva della teoria ne ha favorito la diffusione anche tra i non professionisti, diventando una generalizzazione buona per tutte le circostanze.
Nonostante la sua universale diffusione, la teoria dell'autocura non e' stata validata (Castaneda R, 1994; Maremmani I, 1997; Kosten TR, 1997), anzi ne e' stato messo in discussione il significato (sul lungo periodo, prevalgono gli aspetti disadattativi dell'uso di sostanze).
Questa teoria, inoltre, non modifica il consueto approccio: l'assunzione di sostanze rimanda a qualcosa di "altro" e di "precedente", mettendo in primo piano i disturbi psicopatologici preesistenti e sullo sfondo la tossicodipendenza, ancora una volta considerata solo epifenomeno, per quanto con valenza di meccanismo di compensazione o di riparazione.
7.
Tenendo conto di quanto sopra, secondo chi scrive, la teoria individualpsicologica potrebbe consentire un approccio psicodinamico al problema della tossicodipendenza originale, piu' fecondo e compatibile con gli sviluppi delle conoscenze sulla tossicodipendenza.
E' necessario pero' poter riconoscere alla tossicodipendenza la dignita' di vera e propria condizione patologica, cosa che non esclude che una assunzione di sostanze psicotrope possa avere la valenza di sintomo, ma afferma che quando si parla di tossicodipendenza ci si riferisce ad una entita' nosologica autonoma, con una propria patogenesi, una propria fisiopatologia e una propria psicopatologia (per la discussione di questo tema, molto contrastato, si rimanda a Bignamini E et al, 2002; Bignamini E, Bombini R, 2003).
Cio' che rende particolarmente pregnante la teoria adleriana nel campo delle tossicodipendenze e' la possibilita' di valorizzare concetti come quello di meiopragia d'organo, di unita' biopsicologica dell'individuo, di interazione individuo-ambiente, che consentono di dialogare con le recenti acquisizioni delle neuroscienze.
"L'inferiorita' e' un concetto relativo alle richieste dell'ambiente e alla situazione in generale. ... L'interazione di forze diverse, presenta vari aspetti: ... tra organismo e ambiente fisico, tra organismo e ambiente sociale, tra i diversi organi separati e tutti gli altri organi e infine tra corpo e mente" (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997).
Adler elaboro' la sua teoria dell'inferiorita' d'organo basandosi sull'interazione corpo-mente; l'inferiorita' a cui si riferisce "riguarda un organo con uno sviluppo ritardato o con un'alterazione parziale o completa della sua crescita. Le inferiorita' possono riguardare gli organi di senso, il sistema digerente, il sistema respiratorio, il sistema genito-urinario, il sistema circolatorio e il sistema nervoso. ... Il destino degli organi inferiori e' assai variabile e il loro sviluppo, unitamente agli stimoli ambientali, spinge al superamento di tale inferiorita' [attraverso] la compensazione dell'organo, la compensazione attraverso un altro organo, la compensazione attraverso l'organo psichico, la supercompensazione organica o psicologica. ... Un modo in cui l'inferiorita' si manifesta e' attraverso la localizzazione di una malattia in un organo specifico, e cio' accade quando l'organo inferiore reagisce agli stimoli patogeni provenienti dall'ambiente. ... Queste ultime [le richieste esterne] hanno una durata limitata e sono determinate da un particolare ambiente, per cui le loro modificazioni esprimono sia un progresso culturale, sia cambiamenti nel modo di vivere o miglioramenti sociali. Essi sono il prodotto della mente umana e con l'andare del tempo tendono a impedire che gli organi siano sottoposti a tensione eccessiva. Le richieste esterne sono correlate alla loro potenzialita' di sviluppo e quando superano una certa soglia agiscono sull'organo inferiore" (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997).
Se al concetto di organo si affianca quello piu' moderno di "sistema" (ad esempio, sistema neuroendocrino) o di "patrimonio" (ad esempio, patrimonio genetico) si coglie immediatamente l'attualita' della intuizione adleriana.
Fondamentale e' poi la visione dell'uomo come unita' globale inserita in una rete di rapporti.
"Adler non si limito' a inquadrare un organo psichico unitario, matrice sia delle attivita' coscienti che di quelle inconsce, ma intui' nell'uomo una piu' vasta e articolata unita' psico-fisica, avvertendo una complessa rete di scambi e condizionamenti reciproci, capaci di avvincere l'una all'altro la psiche e il soma" (Parenti F, 1983).
La teoria adleriana considera l'uomo come un'unita' somatica-psichica-sociale inscindibile e su cio' si basa il "modello di rete": "L'individuo, nella sua unita' e totalita', e' situato in una rete di relazioni interpersonali e sociali; ma pure egli radica il senso della propria vita, unico e irripetibile, nel substrato delle reti psicologica e biologica" (Rovera e Coll, 1982).
La tossicodipendenza, infatti mette in difficolta' ogni paradigma (biologico, psicologico, socio-culturale) preso da solo: la radicalita' dell'esperienza tossicomanica (vedi oltre) mette in evidenza il significato di finzione operativa di ogni approccio, utile pragmaticamente per poter avvicinare la realta', ma necessariamente parziale.
La Scuola adleriana e' in grado di evitare il rischio di trasformare le proprie ipotesi in finzioni rafforzate, che postulano di poter realizzare non solo una semplificazione operativa del reale, ma una trasformazione della realta' in qualcosa di "veramente" semplice.
7.1
La tossicodipendenza non puo', quindi, essere considerata come qualcosa che sta dentro l'individuo, un fatto del tutto intrapsichico; ma neppure solo un effetto farmacologico di sostanze particolari o il risultato di una determinato ambiente socioculturale.
La tossicodipendenza e' in grado di "saltare" come un corto circuito, le strutture biologiche e psicologiche piu' evolute dell'individuo, ricollegandosi a strutture primarie e primitive, radicali: sul piano biologico, l'aumento di dopamina nella shell del nucleo accumbens e il coinvolgimento dei circuiti ipotalamo-frontali (reinforcement e reward) fissa l'esperienza degli effetti delle sostanze (le "top five": cocaina, eroina, alcol, cannabinoidi, nicotina) trasformandoli in abitudine e in motivazione alla ripetizione; sul piano psicologico, gli effetti delle sostanze, caldi e nutrienti o esaltanti e trasfiguranti, riescono a sostituirsi ad oggetti piu' simbolici e mentalizzati; sul piano cognitivo ed emotivo, il ciclo desiderio/rifiuto (o vuoto e urgenza/sazieta' e nausea) svuota di senso ogni altra esperienza di vita.
Questi aspetti, che costituiscono la psicofisiopatologia della tossicodipendenza, sono a loro volta modulati dalla capacita' di risposta dell'individuo alle sostanze (determinata geneticamente, oltre che psicologicamente).
Potremmo dire, su questa base, che la tossicodipendenza scaturisce dalla "reazione" tra una sostanza e un "recipiente attivo", dalla relazione che si stabilisce tra soggetto e oggetto.
Del resto, pensando al termine "dipendenza", che si riferisce proprio ad una modalita' relazionale, questa osservazione sembra tautologica.
8.
Se si accetta che la tossicodipendenza non sia esito esclusivamente alla potenza farmacologica della sostanza e dei suoi meccanismi di azione, e peraltro non sia neppure esclusivamente un "prodotto" della psiche che sceglie una modalita' di espressione o di compensazione tra le tante, ma che sia invece una patologia della/nella relazione tra soggetto e sostanza, si deve anche riconoscere che esistono importanti diversita' nell'universo di chi assume droghe: il rapporto soggetto-sostanza non e' unico e identico per tutti e bisogna riconoscere che, anche considerando la medesima sostanza e soggetti con uguali condizioni psicopatologiche, e' possibile distinguere almeno quattro pattern di relazione: uso, abuso, dipendenza e mania.
L'uso (cioe' una assunzione di sostanza che non comporta problemi di nessun tipo) di sostanze potenzialmente tossicomanigene e' certamente possibile: nella nostra cultura questo e' evidente per l'alcol dove, a fianco di moltissimi alcolisti, esistono consumatori che mai, in vita loro, manifestano problematiche alcolcorrelate, anche quando possono essere presenti disturbi dell'umore o di personalita'.
L'assunzione di sostanza che causa problemi non di per se', ma esclusivamente in relazione al contesto in cui avviene, e' un abuso (cfr. DSM IV); il contesto puo' essere di tipo normativo (divieti per Legge), di tipo sanitario (protezione da rischi), di tipo relazionale (conflittualita').
La dipendenza e' la necessita' di assumere la sostanza per compensare una alterazione dell'omeostasi (biopsicologica) dell'individuo indotta dalla sostanza stessa, che ne compromette la funzionalita' (cognitiva, emotiva, fisiologica); (attenzione: non sono indispensabili tolleranza e astinenza per fare diagnosi: cfr. DSM IV). Nella dipendenza, l'assunzione di sostanza restituisce al soggetto in astinenza una condizione di apparente equilibrio che mima la "normalita'".
La distinzione tra dipendenza fisica e dipendenza psichica e' superata e fuorviante: i sistemi interessati dal meccanismo della dipendenza rappresentano l'anello di congiunzione tra cervello e mente, tra biologico e psicologico, tra soma e psiche e non si da' l'uno senza l'altro.
Non si considera dipendenza la necessita' di assumere sostanza (ad esempio, un farmaco qualsiasi) se la sostanza non corregge uno stato di squilibrio da essa stessa determinato (non sono dipendenze quelle da terapie sostitutive ormonali, ma neanche quelle da oppiacei per la terapia del dolore, ad esempio, neoplastico e per due motivi:
1) il dolore neoplastico non e' stato indotto dalla cessazione dell'assunzione della sostanza;
2) tolleranza e astinenza, eventualmente indotte dagli oppiacei, non bastano a fare diagnosi di dipendenza:
per il DSM ci vogliono almeno 3 criteri, e il terzo e' di tipo comportamentale; se non si innesca un meccanismo "affettivo" nella relazione tra soggetto e sostanza, i semplici meccanismi biologici di assuefazione non caratterizzano una tossicodipendenza).
La mania e' una assunzione di sostanza dominata dalla impulsivita', dalla escalation della avidita', dalla coartazione della coscienza anche durante e dopo l'assunzione; la sostanza non apporta ri-equilibrio e compenso come nella dipendenza, e non consente una ripresa apparentemente normale delle funzioni cognitive, emotive, biologiche, ma anzi amplifica sempre di piu' lo squilibrio dell'individuo.
9.
L'incontro con la sostanza tossicomanigena e' radicalmente trasformativo: il soggetto fa una esperienza che lo cambia in profondita', in quanto, come detto sopra, coinvolge le dimensioni biologiche e psicologiche piu' profonde.
Questo cambiamento diventa una esperienza di riferimento per il soggetto e non e' piu' cancellabile dalla sua memoria; ogni altra esperienza verra' confrontata con quella e, senza una adeguata elaborazione, ne uscira' perdente (che cos'altro puo' dare simili gratificazioni, un simile piacere, un simile desiderio? E perche' ci si dovrebbe rinunciare? Il premio e' talmente grande, o la tensione del desiderio talmente insopportabile, che la stessa vita sembra niente, pur di ottenerlo o di liberarsene).
Anche quando tutto sembra rovinato dalla droga, l'abitudine e' talmente radicata da non poter essere scambiata con altro.
Per di piu', le modalita' di vita del tossicomane sono fortemente stressanti, emozionanti, ed esercitano un efficace effetto di compenso alla depressione disperante che incombe, sostenendo difese di tipo maniacale.
Se sopra abbiamo sostenuto che non e' possibile riconoscere una personalita' premorbosa tipica del tossicodipendente, vogliamo ora affermare che questa "trasformazione" operata dall'esperienza della sostanza fa convergere le modalita' di funzionamento di soggetti, in origine molto diversi tra loro, verso alcune caratteristiche che potremmo definire come "personalita' post-morbosa" del tossicodipendente.
Infatti, i soggetti tossicodipendenti, pur diversissimi tra loro e anche se in forme e in dimensioni diverse, condividono questi aspetti:
Avidita': la pulsione orale divoratrice, il bisogno di introdurre in se', di ingoiare, il tutto e subito, il trionfo maniacale dell'annientamento di ogni ostacolo (meccanismo che funziona anche nei confronti del programma di cura, che si vuole rapido e indolore);
Compulsivita'/impulsivita': l'insorgere del desiderio, subdolo o tumultuoso, che sfuoca ogni altro oggetto, che cambia il valore alle cose, il modo di pensare, cui segue la scarica motoria del passaggio all'atto e il down successivo, determinando una discontinuita' emotiva e cognitiva traumatica e destabilizzante;
Lutto per l'oggetto perduto: l'oggetto-droga lascia un vuoto profondo nella vita del paziente, vuoto difficilmente colmabile da altri oggetti, meno totalizzanti e gratificanti.
Il paziente vive un disorientamento esistenziale, nel quale il sentimento prevalente e' la nostalgia per cio' che si e' lasciato e non si puo' sostituire.
Inoltre, siccome il lutto e' metaforico e dipende da una rinuncia affidata alla sua scelta (che e' sempre reversibile), il pensiero e l'umore del paziente oscillano tra il desiderio di cedere e il desiderio di astenersi;
Rimpianto per dimensione fusionale-eroica: l'alto livello emozionale connesso allo stile di vita tossicomanico sostiene vissuti eroici, grandiosi (pur nella tragicita') che offrono un senso di pienezza appagante, anche se fittizio.
Il coinvolgimento di strutture biologiche e psicologiche profonde e arcaiche, connesse al piacere, sostiene la sensazione di vivere una esperienza totalizzante, che altera i confini e le forme delle parti di se' e degli oggetti esterni e offre una percezione esaltante di pseudounita' (fusione).
La rinuncia nei confronti della droga non cancella il ricordo, la memoria dell'esperienza, che subisce, nel tempo, una trasformazione che cancella gli aspetti negativi (che motivano al cambiamento) e trattiene quelli positivi (che amplificano il rischio di ricadute).
La vita senza droga offre spesso panorami spenti e grigi, depressivi, nei quali non vi e' traccia di grandiosita': il processo di adattamento ad una vita "normale" non procede spontaneo e lineare.
Discontinuita' del Se': il soggetto si vive, in relazione al suo rapporto con le sostanze (prima della tossicodipendenza, durante la tossicodipendenza, dopo la cessazione dell'assunzione di sostanze), come "interrotto".
Nella fase di separazione dalla sostanza, cerca di ricongiungersi al suo ricordo di come era prima della tossicodipendenza, tentando di eliminare, oltre alla sostanza, anche il periodo di vita ad essa connesso come se fosse una "non vita", un tempo "fermo" e sradicato, durante il quale non era veramente se stesso.
Il tentativo di cucire il presente direttamente al prima saltando il "mentre", forma una piega (come quando si cuciono insieme parti lontane di un tessuto) nella storia personale nella quale rimangono nascoste, come in una tasca, parti di se'.
La gestione di questa operazione di nascondimento richiede in realta' molte energie e restituisce al soggetto la sensazione di non avere la capacita' di ricongiungere le diverse parti della storia personale in un continuum di senso.
Anche questo aspetto sostiene la particolare depressione da cessazione dell'assunzione di sostanze e alimenta il malessere che puo' spingere alla ricaduta, illusorio appianamento del tessuto attraverso l'eliminazione del "dopo".
9.1
Questi aspetti individuano la psicopatologia specifica dei tossicodipendenti, che li condividono a prescindere dalla loro personalita' premorbosa, dalla storia personale, dalle condizioni socioeconomicoculturali, dal patrimonio genetico, dal tipo di sostanza assunta.
Ovviamente, tutti questi fattori modulano i diversi items nella loro espressione qualitativa e quantitativa, rendendo unica e irripetibile la persona (e offrendo anche la possibilita' di organizzare dei cluster; ad esempio, i consumatori di crack hanno alcune caratteristiche prevalenti diverse dagli alcolisti e comuni tra di loro), ma non ne inficiano il significato.
10.
Queste caratteristiche consentono di fare una diagnosi di patologia da dipendenza attraverso la valutazione psicopatologica anche in assenza di una assunzione in atto di sostanze e anche se non coesistono comportamenti antisociali che, in questa prospettiva, assumono il valore di fattori complicanti, che aggravano il quadro clinico, ma non lo definiscono.
Gli aspetti sociologici, spesso associati alla tossicodipendenza in modo stereotipato (comportamenti devianti e criminali, amorali, trascuratezza per la propria salute, etc.) hanno a volte un ruolo confondente, spingendo lo psicoterapeuta a considerare sostanzialmente diverse le problematiche del paziente benestante e colto (in cui si tende a riconoscere una psicogenesi significativa e la necessita' di una psicoterapia) da quelle del paziente deprivato (per il quale si privilegiano letture socioculturali e interventi rieducativi).
Se le differenze di intervento sono certamente segno della competenza del terapeuta (e della disponibilita' di servizi), non bisogna tuttavia dimenticare che il nucleo biopsicopatologico e' comune e che la risposta terapeutica al problema del paziente deve certamente essere modulata in relazione alle risorse del paziente, ma e' una risposta alle stesse identiche domande fondamentali.
Il problema e' fare un corretto inquadramento diagnostico, piu' che categorie sociologiche.
11.
Non si vuole, in questa sede, approfondire il discorso psicoterapeutico, per il quale si rimanda ad un prossimo intervento.
Tuttavia appare opportuno sottolineare che un approccio al problema quale quello sopra proposto, che e' stato elaborato nella attivita' clinica svolta sia in ambito privato, sia in ambito pubblico in un Servizio metropolitano, riporta in primo piano l'importanza dell'approccio psicodinamico nella cura della tossicodipendenza, certo in una gestione multidisciplinare del paziente.
Il rapporto psicoterapeutico puo' offrire, attraverso una relazione significativa, una possibilita' di scambio al paziente.
Non sono le punizioni che sostengono la motivazione al cambiamento, quando reward e reinforcing sono cosi' potenti; al massimo possono favorire il mimetismo dei comportamenti.
Non e' sul piano operativo che si puo' offrire uno stile di vita interessante: non e' con una borsa lavoro da 400,00 € al mese e con lo stile di vita che tale cifra consente che si motivano persone abituate a ben altre emozioni.
E' sul piano del confronto sulle scelte di vita, sul senso dell'esistere che l'incontro psicoterapeutico offre al paziente (e al terapeuta) possibilita' di nutrimento e di sollievo, di scambio di oggetti, di resetting delle strategie di gratificazione, di rifinalizzazione del progetto di vita, opportunita' di riconoscere dimensioni autentiche che permettono di ridimensionare la rinuncia a un livello sostenibile e di elaborare il ricordo in qualcosa di appartenente alla propria storia passata (ovviamente, senza mai dimenticare che il percorso psicoterapeutico e' parallelo a - e incide su - il processo di reversione del "brain reward system").
Conclusione
Quanto sopra vuole essere uno stimolo a riflettere sulla tossicodipendenza in modo piu' "penetrante", con lo scopo di riaffermare l'importanza dell'approccio olistico alla comprensione del problema e della psicoterapia psicodinamica nel trattamento di questa patologia.
E' un primo approccio (anche se giunge dopo anni di interrogativi) che deve essere sviluppato, ma che vuole proporre una riflessione sulla tossicodipendenza fatta non dall'esterno, con il rimando ad altro, ma da una posizione di vicinanza, che consenta il riconoscimento della "luce" che questa patologia proietta sulla esistenza umana.
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