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Psicopatologia della dipendenza da sostanze: un approccio psicodinamico (prima parte)

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APPROCCIO PSICODINAMICO AL TOSSICODIPENDENTE

Psicopatologia della dipendenza da sostanze

di Emanuele Bignamini e Roberta Bombini


Premessa

Nei punti che seguono si cerchera' di sviluppare alcune considerazioni sulla necessita' di far fare, all'approccio psicodinamico alle tossicodipendenze, un passo ulteriore, per riuscire a valorizzare l'irrinunciabile contributo che, secondo chi scrive, questo approccio da' alla comprensione e alla cura di questa patologia.
Attualmente, le neuroscienze e la cura farmacologica da una parte e il paradigma cognitivo-comportamentale dall'altra, occupano quasi tutta la scena delle tossicodipendenze, mentre si afferma sempre di piu' l'idea che l'approccio psicodinamico sia interessante sul piano della astratta teoria, ma di fatto ben poco potente sul piano dell'intervento.
Questa convinzione e' condivisa purtroppo, dagli stessi psicoterapeuti e se e' vero che anche lo psicoterapeuta vive e lavora in una societa' (per una societa') della quale fa parte, che lo ha formato e che lo fa vivere, possiamo capire che anche la ricerca psicodinamica possa avere condiviso, in questo senso, i pregiudizi che considerano il fenomeno della tossicomania "distante" (alieno, non comprensibile in se') o segno che rinvia a qualcosa d'altro, e che portano a privilegiare quindi un approccio piu' astratto, o letterario, che strettamente clinico e immerso nella comprensione dell'esperienza.
Del resto, e' noto come i pazienti tossicodipendenti non diano particolari soddisfazioni allo psicoanalista nel setting abituale, fatto confermato dalla scarsita' di studi e di lavori sulla psicoterapia psicodinamica della tossicodipendenza (mentre sono decisamente piu' numerosi quelli di scuola cognitivo-comportamentale, che consente di trattare il problema dall'esterno, in ordine ad un modello di "normalita'" proposto da una committenza terza).
Lo sfumare dell'approccio psicodinamico nella pratica clinica costituisce un impoverimento che riduce le possibilita' di elaborazione e di cura della condizione patologica.
Questa affermazione va pero' sostenuta con un contributo concreto alla clinica delle dipendenze da sostanze; qui di seguito si propongono alcuni stimoli in questa direzione.
Specifici aspetti propedeutici, tra cui la definizione concettuale di patologia da dipendenza, non potranno essere qui ripresi per questioni di spazio e di focalizzazione del discorso.
Si rimanda per questi ai lavori originali (Bignamini E et altri, 2002; Bignamini E, Bombini R, 2003)


1.
Qualsiasi approccio psicodinamico alla tossicodipendenza tende a considerare una serie di eventi concatenati ricercando il senso o la causa della condizione in atto in qualcosa di accaduto "prima": la genesi della tossicodipendenza e' rintracciata in altri problemi, precedenti e sottostanti, che avrebbero significato strutturale, mentre essa e' considerata generalmente un epifenomeno o addirittura semplicemente un sintomo o una forma espressiva del disturbo psicopatologico.
Questa impostazione rende difficile (da una prospettiva psicodinamica) la comprensione della tossicodipendenza come patologia: il "vero problema" sarebbe sempre da inseguire altrove e la tossicomania sarebbe solo una particolare forma di quel problema.
Certamente questo puo' essere verificato in alcune circostanze, ma e' altrettanto vero che in molte altre rimane una petizione di principio, difficile da riconoscere nel caso clinico, spesso indimostrabile e a volte fuorviante; si potrebbe applicare anche al caso della tossicodipendenza una critica di Kernberg (Kernberg O, 1985) alla applicazione rigidamente astratta delle teorie psicologiche: "l'applicazione senza adattamenti della medesima tecnica psicoanalitica a pazienti con ogni grado di psicopatologia... riflette sul piano clinico la tendenza a sottovalutare l'importanza dei fattori ambientali e a sopravvalutare invece l'importanza della presunta intensita' innata delle pulsioni...le interpretazioni comportano il rischio di indottrinare intellettualmente i pazienti".
Se quindi e' vero che l'abuso di sostanze e' solo un item per fare diagnosi (con il DSM-IV) di disturbo di personalita' borderline, e' altrettanto vero che la tossicodipendenza si configura come qualcosa di sostanzialmente diverso dalla semplice assunzione di sostanze.


2.
Come esemplificazione del fatto che la tossicodipendenza e' abitualmente affrontata "come se" fosse qualcosa d'altro (e senza la pretesa di riassumere o tantomeno di discutere in questa sede le posizioni degli Autori) si ricorda che per Rosenfeld la personalita' del tossicodipendente e' sovrapponibile a quella della sindrome maniaco-depressiva; Meltzer definisce come tossicomania "...un tipo di organizzazione narcisistica delle strutture infantili che indebolisce e puo' eliminare la parte adulta della personalita' dal controllo del comportamento"; Bowlby, elaborando la teoria generale dell'attaccamento, descrive la condizione di "iperdipendenza", che viene successivamente definita meglio come "attaccamento ansioso" o "immaturo"; Kohut inquadra la tossicomania nell'ambito dei disturbi narcisistici, per cui la droga e' "una sostituzione di una funzione che l'apparato psichico non puo' svolgere, non un sostituto di un oggetto d'amore o da cui essere amati".
Bergeret sostiene che non esiste una struttura di personalita' specifica del tossicomane e che non c'e' una struttura psichica profonda che caratterizza i comportamenti di dipendenza, mentre qualunque tipo d'organizzazione mentale puo' dare loro origine e individua quindi tossicomani a struttura nevrotica, tossicomani con modalita' di funzionamento mentale di tipo psicotico, tossicomani con un'organizzazione depressiva della personalita'.
Olievenstein, allievo di Lacan, e' forse l'unico che dedica una parte significativa della sua attivita' non solo di ricerca, ma anche di cura, ai tossicomani, e conduce osservazioni su circa 12.000 casi seguiti presso il Centro Medico Marmottan di Parigi.
Anch'egli pero', pur individuando uno specifico meccanismo psicologico per descrivere la genesi della dipendenza (la teoria della "fase dello specchio infranto", per la quale il rituale tossicomanico trae origine dall'esperienza di una simultaneita' del riconoscimento del Se' e della sua frattura ed e' basato sulla ricerca ad ogni costo di provare di nuovo, tramite il farmaco, quella prima esperienza d'incontro riuscito con l'immagine del Se' solo intravista.
La droga equivale allo sprofondarsi nell'arcaico, nel pregenitale, rimettendosi nella posizione del bambino piccolo e annullando la frattura), da un punto di vista fenomenologico e clinico, conferma le osservazioni di Glover: "il tossicomane somiglia sempre "un poco" a qualcosa gia' conosciuto clinicamente" (e cita elementi di psicoticita' maniaco depressiva o paranoie ed elementi di perversione, in particolare l'omosessualita').


3.
Anche la prospettiva adleriana riconduce la tossicodipendenza agli schemi fondamentali della teoria; forse la centralita' di altri interessi di ricerca e la relativa novita' del problema sul piano clinico, ha relegato, anche nella ricerca di matrice individualpsicologica, la tossicodipendenza ad aree periferiche di attenzione, non favorendo un completo dispiegarsi della notevole potenzialita' che la teoria adleriana puo' dimostrare proprio in questo ambito.


3.1
Adler, per spiegare le dinamiche che stanno alla base delle tossicodipendenze, utilizza alcuni concetti fondamentali della Psicologia Individuale, quali: l'intelligenza privata, i falsi scopi, il pensiero antitetico, la finzione, cosi' come vengono elaborati dal bambino viziato o trascurato e maltrattato.
L'intelligenza privata (o "personale") e' un meccanismo comune nei nevrotici, che ha come scopo quello di giustificare i pensieri e le azioni del soggetto e che e' suscettibile di errori, proprio perche' risponde a bisogni soggettivi.
Infatti, il desiderio del soggetto di evadere dalle richieste della vita, di evitare di prendere decisioni, di scappare davanti alle proprie responsabilita', portano il soggetto stesso a crearsi un proprio mondo individuale all'interno del mondo collettivo.
I falsi scopi (modalita' comportamentali o di reazione tipiche, attivate dai bambini in situazioni di scoraggiamento, finalizzate al recupero di una certa sicurezza e quindi alla capacita' di affermarsi per ritrovare una collocazione sociale.
Dreikurs R., 1969, evidenzia quattro falsi scopi che un bambino puo' mettere in atto per trovare una propria collocazione: attenzione indebita, lotta per il potere, vendetta, totale inadeguatezza) sono modalita' psicologiche di rassicurazione disadattative, lesive per se stessi e per gli altri.
Il pensiero antitetico, dal punto di vista adleriano, e' la percezione della realta' basata sugli opposti (alto/basso, maschile/femminile) e concorre a determinare lo stile di vita.
Nel tossicodipendente si possono osservare quelle modalita' dinamiche che lo spingono a passare da uno stato di inferiorita' a una condizione di superiorita'; infatti, egli combatte una specie di lotta contro la sostanza stessa, perseguendo una volonta' di potenza che lo porta a pensare di poter gestire la droga in una sfida nella quale egli si percepisce come vincitore, mentre viene sconfitto.
Le finzioni patologiche sono strumenti che permettono al tossicomane di costruirsi un mondo fittizio, sognante, che permettono di fuggire dalla realta' e di alleviare l'ansia che deriva dal caos in cui e' immerso.
Adler sostiene che il soggetto che fa uso di sostanze vuole cancellare il proprio sentimento di inferiorita'; la sostanza viene usata per non dover affrontare i problemi che la realta' impone e assumerla da' una percezione fittizia del mondo, che pero' viene assunta "come se" fosse reale.
Il benessere indotto dalle sostanze non permette all'individuo di capire e risolvere le sue problematiche, ma lo induce all'abuso per poter rivivere le sensazioni piacevoli e riprodurre il mondo fittizio.
Si instaura quindi, nel tossicodipendente, un sistema di finzioni atto a difendere il precario senso d'identita' raggiunto, negandone gli aspetti problematici.
Le relazioni infantili con le figure genitoriali hanno, sempre secondo la Scuola adleriana, un ruolo molto importante nello sviluppo delle tossicodipendenze.
Il bambino viziato sviluppa una dipendenza assoluta soprattutto con la madre, che non permette di procedere secondo un corretto processo di individuazione: "abituato alla costante presenza di una persona, ogni situazione che ne preveda l'assenza appare ora inaccettabile" (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997).
Il tossicodipendente sostituisce alla madre la sostanza stupefacente, sempre presente e capace di nutrire il soggetto.
L'insicurezza profonda che lo caratterizza fa si' che percepisca la sua insufficienza di fronte alla realta' esterna e usi la droga come agente deresponsabilizzante.
Egli, fuggendo dalla realta', imputa all'ambiente ogni proprio fallimento e non sviluppa adeguatamente il sentimento sociale.
Nel contesto sociale, non riuscira' piu' a trovare la dimensione viziante dell'infanzia e quindi vivra' un disagio nelle relazioni con il mondo e non sara' in grado di realizzare i compiti vitali autonomamente.
Il bambino trascurato o maltrattato non ha avuto accanto a se' persone che si sono prese cura di lui e che hanno cercato di alleviare il primissimo sentimento di inferiorita' fisiologico.
Il bambino, in questo caso, non riesce a raggiungere un sufficiente grado di autonomia e cio' aggrava il suo sentimento d'inferiorita', trasformandolo in complesso d'inferiorita'.
Adler ha paragonato lo stile di vita del tossicomane con quello del melanconico, il quale utilizza la propria debolezza come un'arma per evitare le responsabilita', aspirando a "costringere l'altro alla propria volonta' e a conservare il prestigio, mediante l'anticipazione della rovina" (Adler A, 1920).
La droga favorisce l'illusione di significativita': i drogati hanno mete troppo elevate che non possono essere raggiunte; cio' produce frustrazione e l'uso della sostanza per alleviarla, permettendo loro di illudersi, rifugiandosi nel mondo della fantasia.


3.2
La Psicologia Individuale ha cercato di descrivere lo stile di vita tossicomanico, analizzando sia la psicogenesi sia la finalita' delle scelte dell'individuo.
"Secondo Adler, la ricerca del piacere e' all'origine del comportamento che porta alla dipendenza" (Anglesio A, Fulcheri G, Sanfilippo B, 2000).
Adler ritiene che i meccanismi che stanno alla base della dipendenza siano gli stessi delle nevrosi, delle difficolta' educative e delle perversioni.
Infatti egli pone sullo stesso piano i soggetti che abusano di sostanze, i nevrotici e i criminali e considera la tossicodipendenza come un sintomo nevrotico causato da un mancato adattamento alla vita, che si manifesta, fin dall'infanzia, con comportamenti quali scoraggiamento, vigliaccheria, inadeguatezza, tutti dovuti a uno scarso sviluppo di sentimento sociale.
Tutto cio' puo' portare l'individuo ad isolarsi per superare il sentimento di inferiorita', usando una sostanza per non dover affrontare i problemi che la realta' gli impone.
Infatti, uno dei fini dell'uso di sostanze e' quello di evitare di prendere decisioni, di non dare risposte alle domande che la vita impone.
Il temperamento dei tossicomani, come osserva Parenti (Parenti F, 1983), presenta alcuni aspetti comuni.
Tra questi troviamo la tendenza a mentire e il diritto a ricevere.
La tendenza a mentire, l'iperdifesa, l'arroganza, contraddistinguono tutto lo stile di vita del tossicomane dando un'immagine di se' del tutto negativa e una diffidenza verso il mondo esterno che viene rappresentato come ostile.
Il drogato nasconde la sua dipendenza e cio' scaturisce dall'ambivalenza fra la scelta tossicomanica e il timore di punizioni.
L'altra caratteristica evidente del temperamento del tossicomane e' la convinzione del diritto a ricevere.
"Gia' in partenza il tossicomane e' spesso un individuo debole, emotivamente a livello infantile, con la sindrome caratteriale del bambino viziato.
La dipendenza da sostanze tossiche lo fa ulteriormente regredire e lo conduce ad elaborare un tipo di richiesta analoga al "pianto cattivo", con cui nell'infanzia si esige l'osservanza di una promessa non mantenuta.
Inoltre il drogato vive la sua scelta o come una finzione eroica o come una protesta scettica verso un mondo ostile.
La tenuta di questo artificio gli impone la recitazione di una superiorita' emarginata e un disprezzo per i "cosi'ddetti normali", nei confronti dei quali egli deve avanzare le sue esigenze con arroganza e non puo' manifestare gratitudine quando sono appagate, per non far crollare tutto il suo edificio compensatorio" (Parenti F, 1983).
Il tossicodipendente e' consapevole di commettere un crimine e per giustificarlo deve colpevolizzare ulteriormente la societa'.
Egli ha una mentalita' dissociale che lo rende sospettoso e sempre attento.
I reati che commette per procurarsi le sostanze tossiche sono vissuti come la conseguenza di una mancata concessione e della frustrazione di un diritto.
Inoltre Adler ha evidenziato come l'irritabilita', la rabbia, l'aggressivita', l'impazienza, la spacconeria, l'ambizione, la disobbedienza e la tendenza criminale, siano presenti nella personalita' tossicomane e come siano espressione di un'aspirazione alla superiorita' derivante da una compensazione verso un sentimento d'inferiorita'.
Si puo' quindi dire che il tossicomane e' un "tipo attivo, ma non ha abbastanza sentimento sociale" (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997).
Adler inserisce i tossicomani nella categoria del tipo "che domina", collerico: "individui il cui approccio alla realta' mostra dall'infanzia e per tutta la vita, un atteggiamento dominante e "soggiogante" [...].
A questo tipo appartengono anche i suicidi e i tossicomani" (Ansbacher H, Ansbacher R, 1997).
Infine la droga puo' anche essere una forma di giustificazione di fronte al fallimento della proprie azioni.
Adler paragona la tossicodipendenza allo stato di un nevrotico che si rifugia in manicomio per evitare le responsabilita': "il suo orgoglio tremante lo sedusse a rifugiarsi nella malattia che lo salvava, come in altri casi si cerca un narcotico, per esempio nell'alcolismo o nel morfinismo" (Adler A, 1920).


4.
Di fatto, per chi ha a che fare con numerosi tossicodipendenti tutti i giorni, molto diversi tra loro per condizione socioculturale, storia personale, famiglia d'origine, pattern d'uso di sostanze, molte domande rimangono ancora aperte: nel momento in cui si e' fissata una tossicodipendenza, tutti questi soggetti cosi' diversi hanno qualcosa in comune? Che cosa? Le osservazioni e le descrizioni sopra riportate si adattano ad alcuni casi, ma non rendono ragione in modo soddisfacente delle variazioni presenti nei soggetti accomunati dalla tossicodipendenza.
L'omogeneita' che sembra essere suggerita dalle discussioni teoriche si infrange e si disperde nella frammentazione dei casi clinici, cosi' diversi tra loro e dalla teoria, sospingendo nuovamente lo psicoterapeuta alla ricerca di terreni apparentemente piu' solidi (qualcosa d'altro, che non la tossicomania).
Ma e' cosi' vero che tra tutte le situazioni, cosi' diverse, che capitano all'osservazione del clinico non si possa trovare qualcosa di comune e di specifico, qualcosa che non sia "altro" e che individui adeguatamente la condizione patologica?


5.
La convinzione che dovesse sussistere in ogni caso una sequenza tra un prima e un dopo, tra accadimenti o condizioni psicopatologiche predisponenti allo sviluppo successivo della tossicomania ha sostenuto numerose ricerche tese a "scoprire" una eventuale personalita' premorbosa tipica del tossicodipendente (una "addiction personality"), cioe' caratteristiche costanti, coerenti, pregnanti e predittive rintracciabili nella personalita' (o nello sviluppo psicoaffettivo) di soggetti che poi diventeranno tossicodipendenti.
Dispiace riconoscere che tante fatiche non hanno dato frutto e che, ad oggi, non sia possibile descrivere una "personalita' premorbosa specifica" del tossicodipendente.
Anche l'ultima versione della tipologia delle "dipendenze patologiche" (modernizzazione impropria del termine "tossicodipendenze", cfr Bignamini E, Bombini R, 2003) elaborato da Cancrini (Cancrini L, 2003), anche se apparentemente piu' raffinata, non esce dal loop concettuale: il discorso psicopatologico non puo' che riguardare cio' che e' "precedente" o "sottostante" la tossicodipendenza.
Cio' che interviene nel rapporto con la sostanza e cio' che e' determinato dall'effetto della sostanza, anche sul piano psicologico, non interessa perche' viene riduttivamente visto come un riduzionismo farmacologico.
Del resto, le stesse tipologie di Cancrini, che comprendono nella revisione attuale la dipendenza reattiva o da disturbo dell'adattamento, la dipendenza di area nevrotica, le dipendenze che si instaurano su precedenti disturbi di personalita' (borderline, istrionico, dipendente, schizoide, schizotipico ed evitante, narcisistico, antisociale), paiono descrivere piu' l'universo della psicopatologia che il sottoinsieme della patologia da dipendenza.
Curiosa e' anche la nota con cui Cancrini riconosce che alcune dipendenze traumatiche possono insorgere in "persone che presentano un quadro di personalita' sostanzialmente normale".
L'osservazione pero', invece di stimolare la riflessione, viene liquidata con la considerazione che riguarda "solo un piccolo numero di dipendenze".
Ammesso che il "piccolo numero" corrisponda alla realta' e che non sia un errore di campionamento, il dato pare comunque interessante: non solo la tossicodipendenza puo' insorgere in ogni possibile condizione patologica precedente, ma addirittura anche in chi non ha alcuna situazione psicopatologica precostituita ed e' invece sostanzialmente sano e diventa tossicodipendente in seguito ad un "trauma".
La domande che rimangono aperte sono dunque "la tossicodipendenza che insorge in cosi' diverse personalita', che cosa e' allora? Che cosa si fissa nella risposta disadattativa, ad esempio di un soggetto sano?" e "che cosa dobbiamo trattare sul piano psicoterapeutico in un soggetto sano in cui si sia strutturata la tossicodipendenza?".
La ricerca di risposte a queste domande porta necessariamente ad occuparsi della psicopatologia della dipendenza e non consente piu' il rifugio in giochi esplicativi che in realta' non aiutano a capire.
A fianco e in dialogo con queste ricerche sulla personalita' premorbosa, molte altre energie ancora sono state spese per cercare di correlare eventuali aspetti psicopatologici pre-tossicomanici con la preferenza per una particolare sostanza piuttosto che un'altra.
Queste ricerche erano sostenute anche da una osservazione un po' generica, ma apparentemente indiscutibile, di una certa "fedelta'" del soggetto alla sostanza cosiddetta primaria; osservazione che veniva assunta come dato clinico da studiare (il problema della "preference"), escludendo pero' sia osservazioni di tipo socioculturale ed economico, sia considerazioni di tipo piu' strettamente psicobiologico, quali quelle relative all'imprinting.
I depressi assumerebbero l'eroina per attenuare l'angoscia, i maniacali la cocaina per sostenere l'euforia, gli psicotici gli psicodislettici, sia per entrare in un mondo allucinato consono al loro stato mentale, sia in modo difensivo per giustificare la loro dissociazione (Bergeret J, 1982): queste, schematicamente, alcune ipotesi, finora non sufficientemente dimostrate.
La teoria della preferenza per una specifica sostanza, oggi, viene messa a confronto con i nuovi stili di consumo, caratterizzati da un'ampia gamma di sostanze interscambiabili da parte del consumatore o scelte in relazione allo stato psichico voluto, cosi' come deve tenere conto delle politiche di marketing e di vendita di alcune sostanze (in questo periodo, ad esempio, la politica dei prezzi per lo sviluppo dell'uso della cocaina): il legame tra struttura di personalita' o disturbo psicopatologico e tipo di sostanza ne risulta di molto allentato o quanto meno relativizzato da altri fattori apparentemente piu' cogenti.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)