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Quando i social diventano malattia

Quando i social diventano malattia

QUANDO I SOCIAL DIVENTANO MALATTIA
Staccarsi dal mondo virtuale aiuta a ritrovare la personalità e le reali esigenze degli individui. Dall'oversharing al phubbing, ecco cosa rischia chi non sa vivere offline.


Eliminare i social dalla propria vita, anche se per breve tempo, potrebbe essere salutare. A suggerirlo è il saggio del filosofo francese Pierre Zaoui, L’arte di scomparire. Un’opera in cui si esalta il ‘vivere con discrezione’, lontano dai riflettori e dalla volontà di condividere con il mondo la propria esistenza. E proprio da qui è iniziata la lunga riflessione della psicoterapeuta Maria Claudia Biscione intervistata da Repubblica.


DIPENDENZA SOCIAL
Secondo il report annuale di We Are Social del gennaio 2015,
in Italia per più di due ore al giorno uomini e donne restano collegati ai social network. Una dipendenza, secondo la Biscione, dovuta all’incapacità di stare da soli. «L’esserci è diventato l’essere. La continua pressione a un’esposizione pubblica ha reso sempre più indispensabile il bisogno di una vetrina mediatica come luogo in cui rispecchiarsi, per vedersi, riconoscersi e soprattutto definire chi si è», ha spiegato la psicoterapeuta. Una ricerca di se che non può prescindere dagli altri, inconsapevoli spettatori delle manie dell’ego altrui.


OVERSHARING
«Con la diffusione dei social network è aumentato il numero di comportamenti egocentrici, intesi come il bisogno impulsivo di attirare l’attenzione per sentirsi riconosciuti e apprezzati», ha proseguito la Biscione. Questo fenomeno si chiama oversharing, ovvero la necessità di condividere sul web ogni minimo dettaglio della propria vita privata davanti ad una platea spesso sconosciuta. Ma la condivisione ossessiva-compulsiva nella speranza di apparire e diventare popolari spesso crea il risultato opposto.


PICCOLE DOSI
Questo postare senza posa selfie, status e opinioni, può portare ad una vera e propria dipendenza dai social. «Nei casi più gravi, può esserci il rischio di phubbing, ovvero l’impulso a maneggiare costantemente il cellulare, allontandosi dalle persone che si hanno davanti», ha confermato la psicoterapeuta. L’estraniarsi dalle situazioni che ci circondano, porta questi soggetti affetti da phubbing a un distanziamento emotivo dal mondo e da sé stessi. Questo, nel tempo, porta tali individui a vivere in un mondo parallelo e immaginario. Ma, soprattutto, viene eliminato quell’elemento di discrezione e privacy che ogni persona dovrebbe riuscire a ritagliarsi nell’arco della sua giornata.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://letteradonna.it/184348/social-network-dipendenza-filosofo-pierre-zaoui-maria-claudia-biscione-psicoterapeuta/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)