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Quando internet diventa una droga: intervista al dr. Federico Tonioni

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Quando internet diventa una droga
L'avvento dell'era digitale, oltre a cambiare le nostre vite, ha modificato anche i rapporti tra genitori e figli, ponendo nuovi problemi che

non fanno che aumentare una fisiologica distanza intergenerazionale. Federico Tonioni, ricercatore dell'Istituto di Psichiatria e Psicologia,

Facoltà di Medicina dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del Centro per la dipendenza da internet e le psicopatologie da

web del Policlinico Gemelli di Roma, si occupa di dipendenza patologiche da molti anni. Per Einaudi, in collaborazione con Massimo Vasale,

Lucio D'Alessandris, David Martinelli e Francesca Volpe, ha pubblicato Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere,

un manuale dedicato a tutti quei genitori che, senza diventare invadenti, vogliono comunque sapere di più della "vita digitale" che conducono i propri figli.
Parliamo del suo lavoro e della sua esperienza come direttore dell'ambulatorio che si occupa di dipendenze dal web: quanto sono frequenti le dipendenze legate a internet? Colpiscono solo nell'adolescenza o possono colpire anche i bambini? Quando è possibile diagnosticare una dipendenza da internet e quali sono i sintomi?
«La dipendenza da internet rientra nelle dipendenze comportamentali che - esattamente come accade per la dipendenza da sostanze - generano

condotte compulsive, ovvero comportamenti più articolati su una sensazione di bisogno che su un sentimento di desiderio. Parlare però di

dipendenze patologiche in adolescenza può essere improprio, per le caratteristiche di trasformazione e variabilità che fanno parte di questa

epoca della vita. Con gli adolescenti preferisco usare il termine di psicopatologia web mediata, che deriva dall'interazione di problemi

affetivi preesistenti con un uso smodato del web, che tende a diventare una sorta di fuga dalla realtà, in certi casi senza ritorno. Nei

bambini possono porsi le basi per un rischio di questo tipo, che sarà diagnosticato quando accanto a un considerevole numero di ore trascorse

in connessione si accosta un progressivo ritiro sociale, iniziando dalla scuola (che spesso viene interrotta) fino ad uno stato di

incomunicabilità emotiva che isola un adolescente a rischio dai suoi familiari. Un altro sintomo importante è l'aggressività nei confronti di

chi mette in discussione il tempo che si trascorre davanti al computer.»
Giochi online. Un passatempo apparentemente innocuo come un gioco di ruolo online (i cosiddetti mmorpg o mud, le cui caratteristiche sono ben spiegate nel volume), talvolta può trasformarsi in un modo di giocare compulsivo e diventare una vera e propria fuga dalla realtà. Come succede? Quali sono i segnali di allarme che un genitore dovrebbe cogliere?
«Soprattutto per un adolescente alla ricerca della propria identità a volte il ruolo che si svolge in un gioco interattivo è più gratificante

di quello che si svolge nella realtà vissuta "dal vivo". Così un "avatar" può diventare la sede di aspetti idealizzati di noi stessi ai quali

poi diventa difficile rinunciare. Preoccupiamoci se l'investimento mentale su un gioco diventa un investimento affettivo, dove anziché

divertirsi si soffre oltre misura nel caso si perda o si venga "virtualmente uccisi", come accade in molti "giochi di guerra". Un ragazzo a

rischio è un ragazzo che quando gioca ci rimanda un'immagine di chiusura e solitudine.»
Fenomeno Facebook. Nel libro ha dichiarato che "per un giovane, è narcisisticamente piú importante il numero di contatti che si hanno su

Facebook piuttosto che la qualità delle relazioni instaurate, ignorando spesso che non a ogni contatto corrisponde un'amicizia." La necessità

di essere sempre online e di curare il proprio profilo per mantenere le amicizie o per farne di nuove, può essere uno dei motivi per cui

Facebook può scatenare una vera e propria dipendenza?
«Ogni adolescente vive un'esperienza di solitudine interna compensata con la necessità di avere più relazioni possibili con i propri

coetanei. Il vantaggio dei social network è quello di poter moltiplicare le relazioni evitando i contatti emotivi, che sono più complicati

per gli adolescenti e che si attivano solo nelle relazioni vissute "dal vivo". Osservati attraverso una web cam, ad esempio, diventa

difficile "arrossire". Questo può essere un vantaggio solo se la relazione web mediata è in funzione della relazione "dal vivo", altrimenti

si possono cronicizzare problemi emotivi, narcisistici e di relazione preesistenti.»
Come giudica il comportamento di quei genitori che lasciano che i figli, anche molto piccoli, si iscrivano a Facebook o di quelli che creano

un profilo al figlio appena nato?
«Non amo giudicare. Penso invece che fare i genitori, anche per esperienza diretta, sia una cosa complessa. Bisogna evitare che il tempo

trascorso davanti al computer sia condiviso e non sostitutivo di un momento di condivisione. E questo, anche se non è sempre possibile, non

dovrebbe essere un sacrificio ma quacosa che genera piacere. La devozione di un genitore nei confronti del proprio figlio ha a che fare con

quanto stiamo realmente con lui e quanto lo pensiamo quando siamo lontani. Il punto è non alimentare la tendenza a farci sostituire dal

computer. Comunque l'accesso a Facebook non lo consiglio ai minori di 13 anni.»
Nel suo saggio Lei dedica un intero capitolo ai genitori e alle azioni che possono intraprendere per evitare che una sana propensione all'uso

di internet si trasformi in patologia. Ci può riassumere cosa può fare un genitore e cosa invece non dovrebbe fare?
«Presenziare, condividendo esperienze quando è possibile ed evitando forme di controllo a sua insaputa, perché questo non serve a conoscerlo

meglio. Bisogna anche riconoscergli il diritto ad avere una certa distanza da noi, senza che questa diventi un'assenza. Sarebbe importante

provare a chiedere scusa quando ci rendiamo conto di aver sbagliato, così come non sottrarre il computer bruscamente e contro la loro

volontà, perché potrebbe far precipitare la situazione. Le dipendenze quando sono patologiche nascondono sempre angosce più profonde, che a

quel punto non sarebbero più contenute. Meglio proporre uno scalaggio delle ore di connessione. Tutte cose, comunque, più facili a dirsi che

a farsi.»
Per ulteriori informazioni è possibile contattare il Centro per la dipendenza da internet e le psicopatologie da web del Policlinico Gemelli

di Roma: tel. 06 3015 4122 - 06 3015 4332 (telefonare la mattina).
Daria Domenici


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)