Quei giovani fuori dal bar...
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Quei giovani fuori dal bar
FATICO a capire i giovani, nonostante che io me ne occupi da quand'ero giovane. Cioè da molto, troppo tempo. Certo, ho la fortuna di
frequentarli spesso e con regolarità, da genitore e professore. Tuttavia, mai come in questa fase stento a riconoscerli, perché mi è,
comunque, difficile misurarmi con essi. Certo, i tempi sono cambiati da quand'ero giovane anch'io. Secoli, millenni. Non c'è bisogno di
rammentare le distanze cosmiche dal punto di vista delle tecnologie e dei metodi di comunicazione a livello personale e sociale. Però alcuni
riferimenti, alcuni luoghi del paesaggio che compone la nostra vita quotidiana sono rimasti gli stessi. Anche se nella pratica non sono più
gli stessi. Sono divenuti "altro".
I bar, ad esempio. Ci sono ancora, come quando io ero giovane. A volte sono negli stessi luoghi, con gli stessi nomi. Però è cambiato l'uso
che se ne fa. Il posto che hanno nella giornata e nella vita dei giovani. Ai miei tempi (che impressione usare questa formula. Segno che sono
davvero invecchiato) i bar erano luoghi e centri sociali. Ci passavi le sere. Le domeniche. Uscivi di casa e andavi là, dove incontravi gli
amici. Il barista era una figura leader della formazione giovanile. Veniva dopo i genitori, gli insegnanti e gli amici stretti. Andavi al
bar. Poi decidevi dove recarti. Al cinema, a una manifestazione, a una festa, a zonzo. E ci tornavi più tardi. Peró potevi anche scegliere di
rimanere lì. Di passarci la sera a giocare a biliardo, a calcetto, a carte. A bere, chiaccherare, tirare tardi. E, comunque e soprattutto, la
vita del bar si svolgeva inevitabilmente dentro. Dentro. Il bar, come ho detto, era un luogo e un centro sociale in sè. E, in particolare,
"un" bar. Dove si trascorreva gran parte del tempo libero.
Ora non è più così. Basta girare per le città per vedere che i giovani si ammassano "fuori". Davanti e intorno al bar. Occupano uno spazio
ampio, variabile. Il marciapiede, l'intera strada. In piedi, appoggiati ai muri, seduti sull'asfalto... Sono tanti, tantissimi. Alle ore più
diverse. Prima di cena, per lo spritz. O a cena, per il kebab, il piatto pronto. Dopo cena o comunque a tarda sera (e notte). A volte, anzi,
spesso, sono avvolti da musica tecno a volume variabile. Dipende dall'ora, dalle ordinanze e dai regolamenti comunali, dal grado di
sopportazione dei residenti. Ma si tratta sempre di un brulichio, una folla mobile. Gli addensamenti giovanili non sono stabili, ma in
costante evoluzione. Perché loro, i giovani, si spostano di continuo. Individualmente o in gruppo. Arrivano, parlano, mangiano, bevono,
fumano. E se ne vanno. Con alcuni amici, in gruppo oppure da soli. Vanno altrove. Incontrano altri amici, ascoltano altra musica,
beccheggiano altri spuntini. Cambiano bar e dunque compagnia oppure attività. Poi magari ri-passano. Ma restano sempre "fuori". Raramente entrano.
Ovviamente, di conseguenza, sono cambiati anche i bar, che si sono adattati a fare altre cose. E a volte hanno innovato, promuovendo nuove abitudini. Si pensi all'happy hour, che ha rimpiazzato, talora, la cena, tante sono le proposte alimentari che i diversi locali associano al drink (i noti spuntini ipercalorici). Ma i bar qui mi interessano soprattutto in relazione ai giovani e ai loro stili di vita. Le loro abitudini. I bar. Sono divenuti stazioni di passaggio di una vita itinerante. Di una generazione itinerante, sempre in movimento, sempre in viaggio. Perché costretta - o meglio, indotta - a vivere un eterno presente. Precario. Una generazione di passaggio. Alla ricerca di un luogo dove fermarsi, finalmente. Tra un bar e l'altro.
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)