Reflusso gastroesofageo: attenzione ad alcol e fumo
Reflusso gastroesofageo: ecco come gestirlo
È in crescita, anche tra i più giovani, in tutti i paesi europei dove interessa dal 10% al 20% della popolazione. Le ragioni sono da ricercarsi negli stili di vita e nello stress, che giocano un ruolo tanto importante quanto gli altri fattori, come quelli anatomici, funzionali o la familiarità. Stiamo parlando della malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE o dall’inglese GERD), una situazione clinica multifattoriale molto più complessa di quanto si pensasse fino a una quindicina di anni fa, quando ha iniziato a diffondersi negli Stati Uniti dove si stima colpisca un cittadino su cinque (e chi ne soffre arriva a perdere il 41% in più di giorni di lavoro rispetto ai colleghi). Ciononostante, nuovi traguardi sono stati raggiunti nel trattamento farmacologico e chirurgico di questa condizione.
I sintomi tipici della GERD sono rigurgito acido, bruciori (pirosi) e dolore retrosternale. «Vi sono poi casi in cui il quadro clinico è dominato da sintomi atipici, come dolore toracico sovrapponibile a quello di natura cardiaca, e sintomi otorinolaringoiatrici o che interessano le vie aeree superiori e il cavo orale – spiega il professor Pier Alberto Testoni, direttore dell’Unità Operativa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Solo di recente, abbiamo capito che le compromissioni di questi apparati (che si manifestano con asma, raucedine, tosse, erosione dei denti, otiti, laringiti, faringiti) possono essere dovute alla malattia da reflusso».
Meccanismi alla base del reflusso patologico
Alla base del reflusso, vi può essere un fattore anatomico, quando magari per un’ernia iatale si allenta eccessivamente il tono dello sfintere esofageo (o cardias) regione di congiunzione tra esofago e stomaco, la cui contrazione costituisce una fisiologica barriera contro il reflusso.
La pressione di questa giunzione può variare anche a causa di un’eccessiva pressione gastrica e addominale e questo rende le persone obese e le donne in gravidanza più vulnerabili. Infine, «un altro fattore importante è la motilità esofagea – spiega il rinomato gastroenterologo – in caso di permanenza in esofago di materiale acido (acido cloridrico e bile) proveniente dallo stomaco, si crea un’infiammazione e un danno all’epitelio. Le microlesioni che ne derivano danno origine a disturbi anche importanti, anche se non si documentano lesioni visibili a carico della mucosa dell’esofago». Infatti, solo il 25-28% circa di chi soffre di reflusso patologico presenta esofagite, cioè lesioni alla mucosa dell’esofago.
Diagnosi e trattamento
La diagnosi è clinica e strumentale. «In presenza di sintomi tipici e recenti, il paziente viene trattato con farmaci che inibiscono la produzione di acido, come gli inibitori della pompa protonica (PPI) e con gli H2 antagonisti» spiega il professor Pier Alberto Testoni. «Se la storia è lunga o se il soggetto non risponde ai farmaci, è necessario indagare con una gastroscopia la salute dell’esofago». L’esame permette da un lato di confermare la presenza di un’esofagite e di definirne la severità, dall’altro di escludere una complicanza, l’esofago di Barrett, che compare quando l’epitelio dello stomaco migra e sostituisce il tessuto che riveste l’esofago nella porzione subito a monte dello stomaco.
Un esame clinico più approfondito, la manometria esofagea, consente poi di misurare con precisione la motilità dell’esofago e della valvola del cardias e di valutare l’efficienza di quel processo di auto-cleaning che, anche attraverso la deglutizione, evita il ristagno nell’esofago dell’acido. Infine, «un’altra indagine approfondita, utile anche in presenza di sintomi atipici di cui si vuole indagare l’eventuale origine da reflusso, è la pH-impedenziometria, esame che nell’arco delle 24 ore misura entità, composizione e estensione del reflusso e dei gas provenienti dallo stomaco, associando questi parametri ai sintomi riportati dal paziente per una diagnosi dettagliata».
«Una lunga storia di reflusso rende meno evidenti i sintomi, anche in presenza del Barrett: attenzione quindi al miglioramento in un paziente di lunga data, occorre procedere subito con indagini bioptiche».
Sottoporsi a vita ad una terapia di mantenimento con farmaci che bloccano la secrezione acida, pur impostata al minimo dosaggio, espone il paziente a potenziali effetti collaterali, che sono «anemia, osteoporosi, maggiore predisposizione ad infezioni gastrointestinali ed incremento del numero delle ghiandole gastriche deputate alla secrezione acida, con sviluppo di polipi cistici dello stomaco, spiega il gastroenterologo.
Infine, vi è la via chirurgica, spesso necessaria per chi non risponde ai trattamenti e consigliata ai giovani, che può essere di tipo classico oppure endoscopico (opzione più recente ed approvata nelle linee guida dal 2011), tecnica meno invasiva, con la quale sono già stati trattati migliaia di casi al mondo.
Strategie
Per quanto svolga una funzione unicamente adiuvante e non terapeutica, l’attenzione all’alimentazione può essere importante per chi soffre di reflusso patologico. L’obiettivo è tenere sotto controllo il peso corporeo e evitare alimenti che possono aumentare l’acidità, come tè, caffè, menta e cioccolata.
Andrebbero evitati alcol e fumo e pasti abbondanti e pesanti la sera.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)