Salviamo i drogati d'azzardo...
L'impegno della Siipac, Societ� italiana di intervento sulle patologie compulsive nel trattamento del gioco d'azzardo
di Maddalena Oliva
Il cartello è ben in vista, sullo sportello del frigorifero, in cucina. «Ieri è storia, domani è mistero, oggi è un dono: per questo si chiama presente». «Per noi, questa è una massima importantissima», dice Alberto, mentre si appresta, assieme ad altri compagni, a fare gli onori di casa. Da cinque mesi è uno degli "inquilini" del secondo piano del palazzone di via Siemens, zona industriale di Bolzano: «Molti di noi arrivano qui in uno stato di totale perdita di coscienza e di speranza - racconta - ma, alla fine del percorso, sei in piedi e ti senti pronto ad affrontare di nuovo il "fuori"».
La prima volta è stata a 16 anni. Con le slot machine, quelle che in America all'inizio chiamavano "banditi con un braccio solo". All'università, ricorda, «sono passato al poker e alle scommesse sportive: ero convinto servisse una certa bravura, abilità, e io, bravo, credevo di esserlo... ma allora perché non diventavo mai miliardario?». Poi, come inseguendo un copione che si ripete per tutti uguale, sono arrivati i soldi rubati in casa, i tradimenti, la violenza. Alberto, agente di viaggio, 25 anni, è a Bolzano per farsi curare. Sta affrontando, assieme a Domenico, Giuseppe, Michele e tanti altri, un percorso di terapia riabilitativa alla Siipac, Società italiana di intervento sulle patologie compulsive: il primo centro di recupero per giocatori d'azzardo patologici presente in Italia.
«In dieci anni di attività, abbiamo seguito circa 170 persone», spiega lo psicologo e psicoterapeuta Cesare Guerreschi, fondatore e presidente di Siipac. «Ogni mese il nostro centralino riceve tra le 6-7mila chiamate, richieste di aiuto o, più spesso, di informazioni. Una piccola goccia di un oceano, se si considera che i giocatori patologici, in Italia, si stima siano tra 700mila e 1,5 milioni». Il centro, unico nel suo genere, con sedi a Bolzano, a Roma e a Caltanissetta, ha come riferimento i migliori programmi di intervento statunitensi, con un'équipe "multimodale" formata da psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, commercialisti, avvocati e tutor che aiutano a ridare un senso al denaro. «L'idea che sta alla base - afferma la dottoressa Maria Giambò, responsabile della sede Siipac di Bolzano - è che difficilmente i problemi sono riconducibili a una singola causa e, quindi, non esistono cure unitarie, in special modo nel caso del gioco d'azzardo patologico, una malattia in grado di svilupparsi coinvolgendo i vari aspetti della vita di un individuo, con ripercussioni pesanti sulla psiche, l'organismo, gli affetti, le finanze, l'attività sociale».
Qui i pazienti vivono, o meglio convivono, nella più completa astensione dal gioco, tra terapie singole, di coppia, gruppi di auto e mutuo aiuto, inserimenti lavorativi, laboratori d'arte e calcetto (costo: 65 euro al giorno, più vitto e alloggio, «tuttavia essendo Siipac una onlus, i ricavi vengono reinvestiti in competenze e attrezzature»). «Ma la nostra non è una comunità, e nemmeno una vera e propria clinica», spiega ancora Guerreschi. «L'obiettivo, potrà sembrare paradossale, non è laguarigione: dalle dipendenze non si guarisce. Tentiamo, invece, di ridurre le sofferenze psichiche e di favorire nei pazienti una più profonda consapevolezza, che li aiuti a capire perché il piacere diventi idea fissa, l'evasione costrizione, il divertimento febbre, ossessione e angoscia. È allora che il gioco d'azzardo si corrompe e si trasforma in una malattia compulsiva, progressiva e cronica».
Dai tempi dei dadi e degli astragali, in effetti, è passato qualche secolo. Il gioco però - lo spiega magistralmente Johan Huizinga in Homo ludens del 1938 - continua a essere all'origine di quelle convenzioni feconde che permettono lo sviluppo delle culture. Lo spirito ludico stimola l'ingegno e la sottigliezza. Insegna la lealtà nei confronti dell'avversario, e dà l'esempio di competizioni in cui la rivalità non si prolunga mai oltre l'incontro. Rende l'uomo capace di costruire un ordine, concepire un'economia, stabilire un'equità, annullando così la forza cieca e monotona della natura. «Diventa un problema - riprende Guerreschi dal suo studio, raccolto tra montagne, volumi di Plotino e Codici vinciani - quando la società stessa decide di conformarsi al gioco». L'immagine di un mondo a immagine e somiglianza di Las Vegas si affaccia però a fatica. «Mi spiego», prosegue il dottore. «Il gioco oggi tracima dalla sua tradizionale funzione. Invade la sfera del quotidiano. Introduce nuove abitudini, modifica mentalità, culture e aspettative. Prendiamo, per esempio, i corsi di prevenzione primaria che organizziamo nelle scuole. Ci sono ragazzi in classe che potrebbero insegnare a noi come giocare... Adolescenti ricettivi all'immagine, ai soldi, alla vincita che ti cambia la vita (1)». Sette giovani su 10 tra i 16 e i 19 anni, secondo uno studio di Nomisma, hanno giocato almeno una volta in un anno, con una spesa mensile media di 10 euro. «Basterebbe mettere in relazione questo dato con quello riguardante l'abbandono scolastico. O pensare alla percentuale di giovani affetti da gioco d'azzardo patologico: parliamo del 4-6 per cento, quasi tre volte quella riportata tra gli adulti».
Una malattia sociale, quindi? La droga del terzo millennio, come lo definiscono in molti? Ammettiamo pure che gli argini che racchiudevano il gioco in uno spazio separato, ideale, quasi magico, si siano rotti: in che misura starebbe "contaminando" il reale? Secondo Roger Caillois, «se il gioco è realmente una molla primordiale di civiltà, i suoi significati nascosti non possono che rivelarsi altamente istruttivi». Una sorta di "dimmi come giochi e ti dirò chi sei". Siamo il quinto Paese al mondo, per spesa media pro capite (900 euro all'anno). Negli ultimi vent'anni la raccolta del gioco pubblico, ovvero quello direttamente regolato dallo Stato, ha battuto ogni record: nel 1990 raccoglieva circa 9.500 miliardi di lire; nel 1999, 34mila miliardi; nel 2009, oltre 53 miliardi, di euro, però. E, dopo il boom del 2009, anche il 2010, come da previsione e nonostante la crisi, è partito fortissimo. Secondo l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, nel mese di gennaio 2010 la raccolta complessiva dei giochi a distanza ha raggiunto il nuovo massimo storico: 462 milioni di euro (il 76 per cento in più rispetto a gennaio 2009). «Nel corso dell'anno l'incremento più interessante dovrebbe venire dal poker online "a soldi", il gioco più praticato a oggi su internet, la cui raccolta potrebbe sfiorare i 5 miliardi di euro», sostiene Fabio Felici, direttore dell'agenzia di stampa specializzata Agicos. Proprio gli skill games, i cosiddetti giochi di abilità dal Texas Hold'em al burraco, assieme alle scommesse sportive a quota fissa - Sisal per intenderci - sembrano andare per la maggiore: a gennaio 2010, da soli, hanno fatto oltre il 90 per cento dell'intera raccolta a distanza. «Non a caso si tratta anche dei due tipi di giochi che meglio si prestano alla fruizione online», sottolinea Guerreschi. Il riferimento è al maggior rischio e velocità di assuefazione che producono le versioni online. Già oggi, in Italia, il 30 per cento degli utenti di internet visita siti di giochi e scommesse. «Fra un anno, ne sono certo, tutti i giochi tradizionali approderanno al web». E, per chi non ama carte e similari, c'è sempre FarmVille: i contadini che si cimentano nella cura dei loro orti virtuali sono in buona compagnia (76 milioni di utenti attivi al mese, secondo gli ultimi accessi).
Il gioco digitale si prepara così a divenire leader nel mercato, anche grazie a importanti investimenti nella comunicazione realizzati dagli operatori del settore: nello scorso anno sono stati spesi più di 15 milioni di euro in advertising (il 300 per cento in più rispetto al 2008, dati Nielsen). «La pubblicità può purtroppo fare tantissimo, specie se unita a un deserto dei programmi di prevenzione e di sensibilizzazione», spiega Guerreschi. «Bisognerebbe fare come per l'alcol: la ricetta non è stata estirpare le vigne, ma rendere il consumo di alcolici più consapevole. All'ingresso della casa da gioco più grande dell'Australia c'è un cartello: "A voi che entrate, sappiate che perderete sempre"».
«I vari spot "Gioca sicuro, vinci facile", "Alla Snai sei te stesso", "Vorrei vincere io per non avere più sogni nel cassetto, saranno i cassetti a sognare me", come vuole che suonino per noi?». È Alberto che parla. In questi cinque mesi, c'è una domanda che si è posto più di una volta. «Se il valore di uno Stato dipende dal tipo di mercato su cui lo Stato stesso si basa, e se il gioco da noi rappresenta, mafia a parte, il terzo mercato più florido: allora in che Paese viviamo?».
A giocare ai fantasmi si diventa fantasmi. E noi, come scrive Caillois, vogliamo diventare fantasmi. Di fatto lo diventiamo. Sempre di più, almeno un poco. Ancora solo una settimana alla Siipac. «Poi società preparati: arrivo», dice Alberto, carico.