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«Sappiamo quali corde toccare perché gli alcolisti tornino a vivere»

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ALCOLISTI ANONIMI. L'associazione festeggia i trent'anni dalla fondazione. In tutta la regione ci sono 107 gruppi ai quali, in media, partecipano anche 40 persone

Casalinghe e giovani sono le categorie più a rischio, ma pochi lo sanno «L'alcol è molto più subdolo di una droga perché crea più problemi fisici»
Il Giornale di Vicenza 3 giugno 2009
Vicenza. «L'alcolismo è una malattia da curare con il metodo giusto». E loro, gli Alcolisti anonimi, ci stanno lavorando da trent'anni e con buoni risultati. La loro non è una tecnica invasiva. Lasciano indirizzi, numeri di telefono nei vari reparti ospedalieri, nei Sert, creano gruppi. E, poi, se qualcuno vuole partecipare lo deve fare con la consapevolezza che il cammino è duro, severo, impervio, ostinato. A volte è più facile tornare a casa e disperarsi davanti ad una bottiglia, gettare la vita in un bicchiere sempre pieno, senza pensare che magari un'alternativa esiste: quella siepe, di leopardiana memoria, la si può superare.
«Eppure, si convincono difficilmente, anche se l'associazione ha fatto dell'anonimato il suo cavallo di battaglia. Non ci sono nomi da mettere in piazza, solo coscienze che prendono forma davanti ad un problema. Serio. Che vede coinvolte sempre più persone. E di cui è sempre più difficile prendere consapevolezza, malgrado gli allarmi dell'Organizzazione mondiale della sanità».
Marino Manzato, coordinatore dell'area Veneto degli Alcolisti anonimi, ha sposato questa tesi da tempo, ciò non gli ha impedito assieme a Ottorino Immigrati di creare in tutta la regione 107 gruppi divisi in sette zone che, a grandi linee, riprendono i confini delle province. In ogni gruppo ci sono dalle 15 alle 40 persone, a Verona si toccano picchi ancora più alti con 60 partecipanti.
«Purtroppo - prosegue Immigrati - manca consapevolezza sull'enorme gravità del problema: l'alcol è molto più sottile, perverso e falso rispetto ad una droga. E, soprattutto, crea molti più problemi sotto il profilo fisico, innestando tutta una serie di disturbi collaterali che impediscono ad una persona di vivere, di muoversi...».
Gli esperti la definiscono malattia della negazione. «No, posso smettere quando voglio, non ho alcun problema. Mi serve un goccio in più solo per rilassarmi. Sono queste le parole che sentiamo più spesso - continua Manzato - e quelle che ci preoccupano di più perché significa che il livello di alcolismo è molto alto».
A preoccupare di più sono le donne. Il Martini americano se lo preparano come aperitivo a pranzo: Martini, solo quanto basta per sciacquare i cubetti di ghiaccio, il resto è gin in abbondanza. Alla sera preferiscono un cocktail più forte. Naturalmente vino a tavola e dopocena un cognac o due dita di whisky. Perché? Piace, fa sorridere, fa dimenticare di essere sole, fa scordare che i figli sono lontani. Eppure delle casalinghe che abusano di alcol si parla poco, vengono nascoste dalla stessa famiglia, che prova per loro solo un senso di vergogna.
E poi ci sono i giovani: altra categoria ad alto rischio. Iniziano a bere alla mattina prima di entrare in classe: un bicchierino per farsi forza prima del compito senza dimenticare le serate in discoteca, gli happy hours, e quanto trovano sugli scaffali dei supermercati o nei bar, dove nessuno chiede la carta d'identità ad un giovane che chiede una bevanda alcolica.
«La maggior parte di noi operatori, coordinatori - conclude Manzato - è stato a sua volta un alcolista. Per cui conosciamo bene i trucchi, sappiamo come agire, quali corde toccare perché queste persone tornino ad avere una vita normale, pensino ad un futuro, sfiorino con mano la possibilità di guardare oltre il vetro di una bottiglia, che offusca non solo la realtà, ma la vita intera».
L'associazione quest'anno festeggia i trent'anni dalla fondazione: non riceve soldi se non quelli che arrivano tramite il 5 per mille. Le sedi dove i gruppi s'incontrano vengono trovate dai Comuni, e alla fine di ogni riunione si passa, come facevano gli artisti di un tempo, con il classico cappellino dove versare qualcosa che servirà ad organizzare il lavoro per tanta altra gente. Perché l'alcol è un problema serio. E gli alcolisti lo sanno.