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Se l´amico è anche pusher: dalle notti della movida alla schiavitù quotidiana

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Finito questo primo tour, si passa ai racconti degli habituée: «Mi chiamo Marco, ho 32 anni, faccio il web designer in società con due amici. Consumo cocaina occasionalmente, non più di tre volte la settimana, di solito sono io quello che rifornisce il gruppo: il giovedì compro dieci o venti grammi, secondo il programma del weekend, gli amici mi pagano in contanti, non faccio una cresta vera e propria ma mi ripago la mia parte. Ci troviamo in piazza Vittorio, solito bar, ma non mi piace rifornirmi in quella zona: preferisco stazione Dora, ho i cellulari di due ragazzi che me la portano, pago di meno ed è più buona. Ultimamente però sono andato a sbattere con la macchina due volte in due giorni. Potete consigliarmi qualcosa da prendere prima di tornare a casa che mi rimetta a posto, per non correre rischi?». Ragazzi come Marco ne viaggiano a migliaia nella movida torinese. Quando si spaventano, chiedono aiuto, magari via mail, un amico gli ha detto che esistono medici che curano gratis, senza storie pallose, senza prediche, senza che lo debbano sapere né a casa né in ufficio. Per le statistiche, sono "diffusori": non semplici clienti, ma neppure veri spacciatori, piuttosto dettaglianti che aiutano a ridistribuire la merce, dieci grammi stasera, altrettanti domani, oppure un´unica provvista ben custodita in un barattolino dall´aria casalinga, di quelli che la mamma usava per tenerci la salsa. Chi conosce, come Marco, preferisce la zona che ha sostituito Tossic Park, chi è pigro e vive solo se la fa portare a casa, chi è più inesperto fa shopping nelle vie ai lati di piazza Vittorio, e se i soldi sono pochi e gli amici troppi invece di sniffare si fuma: sigarette appena inumidite rollate nella polvere, che così resta appiccicata, o un bel plum fatto a mano, edizione riveduta e corretta del buon vecchio spinello, tabacco e cannabis dentro, cocaina all´esterno o mescolata. Fumare coca è quasi la metafora del fenomeno sociale che la polvere è diventata in città: risparmio apparente, effetti rapidissimi, che arrivano in pochi istanti e se ne vanno quasi altrettanto in fretta, consumo compulsivo, che tende a crescere sempre di più senza quasi rendersene conto. «Prima, in un weekend me ne facevo per cento, centocinquanta euro, due o tre grammi da dividere con la mia ragazza. Quando sono arrivato a duecento, mi sono messo a comprarla io, così risparmio e la rivendo agli amici». «La verità - sostiene Davide Mattiello, che con ‘Torino Sistema Solare´ è stato tra i promotori della campagna contro il racket che sta dietro al mercato della droga - è che per i ragazzi della notte la coca è ormai una specie di integratore alimentare, poco più di una lattina di Redbull». Sarà per questo che, con involontaria ironia, ricevendo la fidelity card "La mafia ringrazia" distribuita per sensibilizzare il popolo della movida i baristi di piazza Vittorio hanno ricevuto i commenti più disparati: "Grazie, che sconto mi fate?", ma anche "Quale mafia? Lo sanno tutti che la coca la vende la n´drangheta".
«Agganciare questi giovani non è facile - ammette Augusto Consoli, psichiatra, responsabile di Web Co Care, il servizio dell´Asl 4 che cura la dipendenza da cocaina con la terapia cognitivo-comportamentale e che ora sta attrezzando insieme al Centro torinese di solidarietà una struttura dove i pazienti potranno entrare durante i weekend, continuano a lavorare nel resto della settimana - perché molto spesso non si rendono conto della loro stessa dipendenza. Ma quando si passa dal consumo collettivo a quello individuale, può scattare l´allarme. Tra le prime cose che chiediamo, c´è tenere un diario: così, a conti fatti, spesso si scopre di aver utilizzato oltre un grammo al giorno». Alcol e cannabis fanno da ‘moderatore´, mischiandoli alla coca il risultato rallenta e si allunga un po´.
«Ma alla fine continui a bere e a sniffare perché non ce la fai a andare a dormire e non sai più quanto roba hai preso», ammette Marco. Se va bene, arrivi a casa. Se va male, vai a sbattere. E magari è una fortuna: se nessuno si fa male e se ne vanno solo i punti-patente, prima o poi (più poi che prima) dal medico dell´Asl ti spedisce la Prefettura. Fai due conti e scopri quanto hai speso, e magari decidi di smettere. «Ma le ricadute - avverte Consoli - sono frequentissime e arrivano anche dopo parecchio tempo. Cerchiamo di insegnare come si fa a ‘sentirle´ prima che sia tardi, e cambiare strada».