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Studio USA sui diversi modi di utilizzare internet: forse hanno un valore predittivo sui disturbi mentali

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Dimmi come navighi e ti dirò come stai
I giovani depressi tendono a usare internet in maniera diversa da chi non ha disturbi dell'umore: potrebbe nascere un nuovo approccio alla diagnosi dei disturbi mentali?

 

MILANO - A furia di comunicare più con i computer che con gli altri esseri umani, si potrà arrivare al punto in cui sarà la macchina, prima di chi ci sta vicino, ad accorgersi se c'è qualcosa che non va. Pare infatti che in un ragazzo la depressione si possa riconoscere anche dalle modalità con cui usa internet: rispetto ai compagni frequenta di più i siti di file sharing, manda più e-mail, si sofferma di meno su ciascuna applicazione - probabilmente perché fa fatica a prestare attenzione a lungo -, e passa molto tempo ai videogame. I ricercatori della Missouri University of Science and Technology sono giunti a queste conclusioni, che saranno pubblicate su IEEE Technology and Society Magazine, con un metodo diverso da quello usato in tutti gli studi precedenti, che si basavano soltanto su sondaggi e questionari.


LO STUDIO - Per la prima volta, gli autori di questo lavoro hanno studiato direttamente i dati di traffico relativi alla effettiva navigazione di 216 studenti del loro ateneo durante il mese di febbraio 2011. «Prima di procedere con la rilevazione, però, abbiamo sottoposto i ragazzi a un test di screening per la depressione basato sulla scala del Center for Epidemiologic Studies (CES-D) - spiega Sriram Chellappan, docente di informatica dell'ateneo -. Inoltre abbiamo assegnato a ciascuno uno pseudonimo riservato, in modo da proteggere la loro privacy. Neppure i ricercatori potevano sapere a chi si riferiva il nickname. In questo modo l'analisi dei dati relativi alla navigazione all'interno del campus è stata condotta in maniera del tutto anonima e rispettosa». Queste accortezze danno valore alla ricerca, che, considerata la casistica limitata, non può tuttavia per ora essere altro che indicativa. La modalità di studio basata sull'analisi del traffico fornisce però informazioni più attendibili rispetto ad altri lavori che facevano affidamento soltanto sulle risposte alle interviste, inevitabilmente condizionate dalla difficoltà di ricordare con precisione le modalità d'uso di internet ma anche dalla volontà, più o meno inconscia, di riferire comportamenti più accettati dal punto di vista sociale.


LE PROSPETTIVE - Dalla valutazione effettuata prima di intraprendere l'analisi è emerso che circa il 30 per cento dei partecipanti allo studio mostrava i criteri minimi per la diagnosi di depressione. Una percentuale che può sembrare elevata, ma che è in linea con i dati rilevati in altri college statunitensi: in questi contesti infatti sono riferite percentuali di questo disturbo tra gli studenti che oscillano dal 10 al 40 per cento. «Per questo ora stiamo cercando di sviluppare un software che, partendo dalle nostre osservazioni, possa essere installato nei computer e servire come un campanello di allarme per questa patologia» conclude Chellappan, che prospetta applicazioni simili anche per la diagnosi di altri disturbi, per esempio quelli del comportamento alimentare, e altre popolazioni da tenere sotto controllo con questo metodo innovativo, dagli anziani ai militari. L'idea può essere buona anche se appare un po' frettoloso sviluppare un test di screening a partire dai dati raccolti su un campione così limitato. E inquietante l'idea di un pop up che si apre sullo schermo di un computer con la scritta: "Sei un po' giù in questo giorni, vero? Non sarai depresso? Rivolgiti al tuo medico". Peggio ancora poi se il sistema di monitoraggio facesse riferimento ad altri, siano essi i genitori, gli insegnanti o il servizio di infermeria.


Roberta Villa


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)