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Teorie psicologiche dell'alcolismo: il contributo della psicoanalisi

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Il contributo della psicoanalisi


La psicoanalisi si è occupata sin dall'inizio del secolo del problema alcol all'interno di quello più ampio della dipendenza da ostanze.Numerosi autori, tra cui Freud, Ferenczi, Fenichel, Abraham ecc., hanno contribuito all'evolversi del pensiero psicanalitico sulla "personalità" dell'alcolista, e a tale proposito è interessante la rassegna di Rosenfeld sull'argomento (Rosenfeld, 1973).Si è passati da ipotesi iniziali che consideravano lo sviluppo dell'alcolismo collegato al narcisismo orale, all'omosessualità e all'aggressività repressa a quelle più recenti che si riferiscono ad un inadeguato sviluppo dell'Io e ad una bassa tolleranza alla sofferenza psichica.


Kohut così definisce il pensiero psicanalitico sull'alcolismo: "Le delusioni traumatiche sofferte durante le fasi precoci dello sviluppo degli oggetti interni idealizzati, hanno privato il bambino della graduale interiorizzazione di esperienze come essere rassicurato, calmato e aiutato. Tali individui rimangono così fissati su parti di oggetti arcaici, che ritrovano, per esempio, sotto forma di sostanze. La sostanza, però, non serve come un sostituto di oggetti d'amore, o per una relazione con essi, ma come un sostituto di un difetto nella struttura psicologica". (Kohut, 1977 ).


Dunque la psicanalisi è giunta a considerare l'alcoldipendenza come un disturbo della personalità di tipo preedipico di natura borderline e/o narcisistica. Infatti i due tratti clinici dell'alcolista su cui gli psicanalisti pongono l'attenzione sono la perdita di controllo e il craving. Ambedue questi tratti sono presenti nei pazienti borderline; il primo come incapacità di controllare l'impulso del bere e il secondo quale sensazione spiacevole ma invadente di mancanza, quello che i pazienti borderline descrivono come sensazione di vuoto che necessita di immediata e compulsiva risoluzione attraverso comportamenti alloplastici (Hartocollis, Hartocollis, 1980).


Va infine ricordato che anche gli psicanalisti hanno cercato di delineare "una costellazione o pattern di personalità comune alla maggior parte degli alcolisti e caratterizzante la personalità prealcolica" (Lisansky, 1960) e questo nel tentativo di riconoscere quei tratti che predispongono la persona all'alcoldipendenza e non che ne siano la semplice conseguenza. Treece e Khantzian (1986), ad esempio, hanno individuato alcune componenti caratterologiche che starebbero alla base dell'abuso di alcol e delle altre droghe:
1. basso livello di autostima a cui si accompagna una scarsa integrazione del Sè interno e delle immagini
oggettuali e che ha come conseguenza una seria difficoltà nella capacità introspettiva;
2. carenze nel pensiero e nel giudizio collegate a meccanismi di difesa e di adattamento piuttosto rigidi;
3. incapacità di esprimere e graduare emozioni e sentimenti, di affrontare e tollerare la sofferenza, di attivare meccanismi di difesa adeguati alle circostanze.


Queste caratteristiche di personalità renderebbero l'individuo particolarmente vulnerabile e, in situazioni di crisi, provocherebbero una inadeguata capacità di autogestione che si manifesta nella difficoltà nel valutare le proprie capacità e di gestire le risorse. Così quando l'alcol fa sperimentare un soggettivo beneficio o una parvenza di normalità funzionale può svilupparsi la dipendenza.


Un altro autore, Zimberg(1985), ritiene che negli alcolisti avvenga un conflitto tra bisogni di dipendenza che non trovano soddisfazione e alla cui base sta un sentimento di inadeguatezza e bisogni di controllo, che spesso si esprimono per difesa attraverso sentimenti di grandiosità. Zimberg ritiene che l'alcol dunque ha lo scopo di placare l'ansia e di permettere lo strutturarsi artificioso di un'immagine grandiosa di sè. Quando l'effetto dell'alcol svanisce emerge prepotente un sentimento di inadeguatezza. Così l'alcolista cade in un circolo vizioso che lo porta ad usare nuovamente alcol.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)