Testimonianza: «Io alcolista, rivivo con il gruppo»
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«Ciao, sono Sergio. Un alcolista». Tutti in sala hanno problemi con la bottiglia: chi ne porta i segni sul proprio corpo, chi nel tessuto devastato della propria famiglia. Già ci si conosce, eppure il saluto è d'obbligo; non formale, una premessa di solidarietà. «Ciao Sergio», la risposta di tutti. Gli Alcolisti Anonimi non hanno identità perché il bicchiere di troppo rende uguali. E così Sergio è un nome di fantasia, al pari di tutti quelli che seguiranno. Non hanno identità da esibire per la burocrazia, ma storie individuali sì. L'ILLUSIONE. «Sono scivolato gradualmente nell'alcolismo - ricorda Sergio - e me ne accorgevo. All'inizio no: le feste con gli amici, tutti che bevevano e solo io che ero sempre ubriaco. Credevo di potere uscirne da solo: che illuso, uno o due giorni senza un goccio, poi nel giro di una settimana tornava tutto come prima. Nemmeno la psicologa ha potuto risolvere il problema». «All'inizio dell'anno - prosegue nel racconto - ho avuto purtroppo una ricaduta, un disastro completo. Poi sono entrato qui e con l'aiuto del medico e del gruppo, ora va meglio». Il gruppo è quello degli alcolisti anonimi: esperienze messe in comune, auto aiuto tra pari, i cosiddetti «dodici passi» verso la vita. Durante la riunione settimanale ci si racconta, si scambiano esperienza di vita vissuta. «Non capivo perché bevessi - spiega Tiziana, durante il suo intervento - in realtà con quel bicchiere gridavo aiuto, era la mia stampella, visto che da sola non ero capace di vivere. Tutta la mia vita giostrava attorno a come procurarmi l'alcol. Non sapevo come sarei finita, la pazzia sembrava inevitabile. Poi ho capito che il problema non era l'alcol, ma me stessa». «Nel gruppo - prosegue la donna - ho imparato a conoscermi e a volermi bene: da allora non ho mai più toccato il bicchiere». MONDO CHE CADE. Quando tuo figlio o tuo marito diventano alcolisti il mondo ti cade addosso, la tranquillità del nucleo familiare svanisce. E' toccato ad Antonia: «Mio figlio, adesso non più giovanissimo, con problemi di pluridipendenza: oggi tutte le sostanze sono a portata di mano. Per tanti anni non riuscivo a trovare la strada giusta per uscirne, provavo vergogna. Un medico mi ha consigliato di frequentare il gruppo: dopo cinque anni non tutto è risolto, però da allora mi sono sentita una mamma normale. Anzi, tutte le famiglie colpite da questa malattia sono normali». «Quanti litigi ho avuto con mia figlia - scava nel passato Stefania - poi è stata lei a telefonare qui. E pensare che ora non vuole più venire: ripete che non ha problemi, che non è una dipendente dall'alcol. Spero sempre ci ripensi e prenda in considerazione l'idea di tornare». Come associazione non prendono posizione sulla questione "proibizionismo sì o no". Parlano dell'alcolismo come di una malattia, non come di un vizio o una piaga sociale. Il primo passo per entrare negli "anonimi" è comprendere questo assioma, accettare la propria impotenza ai piedi del "mostro" e sperare di uscire dal tunnel. «Per un alcolista orgoglioso come me non è stato facile - confessa Diego -, credevo di saper stare al mondo, io. Invece non era così. Prendere la parola durante le riunioni non è facile, a volte credo di essere pigro ma il gruppo mi porta a stare al passo con gli altri. Quando si parla di risentimenti o rabbia, sento che qualcosa continua a divorarmi». SOLO ACQUA. «Io che non sono del tutto guarito potrei dimostrarlo in qualsiasi momento, al bar qui a fianco», sorride Vincenzo. Sul tavolo durante la riunione si scolano un paio di bottiglie. Plastica. E dentro acqua, solo acqua. Fonte di vita.