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Ti do i miei occhi, la dipendenza relazionale

Ti do i miei occhi, la dipendenza relazionale

TI DO I MEI OCCHI, LA DIPENDENZA RELAZIONALE

Quando si parla di Dipendenze sane intendiamo una capacità di dipendere da altre persone e di permettere ad altre persone di dipendere da noi. Diversamente, per Dipendenze patologiche si definiscono tutte quelle forme “ non negoziabili” di dipendenza o le pretese, eccessive e illusorie, d’indipendenza da una ricerca disperata dell’altro, visto come unico regolatore di se stessi e ad una fuga dell’altro, visto invece come minaccia alla propria integrità.


Secondo Mikulincer e Shaver (2004, 159; 2008), relazioni pregresse e continue con il caregiver, capaci di dare protezione e sostegno, producono un senso di sicurezza nell’attaccamento, che in vari modi conduce allo sviluppo di un sé stabile e positivo e ad una serie di strategie di regolazione affettiva riuscite ed in buona parte autonome. Questo background evolutivo e relazionale fa sì che si sviluppi una personalità adulta autonoma e capace di fidarsi dell’altro, strutturando il senso della propria sicurezza, a partire da figure di riferimento tanto interne quanto esterne.


Questo pensiero solleva importanti questioni sul rapporto tra sentimento di sicurezza derivato dall’attaccamento e capacità di autogestirsi. Diverse ricerche, a riguardo, dimostrano che il senso di sicurezza dell’attaccamento, dalla prima infanzia all’adolescenza, permette di apprendere la capacità di autoregolarsi in maniera flessibile anche in condizioni stressanti.


Mikulincer e Shaver (2008) sottolineano come le persone con attaccamento sicuro presentino, rispetto agli insicuri livelli di autostima più alta, capacità di problem solving e coping più articolate, punteggi più bassi alle scale che rilevano la presenza di disturbo dipendenze di personalità e un atteggiamento più positivo nei confronti del lavoro e dell’esplorazione autonoma.


Con il termine attaccamento, dunque, ci si riferisce ad un comportamento primario teso alla ricerca e al mantenimento della personalità della prossimità con una figura preferenziale, solitamente percepita più forte, saggia e competente; mentre, con il termine dipendenza, ci riferiamo a un atteggiamento derivato dal bisogno di attaccamento, che può non essere diretto verso un soggetto specifico e che esprime, attraverso atteggiamenti generalizzati e mirati, a evocare assistenza, guida e approvazione. Del resto, se per il bambino parliamo di attaccamento “sicuro”, dove l’aggettivo sicuro va a qualificare la relazione con una persona specifica, per l’adulto la dicitura diventa “sicuro-autonomo” e si riferisce a uno stato mentale rispetto all’attaccamento che va, invece, a definire la qualità delle relazioni intime, intese in senso più ampio (Main, 1999).


É su quest’ultimo versante, quello adulto, che psichiatri e psicologi accademici hanno costruito modelli descrittivi e/o patogeni nel tentativo di descrivere i “Disturbi Dipendenti di Personalità”.


La Personalità Dipendente viene solitamente considerata la conseguenza di un attaccamento ansioso che tende ad autoperpetuarsi (West et al., 1994). Le ricerche e le osservazioni cliniche hanno dimostrato che la dipendenza e il senso d’inefficacia tendono ad aumentare quando l’attaccamento insicuro è associato al child trauma neglect (Holmes, 1997; Bornestein, 1998; West, George, 1999; Hill, Gold, Bornestein, 2000). Liotti e Farina (2011, 28) osservano che lo sviluppo delle competenze interpersonali è fortemente influenzato dai contesti relazionali traumatici, causando gravi difficoltà a riporre fiducia negli altri, oscillazioni fra ricerca di vicinanza protettiva e paura dell’intimità affettiva e comportamenti inappropriati di controllo della relazione.


Similmente a quella riscontrata nel disturbo borderline di personalità, le relazioni affettive, a causa della drammaticità dello scambio emotivo, divengono instabili. Inoltre, sono affettivamente appiattite dal continuo sforzo di compiacere l’altro, verso il quale si sviluppa una patologica dipendenza.


Secondo Lyons-Ruth e Jacobvitz (2008), l’ambiente di sviluppo, caratterizzato da conflittualità, trascuratezza, interazioni disturbate, distorsioni sistematiche della comunicazione, può essere la causa di una disorganizzazione della relazione di attaccamenti e anche, a partire dall’età scolare, dello sviluppo di una personalità volta a soluzioni difensive, associate a stati mentali disorganizzati, multipli, incoerenti e conflittuali di impotenza e ostilità.


É interessante notare come l’estrema paura dell’abbandono e il tentativo di conservare una relazione, per mezzo del continuo compiacimento dell’altro, possano essere letti come tentativi di difendersi da originari sentimenti d’impotenza, legati alla precoce relazione traumatica con il genitore. Strategie d’impotenza e di ostilità possono talvolta incastrarsi tra loro all’interno di una relazione sado-masochistica che, seppur dolorosa, ci aiuta a comprendere lo sforzo dei soggetti per mantenere “disattivato” il loro sistema motivazionale di attaccamento (Ibidem).


Coen (1992) sostiene che trattare l’altro in modo “improprio e crudele” serve a evitare le parti di sé che non si riesce ad accettare, ma finisce per produrre una sorta di “dipendenza” del maltrattante nei confronti del maltrattato. Coen descrive queste forme di dipendenza patologica come perversioni, “organizzazioni difensive stabili e molto resistenti al cambiamento a causa del loro ruolo di protezione rispetto alla distruttività e di preservazione dal bisogno oggettuale”.


Nutrire la dipendenza del partner porta con sé i benefici connessi alla detenzione del potere e al tempo stesso tutela dal rischio della perdita di un rapporto. La dipendenza dell’altro può essere coltivata in molti modi. Spingere l’altro verso obiettivi che non può raggiungere da solo; persuaderlo di non possedere risorse adeguate per un dato scopo; convincerlo di non avere alternative.


Le dinamiche delle coppie che includono un soggetto dipendente sono state studiate prevalentemente in relazioni eterosessuali, dove l’elemento dipendente è di genere femminile. Il fatto che il disturbo dipendente di personalità sia diagnosticato in maniera più frequente nelle donne (Bornstein, 1996; Loranger, 1996) è correlabile all’esistenza di stereotipi di genere che favoriscono la dipendenza delle donne, consentendo una manifestazione più vistosa e socialmente “organizzata” della loro dipendenza. Le teoriche femministe hanno rivelato i legami tra genere, coppia e aggressività, che spesso portano l’elemento maschile ad assumere su di sé la dimensione dell’onnipotenza, espellendo e proiettando nella figura femminile la dimensione della dipendenza (Chodorow, 1978; Benjamin, 1988, 1995). In questo modo, il concetto di femminilità viene a costituirsi come luogo di tutto ciò che viene ripudiato in quanto non-maschile (Freud, 1925).


Innumerevoli testimonianze femminili hanno dimostrato il progressivo isolamento fisico e emotivo in cui vengono costrette dal partner, finalizzato sia alla riduzione o all’annullamento dei contatti con i familiari e amici ma, anche, all’abbandono di attività lavorative extradomestiche.


(...omissis...)


a cura di Roberta Federico


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.behavioraladdictions.it/en/ti-do-i-miei-occhi-la-dipendenza-relazionale/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)