Torino: in gruppo per aiutarsi, il welfare fai-da-te
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In gruppo per aiutarsi Il welfare fai-da-te
Il fenomeno del «mutuo aiuto» è in continua crescita anche a Torino. In due anni è raddoppiato il numero delle associazioni:
una per ogni problema
Dipende dal punto di vista con cui si guarda il bicchiere. È mezzo vuoto se per spiegare perché i gruppi «Ama» di mutuo aiuto
si sono diffusi così sfacciatamente, puntiamo l'attenzione su ciò che non c'è (più): gli investimenti nel Welfare, con il
Fondo per le politiche sociali passato da 435,3 milioni nel 2010 agli attuali 274. Ma se ci scrolliamo il pessimismo di
dosso, ecco che lo stesso bicchiere diventa mezzo pieno: i tagli del governo si sono trasformati in una limata ai servizi
pubblici locali investono Regioni e Comuni - quello di Torino è ricorso al Tar per sospendere una legge con cui la giunta
Cota intende ridurre la spesa sociale di 12 miliardi - ma allo stesso tempo hanno permesso alla faccia bella, positiva,
bisognosa ma volenterosa della città, di venire a galla.
Impantanati in mille criticità, dalla dipendenza dal gioco all'anoressia, dalla perdita del lavoro al rapporto con figli
adolescenti, dalla relazione con genitori malati di alzheimer alle separazioni, sono almeno sette mila i torinesi che s'
incontrano regolarmente in stanze prestate dal Comune, associazioni di volontariato e parrocchie, per condividere la stessa
difficoltà di vita. «Oggi - dice Angelo Moltini, presidente del Camap, coordinamento auto mutuo Piemonte - sono 450 gruppi in
tutta la regione, 200 solo a Torino. Due anni fa erano la metà. Per le spese dipendiamo dai centri di servizio di
volontariato, pochi euro una tantum per un'espansione incontenibile apprezzata soprattutto dalle Asl, in crisi nera per le
falciate alla sanità».
Gli «Ama», infatti, lavorano come un setaccio: «Agli incontri - è l'esperienza di Michelangelo Canalis che a Torino, in via
San Martino, coordina un gruppo per disabili - si affaccia chi riconosce di avere un problema fisico, mentale o economico. E'
il moderatore che su richiesta dei medici di base s' incarica di dare informazioni sugli ambulatori o sui servizi sociali che
altrimenti non sarebbero mai stati raggiunti per vergogna o non conoscenza». Accade spesso però, che per serntirsi meglio
basta passare dalla condizione di isolamento a una di condivisione. Come quella dei genitori di bimbi portatori d' handicap
del quartiere Santa Rita, che hanno organizzato turni in macchina per far fronte alla cancellazione del servizio di
accompagnamento col pulmino della scuola. E quello di un gruppo di pensionati di via Artom: s'incontrano, fanno la spesa, si
aiutano con le buste e si sentono meno soli. Spiega Adriana Luciano, direttrice del dipartimento di Scienze Sociali dell'
Università di Torino: «Il presupposto non è il massimo, il venir meno di fondi, ma ciò che conta è vedere persone che cercano
soluzioni nelle relazioni: i rapporti danno benessere, formano società vivaci e la vivacità crea sviluppo».
L'idea di risolvere dal basso avversità comuni facendo leva sulle esperienze dirette di chi le sta attraversando oppure ne è
uscito, nasce lontanissima, in America, nel 1935 con la formazione del primo gruppo degli alcolisti anonimi. Da allora gli
«ama» hanno fatto molta strada, ma la struttura è rimasta la stessa: in un gruppo di self - help si condivide l' obiettivo di
sostenersi e incoraggiarsi. Gli incontri sono moderati da un «facilitatore» che ha la capacità personale e professionale di
far interagire le persone. I gruppi, gratuiti, non si sostituiscono ai servizi «ufficiali». Unica condizione per i
partecipanti: credere fermamente che chi ha un problema non rappresenta una grana da risolvere ma una risorsa da condividere.