Tossicodipendenza e abuso di alcol nel trasporto pubblico
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Tossicodipendenza e abuso di alcol nel trasporto pubblico
Le esperienze sul campo relative all’accertamento di assenza di tossicodipendenze e uso/abuso di alcol in un gruppo di lavoratori addetti al trasporto urbano ed extraurbano. Gli strumenti per la diagnosi e la prevenzione. Il counselling aziendale.
Molti articoli di PuntoSicuro in questi anni hanno voluto offrire informazioni, fare chiarezza e riportare risultati e indicazioni relativi ai controlli per la tossicodipendenza e l’abuso di alcol nel mondo del lavoro. Elementi non secondari del problema della sicurezza nei luoghi di lavoro, che deve naturalmente essere garantita in tutti i suoi aspetti delineati dalla normativa vigente.
Di tossicodipendenza e di abuso di alcol si parla anche nelle comunicazioni presentate al 73° Congresso Nazionale SIMLII “La Medicina del Lavoro quale elemento migliorativo per la tutela e sicurezza del Lavoratore e delle attività dell’Impresa”.
In tali comunicazioni – pubblicate sul secondo supplemento del numero di ottobre/dicembre 2010 del Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia – ci si sofferma in particolare sui risultati di una verifica riguardo al consumo/abuso di alcol e alla tossicodipendenza nel mondo del trasporto pubblico.
In “Accertamento di assenza di tossicodipendenze ed uso/abuso di alcol nei luoghi di lavoro. Esperienze sul campo” – a cura di F. Spagnoli, S. Di Lorenzo, G. Michetti, L. Tobia, A. Paoletti (Medicina del Lavoro, Università degli Studi de L’Aquila) – si sottolinea che l’uso di bevande alcoliche rappresenta “un’abitudine alimentare e culturale diffusa nel mondo occidentale”.
Si ricorda inoltre che:
- l’abuso alcolico è “la compromissione dell’esistenza correlata all’alcol che interferisce con le normali funzioni dell’individuo”;
- la dipendenza alcolica “è la necessità di assunzione di alcol, accompagnata da un’aumentata tolleranza all’etanolo o a segni fisici di astinenza”;
- con droga “si intende una sostanza psicoattiva che agisce sul SNC e altera l’equilibrio psicofisico dell’organismo”;
- il suo abuso è relativo all’uso “voluttuario e non terapeutico delle sostanze psicoattive che porta a menomazione, a disagio clinicamente significativo o a incapacità di adempiere a compiti lavorativi”;
- la tossicodipendenza è “l’incapacità di mantenere uno stato di benessere fisico e mentale senza il ricorso alla droga”.
Sappiamo inoltre, come riportato in numerosi articoli su PuntoSicuro, che le bevande alcoliche possono arrivare a influenzare il comportamento dell’uomo al lavoro, “agendo come concausa di danno e creando fattori di confondimento nella diagnosi differenziale delle malattie professionali”.
L’obiettivo dello studio – presentato nella comunicazione – è stato quello di verificare, in un gruppo di lavoratori addetti al trasporto urbano ed extraurbano, l’uso cronico di alcol etilico e l’usoabuso di sostanze stupefacenti.
Lo studio ha riguardato 511 conducenti di autobus addetti al trasporto pubblico, con età media di 41,6 anni e una anzianità lavorativa media specifica di 14 anni. A tali soggetti è stato somministrato il questionario CAGE ed è stato effettuato un prelievo di sangue venoso – “con valutazione dei seguenti parametri laboratoristici: CDT (transferrina decarboidrata), ?GT, MCV (volume corpuscolare medio, ndr), AST, ALT – per la verifica di uso/abuso di alcol. Inoltre “per la verifica dell’usoabuso di sostanze psicotrope e stupefacenti i lavoratori sono stati sottoposti ad accertamenti di I livello: visita medica e test tossicologicoanalitico su un campione di urine raccolto estemporaneamente”.
In particolare con l’analisi dei dati si voleva evidenziare la correlazione tra le “categorie di bevitori” ed i valori medi analitici ottenuti dal prelievo ematologico.
E “di rilievo è apparsa la correlazione tra MCV ed attitudine al bere”, debole invece quella tra CDT ed attitudine al bere (nella comunicazione, che vi invitiamo a leggere, sono anche riportati i dati relativi).
Si ricorda che la CDT è considerata dalla comunità internazionale “il parametro con maggiore sensibilità e specificità riguardo l’assunzione cronica di alcol, la cui accuratezza altera i valori di CDT anche per bevitori non moderati” e questo spiega ragionevolmente la “non correlazione tra CDT ed attitudine al bere”.
Gli autori possono affermare che “l’MCV è più utile in una popolazione di consumatori moderatiabituali di alcol mentre la CDT lo è per le categorie di minor consumo”.
Riguardo poi al protocollo droghe, al test tossicologico di primo livello, “su 511 soggetti analizzati, sono stati riscontrati 3 casi di positività, 2 al metabolita THC ed uno alla cocaina”. Successivamente al test di conferma (effettuato con “cromatografia accoppiata a spettrometria di massa sull’aliquota B del campione raccolto”) il numero dei positivi si è ridotto a 2 casi.
Veniamo dunque alla discussione relativa ai risultati riportati.
La comunicazione puntualizza che la diagnosi e la prevenzione dell’alcol-dipendenza “si basano oggi sull’utilizzo di strumenti di consolidata efficacia quali GGT, MCV, AST, ALT ai quali si affianca la recente introduzione nella pratica di laboratorio del dosaggio della CDT per l’individuazione dell’abuso cronico”. E i risultati dello studio “avvalorano questa tesi, in quanto in ambito lavorativo, la CDT è il parametro più importante per la diagnosi dell’abuso cronico di bevande alcoliche; tale parametro mostra un’utilità maggiore se integrato da dati anamnestici e dall’utilizzo di specifici questionari validati quali il CAGE, MAST, MALT 1 e 2, AUDIT”.
Secondo il parere degli autori la problematica legata all’assunzione di alcol deve inoltre “entrare a far parte del processo di valutazione dei rischi non solo in relazione al semplice usoabuso ma anche agli eventi infortunistici e ai loro possibili determinanti”.
Inoltre per quanto riguarda la diagnosi e la prevenzione delle condotte di usoabuso di sostanze stupefacenti “disponiamo di test tossicologici per valutare la positività nei confronti di una sostanza; in aggiunta il medico del lavoro può avvalersi, attraverso la sorveglianza sanitaria, dei propri strumenti quali l’esame obiettivo e l’anamnesi professionale”.
In conclusione per ridurre il consumo di sostanze stupefacenti – assunte anche in maniera occasionale – “oltre alle sanzioni di inidoneità temporanea alla mansione, è opportuno sviluppare, in collaborazione con le varie figure aziendali (DDL, RSPP, RLS) un programma di counselling aziendale specifico mirato a formare ed informare i lavoratori sui rischi e le conseguenze anche del solo consumo occasionale”.
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)