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Tossicodipendenza e carcere, uno sguardo alla legislazione

Tossicodipendenza e carcere, uno sguardo alla legislazione

Esperto Tribunale di Sorveglianza, spiega come il nostro ordinamento affronta l'annoso problema "carcere e la

tossicodipendenza": "Carcere è trattamento e non deve rinunciare ad esserlo"
"non basta che il soggetto lo voglia, "voglio uscirne", "lo voglio" detto da un tossicodipendente, anche se affermato con

convinzione, non è sufficiente, perché assumere droga è il suo modo di dirci che senza la sostanza non riesce a funzionare

sia nel suo mondo esterno che interno come egli desidera."
Ripercorrendo la storia dell'uso di droghe, in un percorso di reframes di incontri professionali; storie personali; fatti

accaduti; mi colpiva come la trama di questa storia avesse due grandi linee di narrazione, una riguardante il diritto,

l'altra la psicologia.
Prima di diventare un allarmante problema sociale, prima ancora che si parlasse di reati connessi all'uso di droga, di

detenzione e tossicodipendenza, prima dell'attuale complessità insomma, la percezione sociale comune dell'assuntore di droga

si può descrivere come una moneta, in cui su una faccia era possibile vedere l'immagine del colpevole da punire, sull'altra

quella del malato da curare.
Certamente dagli anni 60 ad oggi, queste due immagini hanno via via assunto prevalenze ed accentuazioni diverse, nelle varie

codifiche del senso comune e degli addetti ai lavori; ciò che interessa rilevare è che il modo di intendere la

tossicodipendenza ha fortemente influito sulla organizzazione degli interventi soprattutto su quelli a carico degli assuntori

di droga nella particolare condizione di ristretti in un contesto detentivo. Nel carcere la relazione tra aspetti psicologici

e di diritto non è un fatto di percezione sociale ma un fattore molto importante per la ricerca di soluzioni trattamentali

più idonee.
Le tappe normative hanno contribuito notevolmente a (ri)definire il modo di intendere il fenomeno dell'assunzione di droghe n

relazione alle sue conseguenze sul piano giudiziario.
La legge 685 del 1975 separa nettamente l'uso personale dalla spaccio di droga, per la prima volta si parla di prevenzione,

non si farà più ricorso ad istituti psichiatrici per la cura della tossicodipendenza; questa legge infatti inquadra la

tossicodipendenza in un cotesto medico e sanitario più generale affrancandola da una visione psichiatrica in senso stretto.
Ciò che prevale in quegli anni, però, è una divisione di vedute tra i sevizi pubblici chiamati ad affrontare il problema e a

farsene carico e l'opinione pubblica più incline ad identificare il tossicodipendente secondo i clichè di strada. Se da una

parte si intuisce che il problema è complesso dall'altra prevale il gusto del drammatico, del romanzo ricordiamo la tanta eco

che in Italia ha avuto Noi ragazzi dello zoo di Berlino"...
Dobbiamo attendere il 1990 per la stesura del Testo Unico sulle tossicodipendenze (D.P.R. 309/90); questa seconda tappa

normativa raccoglie e interpreta l'allarme sociale dell'epoca e la richiesta che il comportamento d'uso venga sanzionato

quando induce alla messa in atto di condotte devianti fino alla commissione di reati.
Sul piano degli interventi, il legislatore adotta come criterio guida la persona e la qualità del rapporto con le sostanze

stupefacenti, infatti prevede forme diverse di servizi con differenti modalità di trattamento più rispondenti alla funzione

del rapporto che la persona instaura con la sostanza.
Il vero problema è mettere insieme il livello della cura e il contesto sanzionatorio, soprattutto se riguarda direttamente

l'entrare in carcere,
cioè la funzione sanzionatoria penale, incidente sulla libertà personale, con quella terapeutica riabilitativa.
La 309/90 è una legge che propone una logica di intervento sostanzialmente di compromesso a sistema misto, tra esigenze

terapeutiche e misure sanzionatorie, il punto della questione è che l'ingresso nel circuito penale non consente di mantenerle

disgiunte e reciprocamente indipendenti come appare dal testo.
Gli istituti di pena sono i luoghi per eccellenza dove le esigenze di cura vanno conciliate con le istanze di controllo, si

tenta in diversi modi di favorire il recupero e il trattamento di quei soggetti che si trovano in carcere perché hanno

commesso reati riconducibili allo stato di tossicodipendenza.
Per quanto riguarda gli adulti, la legge italiana prevede la sospensione della pena (artt. 90-93 del T.U., D.P.R., 309/90),

le misure alternative contenute nell'ordinamento penitenziario, come la detenzione domiciliare e la semilibertà;

l'affidamento in prova al servizio sociale in casi particolari(art. 47 bis O.P.), che da parte di alcuni magistrati di

sorveglianza viene considerato assorbito dall'articolo 94 del D.P.R. 309/90.
Inoltre negli istituti penitenziari per adulti sono previsti una serie di servizi per la rilevazione - gestione- trattamento

della tossicodipendenza.
Il Servizio Nuovi Giunti prevede la presenza di psicologi durante l'intera giornata, che accolgono le persone in istituto e

svolgono una funzione di filtro rispetto alle principali problematiche emergenti nel detenuto al momento del suo ingresso in

istituto, tra cui anche l'assunzione di droga
Il Ser.T del territorio, svolge interventi direttamente nel carcere, poi abbiamo le SEATT, le cosiddette strutture a custodia

attenuata.
Le SEATT accolgono giovani tossicodipendenti definiti a basso indice di pericolosità, la cui presenza nella struttura deriva

da volontaria richiesta del soggetto e da una selezione delle domande di ammissione effettuate dagli operatori dell'istituto,

da quelli del Ser.T, della azienda sanitaria che opera nella struttura, dal Magistrato di Sorveglianza, che decide in base a

determinati requisiti:

-età;

-residenza vicina al luogo di detenzione;

-qualità della tossicodipendenza;

-avvenuta disintossicazione fisica;

-volontà manifesta di intraprendere un programma terapeutico specifico;

-la non rilevante entità della pena e del fatto delittuoso;

-posizione giuridica.

Da parte degli operatori che vi lavorano è richiesta invece un'attenzione all'ambiente detentivo e alla sua organizzazione,

al clima che caratterizza la struttura in termini emotivi ed affettivi, la scansione dei tempi delle attività

risocializzanti, sappiamo infatti che il tempo psichico non equivale al tempo reale, la responsabilità diretta degli utenti

rispetto ai luoghi che li ospitano.
Le SEATT, nate prima dell'entrata in vigore del D.P.R. 309/90, rispondono all'esigenza di avere delle strutture idonee allo

svolgimento di programmi terapeutici e socio-riabilitativi più simili, nei modelli operativi, alle comunità terapeutiche per

tossicodipendenti, quando a scontare la pena sono giovani tra i 18 e i 30 anni, condannati per reati minori collegati allo

stato di tossicodipendenza.
È interessante rilevare che non è importante che la persona concluda necessariamente il percorso terapeutico, entro i termini

previsti dalla pena; è importante che un processo di cambiamento abbia inizio, che intervenga la possibilità di pensare nuove

soluzioni, nuove strategie, nuovi modi di gestione della tossicodipendenza, che possono convergere in programmi esterni al

circuito giudiziario.
Il cambiamento è un movimento complesso che una volta innescato si ristruttura continuamente, anche la guarigione è un

percorso non lineare, mente e corpo subiscono delle variazioni connesse all'abuso di sostanze stupefacenti e di alcol,

sarebbe ingenuo credere che si possa ritornare a come si era prima che l'assunzione, in condizioni di dipendenza, si

manifestasse, ciò accade per ciascuna esperienza che viviamo la quale una volta vissuta ci cambia troppo o troppo poco. Ad

ogni modo si può star meglio, migliorare la propria condizione, qualcuno riesce ad estinguere completamente il comportamento

sintomatico, cioè la parte, misurabile, concretamente visibile ed emergente di un disagio, una sofferenza fino ad arrivare

alla patologia, che rinviano ai temi centrali della storia di ogni persona, per cui, a livello della diagnosi esiste

la"tossicodipendenza", a livello della terapia esistono le "tossicodipendenze", perché ciascuna comunica e necessità

interventi differenziati.
Nel caso specifico, non basta che il soggetto lo voglia, "voglio uscirne", "lo voglio" detto da un tossicodipendente, anche

se affermato con convinzione, non è sufficiente, perché assumere droga è il suo modo di dirci che senza la sostanza non

riesce a funzionare sia nel suo mondo esterno che interno come egli desidera.
Quanto detto non significa che la volontà manifestata di volersi curare non sia da accogliere ma che la sua motivazione a

cambiare deve essere sostenuta da un lavoro psicologico di sostegno, in grado di supportare i fattori critici e di

fragilità.La tossicodipendenza può contenere in sé caratteristiche di gravità che impattando il contesto detentivo lasciano

emergere la diversità di regole, di obiettivi, a partire dai diversi linguaggi in uso nei sistemi giudiziario, sanitario e

socioriabilitativo.
Un esempio concreto è dato dalla ricaduta, il ripresentarsi dell'uso di sostanza nel corso del trattamento, comportamento di

rilievo sotto il profilo penale, sanzionabile in violazione del patto giudiziario e delle sue prescrizioni, ma che a livello

terapeutico va letto come riproposizione sintomatica.
D'altro canto essere tossicodipendente non può e non deve assolutamente intralciare la qualità della risposta di giustizia

che deve essere certa ed inequivocabile, né deve incidere sulla percezione soggettiva e sociale di essere autore di reato, né

sulle conseguenze giuridiche imputabili ai reati commessi.
A mio avviso con il D.P.R. 309/90 la possibilità di accedere maggiormente all'affido in prova in casi particolari per reati

minori ha reso più residuale l'inserimento nelle SEATT che potrebbero essere un modello di comunità dentro il carcere, per i

casi in cui non possibile ricorrere ad altre misure alternative, occorrerebbe ripensare il trattamento intramurario, cercando

modelli operativi che reinvestano il carcere del mandato istituzionale di trattamento penitenziario. Carcere è trattamento e

non deve rinunciare ad esserlo come le misure alternative sono delle pene e non sono andar fuori da come ingenuamente si

potrebbe obiettare.