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Tra tossicodipendenza e polidipendenza: un saggio per non "morire di piacere"

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Tra tossicodipendenza e polidipendenza un saggio per non "morire di piacere"


Tossicodipendenza: prevenire e perfino guarire, si può. A patto che la"vittima" riesca a tenersi distante dalle sostanze di cui è succube. Più difficile è curare la polidipendenza, fenomeno in costante ascesa tra i giovanissimi che assumono, in percentuale sempre maggiore, non solo droghe, ma anche dosi massicce di energy drink e di alcol, responsabili principali di precoci e gravi danni al cervello. E in questo caso è certo che, relativamente alla prevenzione e alla fascia d'età, l'impegno di genitori, scuole, strutture educative e sanitarie, può rivelarsi un aiuto certamente efficace per non finire nell'abisso. E' il messaggio di speranza contenuto in Morire di piacere, dalla cura alla prevenzione delle tossicodipendenze (Bur saggi), il nuovo libro di Luigi Gallimberti, psichiatra, tossicologo clinico e professore al Dipartimento di neuroscienze all'Università di Cagliari che, attraverso numerose storie di uomini e donne, racconta la sua esperienza nell'uso di terapie coraggiose a sostegno di chi non può fare a meno degli stupefacenti o è caduto nella rete della polidipendenza.
Tra loro, ecco Nora che fa uso non soltanto di droga, e che si provoca ogni tipo di sballo con la trielina, le benzozdiazepine e con tutto ciò che le capita a tiro, per conquistarsi l'illusione del piacere e di una potente energia. O Giuseppe e Rita che, come tanti altri giovani, ricorrono alle sostanze più varie per inseguire stimoli sempre nuovi e per "morire di piacere".


Luigi Gallimberti, già autore di Il bere oscuro, viaggio nei misteri dell'alcolismo (Bur 2005), è stato alla guida del Sert di Padova e attualmente dirige nella stessa città l'Unità di disintossicazione clinico tossicologica. Grazie alla sua esperienza e alla sua abilità nell'entrare in relazione con i pazienti e con i loro famigliari, Gallimberti ha messo insieme un'enorme mole di conoscenze. Base forte del suo libro, da cui si ricava un monito positivo: anche quando guarire può sembrare utopia, (la tossicodipendenza è una malattia cronica soggetta a frequenti ricadute e l'astinenza, intuisce l'autore, provoca un senso di soddisfazione che, grazie alla sicurezza che infonde, predispone al rischio), è però ipotizzabile che si riesca con successo a "inattivarla", o almeno a tenerla sotto controllo. Detto questo, non è per niente escluso che, con le cure giuste e l'aiuto dei famigliari, aumentino le probabilità di guarire definitivamente e di tornare ad affrontare di nuovo la vita. E merito di Gallimberti, grande indagatore delle neuroscienze, è dedicarsi da sempre a individuare nuove strategie per vincere la sfida. E ottenere "l'impossibile".


Lei sostiene che è possibile curare la tossicodipendenza e, anche, prevenirne la deriva...
Non solo la tossicodipendenza può essere curata, ma ogni sforzo deve essere compiuto in questa direzione, senza mai perdere la speranza. I risultati prima o poi arriveranno, come ho sempre avuto modo di osservare nel mio lavoro. Parafrasando una vecchia battuta, non vi è niente di più facile che curare un tossicodipendente, basta farlo smettere di usare le droghe. Se partiamo dal presupposto che si tratti, nelle fasi conclamate, di una malattia neurologica eventualmente associata a disturbi psichiatrici, tale affermazione appare più comprensibile. Tenere lontano un cervello drogato dalle sostanze equivale a tenere lontano un organismo allergico ai pollini dei campi fioriti primaverili, un celiaco da un'alimentazione contenente glutine, una persona che è stata sensibilizzata al veleno di vespa lontana da quel veleno che potrebbe portarla ad uno shock anafilattico, potenzialmente mortale. Lo stesso vale per le tossicodipendenze sia quando si tratta di allontanare il cervello dalla sostanza, sia quando si tratta di gestire una ricaduta. Tutte quelle citate, tossicodipendenza inclusa, vanno considerate delle malattie croniche soggette a ricaduta, così come lo sono il diabete, l'ipertensione, molte patologie tumorali. Proprio una corretta gestione della ricaduta, così difficile da accettare solo in caso di tossicodipendenza, può permettere di arrestare la deriva verso la quale andrebbero gran parte dei tossicodipendenti se fossero abbandonati al loro destino.


Nella sua esperienza, quale percentuale riesce davvero a uscirne?
Non è infrequente sentirmi porre questo tipo di domanda, alla quale rispondere con precisione è del tutto impossibile. Per farlo ogni paziente preso in carico dovrebbe "entrare" in un protocollo che definisca i termini di inclusione, di esclusione, di efficacia di trattamento e così via. Questo danneggerebbe pesantemente il rapporto di fiducia indispensabile per lavorare con pazienti come questi. Non rispondere potrebbe d'altronde dare la sensazione all'interlocutore di essere reticenti. Cercherò quindi di dare comunque una risposta. Essa non potrà che essere empirica, basata cioè su una sensazione "clinica" soggettiva e su alcune osservazioni del tutto fortuite come ad esempio quella di rincontrare dopo tanti anni un vecchio paziente che "da allora" è sempre stato bene, o venire a sapere, altrettanto casualmente, che un altro ex paziente è andato sempre peggio o è deceduto. Fatte queste premesse, la mia risposta potrebbe essere formulata nel modo seguente. Di tutti i pazienti che sono passati dallo studio penso che la qualità della vita di almeno un 50-60% di loro sia migliorata, avendo comunque essi ridotto, seppur in percentuali diverse, la frequenza delle ricadute. Credo altresì che almeno un 20-30% ce l'abbiano fatta del tutto. Mi riferisco a quei pazienti che non hanno "più" toccato alcun tipo di sostanza, fatta eccezione per qualche rarissimo episodio circoscritto che non ha provocato conseguenze di rilievo. Sono altresì convinto che almeno un 10-20 % non abbiano conseguito alcun beneficio. Di più non saprei dire.


Dipendenza dalla droga, dall'alcol. La polidipendenza è in ascesa tra i giovani? Disponiamo di dati recenti? E, soprattutto, che fare?
La polidipendenza è certamente un fenomeno in ascesa tra i giovani, e di sicuro tra le persone che seguiamo. Ben difficilmente ormai vediamo pazienti che facciano uso o solo di alcol, o solo di eroina o di cocaina. Quasi sempre le sostanze con cui dobbiamo confrontarci sono almeno due o tre. Né il rapporto del nostro Ministero della Salute né il rapporto ESPAD (Osservatorio europeo), entrambi relativi al 2011, forniscono dati su questo fenomeno. Il rapporto ESPAD si limita a segnalare che gli adolescenti Italiani appartengono ai 10 paesi europei che più degli altri fanno uso di varie sostanze. Nel nostro progetto di prevenzione "Pinocchio" abbiamo dimostrato come una "spinta" importante alla poliassunzione venga dall'uso dei cosiddetti energy drink, sempre più usati da giovani e giovanissimi, anche grazie alla connivenza inconsapevole di molti genitori.
La risposta al "che fare?" è duplice, nel senso che si differenzia enormemente se si tratta di "curare" o di "prevenire". Nel primo caso possiamo in questa sede solo affermare che la cura di questi pazienti è molto più difficile di quella di pazienti che sono giunti alla prima osservazione dopo i 30 anni, per una molteplicità di cause, ma, prima fra tutte, per la gravità delle ferite inferte dalle sostanze su un cervello ancora troppo giovane e indifeso. La seconda è di natura preventiva ed è disarmante nella sua semplicità. Per ottenere un risultato preventivo efficace è sufficiente che i cervelli giovani non entrino in contatto con le sostanze d'abuso almeno fino ai 16-18 anni. Raggiungere questo obiettivo è invece molto complesso, ma si può fare e soprattutto lo si dovrebbe fare utilizzando una modalità scientifica che permetta di capire il grado di efficacia raggiunto dai vari progetti di prevenzione, una procedura che ormai noi adottiamo da molti anni.


Luigi Gallimberti, Morire di piacere Bur saggi Rcs libri Pag 509, euro 11


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)