Tre racconti sull’alcolismo, da leggere
3 racconti sull’alcolismo che ogni uomo deve leggere
John Cheever, Raymond Carver e Lucia Berlin: come tre grandi autori si sono confrontati con la loro dipendenza e perché leggerli
La scrittrice britannica Olivia Laing ha portato un’attitudine dai tratti voyeuristici, se non addirittura pettegoli— l’attenzione per inclinazioni, vizi e aneddoti degli scrittori – a un nuovo livello di critica letteraria. Nel suo libro ‘The Trip To Echo Spring. Why Writers Drink’ l’autrice prende in analisi le carriere di sei grandi scrittori americani, Francis Scott Fitzgerald, Ernest Hemingway, Tennessee Williams, John Barrymore, John Cheever e Raymond Carver, e le mette in relazione con il loro alcolismo. I picchi di euforia e la produzione febbrile, la negazione, la depressione e i blocchi creativi. La fama, il successo, la povertà, i drammi familiari, il gin, il whiskey. Laing intreccia alla sua storia personale le narrative dei suoi soggetti, i quali —tra l’altro— erano spesso amici di bevute tra di loro, come Carver e Cheever negli anni settanta in Iowa o Fitzgerald e Hemingway negli anni venti a Parigi. Lo fa ripercorrendo gli anni dell’infanzia vissuta con genitori alcolizzati e ripercorrendo letteralmente le tracce degli scrittori, cioè spostandosi in treno attraverso gli Stati Uniti.
Da New York a New Orleans, da Key West a Port Angeles l’autrice ricostruisce una topografia di alcol e letteratura. Seguendo le sue di tracce, ecco un trittico dei più suggestivi racconti brevi sull’alcolismo.
“Gli alcolici e il nuoto sono ciò che mi fa andare avanti” diceva Tennessee Williams e Laing prontamente nota come l’acqua sia un elemento ricorrente negli scritti degli alcolisti, come se fossero piccole fantasie di pulizia, purificazione, scioglimento e morte, scrive. “Il nuotatore” più conosciuto è probabilmente, e a buon ragione, quello di John Cheever. Forse grazie anche alla trasposizione filmica del 1968 in cui recitava Burt Lancaster, di cui recentemente la regista Rä Di Martino ha girato un re-make d’artista intitolato ‘Controfigura’ presentato alla 74a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Ned Merrill, tipico esemplare di uomo di successo americano con moglie e figlie, giovanile, atletico e vagamente spaccone, passa una giornata di mezza estate in una villa con piscina di amici in Connecticut. Come scrive Cheever, “era una di quelle domeniche in cui tutti se ne stanno seduti e continuano a ripetere: ‘ho bevuto troppo ieri sera’,” quando Ned, lasciato il suo tumbler di gin a bordo piscina, decide di tornare a casa via acqua. La prima volta che lessi il racconto pensai di non aver capito bene. Rilessi il passaggio un paio di volte ed effettivamente Ned aveva deciso di raggiungere la sua casa a Bullet Park attraversando tutte le piscine delle ville sulla sua traiettoria.
I Graham sono i primi vicini nel cui giardino Ned s’intrufola, i quali, accogliendolo calorosamente, non mancano di offrirgli da bere. Il protagonista prosegue nella sua impresa attraversando le piscine dei suoi amici, i Bunker, che stavano dando una festa, i Levy che erano appena andati via da casa. Arrivato alla dimora dei Welcher, trova la piscina svuotata e da quel momento l’atmosfera cambia gradualmente verso il lugubre. Le foglie si staccano gialle e rosse dagli alberi durante il temporale, è buio e fa freddo. Quando incontra gli Halloran si dicono dispiaciuti per le sue disgrazie, “che disgrazie?” chiede Ned confuso. Continua a nuotare di piscina in piscina, issarsi sul bordo per uscirne diventa sempre più faticoso, ed il freddo é penetrato così a fondo che a Ned sembra impossibile riscaldarsi. Ogni visita è accompagnata da un drink a volte offerto, a volte rifiutato, come nel caso dei Sachs, che non avevano più niente da bere “da quando Eric si è operato, tre anni fa.” Gli ospiti lo accolgono mano a mano meno cordialmente, fino a diventare ostili nel caso di Grace Biswanger o della sua ex- amante Shirley. Alzando gli occhi al cielo Ned vede le costellazioni invernali, Andromeda, Cefeo, Cassiopea. Si tira sù il costume da bagno, che ormai gli scende sui fianchi ossuti. Finalmente arriva a casa, ma non c’è nessuno, né sembra esserci stato qualcuno per diverso tempo.
Il secondo racconto non l’ho mai letto prima di scriverne qui, l’ho solo ascoltato, sul podcast del New Yorker. E non mi ero resa conto di quanto in profondità si fosse annidato nel mio subconscio fino a quando non ho letto recentemente stralci biografici di Raymond Carver. “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, fu completato negli anni in cui Carver era finalmente riuscito a tornare sobrio. Lessi una lettera di un Carver atterrito, il quale sosteneva che pubblicare i suoi racconti così, accorciati, con titoli cambiati, con finali tagliati che omettevano nella maggior parte dei casi gli happy ending che lo scrittore aveva previsto, sarebbe stato un duro colpo per la sua già precaria salute mentale. “ Ho appena fatto ritorno dai morti per rimettermi a scrivere dei racconti. (…) E adesso ho una gran paura, una paura da morire, lo sento, che se il libro fosse pubblicato nella sua attuale forma revisionata, non riuscirei più a scrivere un altro racconto,” scriveva Carver a Lish, il suo editore. Da queste poche righe emerge un terrore assoluto, come se un minimo cambiamento dello status quo compromettesse tutti i risultati personali per cui Carver aveva a lungo lottato. Nel leggere la disperazione quasi irrazionale di queste parole me ne sono venute in mente altre, quelle del racconto “La casa di Chef.”
La voce narrante è quella di Edna, moglie di Wes, alcolizzato. Wes aveva preso in affitto la casa di Chef, ex-alcolista a sua volta, gliela lasciava avere a poco. Si trovava a nord di Eureka e dava sull’oceano. Wes sta provando a smettere e ha chiesto alla sua ex-moglie di raggiungerlo. Passa un mese in cui la coppia beve caffè, succhi di frutta, va al cinema il martedì sera, a pescare lungo il fiume, agli incontri degli AA. È un mese idilliaco che la protagonista sa destinato a non durare. Infatti un giorno Chef torna a casa e gli annuncia che non possono più stare lì. Linda, sua figlia, ha perso il marito, Chef in quanto padre deve aiutarla, le offre la casa, andrà a vivere lì. Wes e Edna non possono più rimanere. Mentre Edna cerca di minimizzare e parla dei bei momenti che hanno passato insieme, Wes è afflitto, rimugina, qualcosa in lui è scattato. Si allaccia e slaccia i bottoni della camicia, ha lo sguardo fisso, truce. Allora Edna gli parla ancora e comincia il passaggio più bello e straziante di tutto il racconto, quando lei chiede, quasi implora il marito di immaginare.
“Immagina, immagina soltanto, che non fosse successo niente. Immagina che questa sia la prima volta. Immagina. Immaginare non costa niente. Metti che niente di tutto il resto fosse mai successo. Capisci che voglio dire? Dove saremmo allora?” Al che Wes, distogliendo finalmente lo sguardo dal nulla per guardare lei, le dice che allora immagina che dovrebbero altre essere persone. Persone che non sono. “Non ho più quel genere di immaginazione. Siamo nati per essere quello che siamo.”
Per l’ultimo racconto, una scrittrice donna. Contemporanea di Carver, con cui aveva in comune stile asciutto e sintetico, nonché il vizio, Lucia Berlin è l’autrice della raccolta di “La donna che scriveva racconti” in cui compare “La prima disintossicazione”. La protagonista è un’insegnate e madre single, ed è stata portata in ospedale. In reparto è l’unica di sesso femminile e cerca di farsi accettare dagli altri pazienti. Pepe, Willie, Mac, Joe, tutti senzatetto avvinazzati, che quando le chiedono di cosa si faccia, alla risposta “Jim Beam” le scoppiano a ridere in faccia. Prima della terapia di gruppo facevano vedere a tutti un video sugli effetti dell’Antabuse, un farmaco che gli veniva somministrato dopo il terzo giorno. Un farmaco che se mischiato all’alcool nelle prime settantadue ore dall’assunzione causa spasmi, crampi, choc, morte.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.gqitalia.it/news/2017/10/13/3-racconti-sullalcolismo-che-ogni-uomo-deve-leggere/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)