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Un giorno senza alcol: testimonianze dal mondo degli A.A

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Un giorno senza alcol
di Walter Todaro


A una riunione di «Alcolisti Anonimi». Storie e persone diverse. Insieme intorno a un tavolo con lo stesso obiettivo: smettere di bere. Senza dimenticarsi mai di essere degli alcolisti. «Perché l'alcol ce l'abbiamo sempre in testa»
«Ciao, sono Gino. Sono alcolista e le mie ventiquattro ore sono andate bene». «Ciao Gino», risponde il «coro». Intorno a un tavolo ci sono una decina di persone. Sul tavolo i libri che raccontano le esperienze personali e alle pareti i cartelli che esortano a compiere i dodici passi. «Non esiste alcuna distinzione relativa alla razza, al sesso al ceto sociale, alla fede religiosa, agli ideali politici». Così Marco, il «segretario», mi spiega subito la «filosofia» degli «Alcolisti Anonimi», associazione fondata nel 1935 a New York da Bill Wilson e che oggi conta due milioni di membri in oltre 160 Paesi. «Bill, un'agente di Borsa, e Bob Smith, un medico chirurgo, avevano problemi con l'alcol, interviene Pino, che con altri ex alcolisti nel 1987 ha aperto il gruppo di Seregno. Una sera si incontrarono e cominciarono a parlare delle loro esperienze. Parlarono tutta la notte, fino all'alba. E si accorsero che durante quella notte non avevano bevuto».
Solo due le donne presenti. Gli altri sono uomini ultracinquantenni con alle spalle molti anni di alcol. I «giovani» sono solo un paio. Inizia la riunione. Ogni persona dice il proprio nome («nella nostra associazione l'anonimato è la prima regola», mi spiega Marco) e racconta le sue ventiquattro ore, l'impegno a non bere per un giorno intero. Il primo passo. «È fondamentale - prosegue Marco - che chi entra in Alcolisti Anonimi ammetta il suo problema: la condizione di base è la volontà di uscire dall'alcol». Con la propria volontà, con la propria fatica. Anche fisica.


Persone diverse, ma unite dallo stesso dolore. Come uguale è l'obiettivo: smettere di bere. Dopo una furiosa discussione con la moglie, Gino decide di non bere più. Da solo, da un giorno all'altro. «Era il 13 settembre di venticinque anni fa, ricorda. Sono riuscito a non bere fino all'anno successivo. Ho passato tutte le vacanze di Natale senza toccare un goccio d'alcol. Poi, il 2 gennaio, sono tornato al lavoro e a mezzogiorno ero già tornato indietro di tre mesi, alla sera del 12 settembre. Ubriaco». Convinto dalla moglie, Gino entra in Alcolisti Anonimi. «Qui nessuno mi ha mai detto "devi smettere di bere". Mi hanno solo dato dei consigli su come stare lontano dall'alcol, a cominciare dal cambiare le abitudini, e mi hanno insegnato ad essere sincero con me stesso».


«Grazie Gino». Così il «coro» risponde al termine di ogni giro d'interventi. Mario ha iniziato a bere da giovane a seguito del trauma della morte del padre, anche lui alcolista. «All'inizio bevevo solo durante il sabato o la domenica, racconta. Poi tutte le sere e, alla fine, ero già ubriaco la mattina. Stavo male, ma l'alcol mi dava la forza di alzarmi tutti i giorni e affrontare il mondo». Mario conosce una ragazza colombiana. La sposa e ha una figlia. «Ero convinto che con una famiglia sarei riuscito a smettere di bere». Ma non funziona. La moglie lo lascia e Mario beve ancora di più («Il giorno che mi disse che se ne sarebbe andata le urlai: "Vai via, così posso bere liberamente»). Non torna più a casa a dormire («spesso passavo la notte in un parco o su una panchina»), ma l'alcol colpisce duro. Anche il fisico. «Bevevo e non mangiavo quasi niente. A un certo punto iniziavo a vomitare. Ma nello stomaco avevo solo alcol. Così mi buttavo in mezzo a una strada per farmi ricoverare in ospedale. Mi davano da mangiare, mi riprendevo, ma appena uscivo dall'ospedale entravo nel primo bar che trovavo». Poi l'incontro con «Alcolisti Anonimi». «Oltre questa porta ho trovato affetto. Stavo bene. Giorno dopo giorno, un passa alla volta e ho smesso di bere. Con il tempo sono anche riuscito a recuperare il rapporto con mia figlia». Adesso la crisi morde. Mario è stato messo in cassa integrazione e, poi, ha perso il lavoro, ma non ha più bisogno dell'alcol. «Mi rimbocco le maniche e cercherò un altro lavoro».

Per Pietro gli «Alcolisti Anonimi» sono stati «l'ultima spiaggia». Pietro ha scoperto che non era solo a combattere contro questa malattia e che altri come lui ce l'avevano fatta. E così, da ventiquattro ore in ventiquattro ore, ha smesso di bere. «Sono passati quasi otto anni. Avevo cominciato a 12/13 anni. L'alcol per me era un medicinale. Mio padre mi aveva abbandonato quando ero molto piccolo e mia madre era come se non ci fosse. Qui ho ritrovato la mia dignità. E ho ricostruito i rapporti con i miei genitori. Durante le riunioni del gruppo dici delle cose che fuori non diresti mai». Anche perché una delle regole degli «Alcolisti Anonimi» è il divieto assoluto di interrompere chi parla. E anch'io, dopo quale esitazione iniziale, mi adeguo.


Il più giovane del gruppo Alberto ha ventinove anni. «Ho iniziato a 14 anni, racconta. Avevo bisogno dell'alcol per affrontare le mie emozioni, i rapporti con gli altri, soprattutto con le ragazze. Per essere al centro dell'attenzione. Spesso quando uscivo la sera, prima di raggiungere i miei amici, mi fermavo in un bar e bevevo. Da solo». Adesso Alberto non tocca alcol da sette mesi e non ha più paura. «Ho ripreso ad andare a fare l'aperitivo con gli amici, ma non bevo più alcol. E sono felice. Perché come mi hanno detto quando sono entrato nel gruppo "per un alcolista un bicchiere è troppo, ma venti non sono abbastanza"».


L'alcol non fa selezione. Giovani o vecchi, ricchi o poveri, uomini o donne. «Io ho cominciato tardi, a trent'anni, racconta Anna. Ero terrorizzata all'idea di una vita senza alcol. Avevo paura ad uscire di casa se prima non bevevo. L'alcol, per me, era uno scudo. Per bere ho fatto una vita d'inferno per vent'anni. Tutto di nascosto. Una vita che non auguro neanche ai cani. Quando ho iniziato, per una donna entrare in un bar e ordinare da bere non era facile. L'alcolismo di una donna era più solitario di quello di un uomo». Poi un patto con la figlia l'ha spinta dentro una sede di «Alcolisti Anonimi». «Ho capito che ero un'alcolista. Fuori da qui ero un'avvinazzata, un'ubriacona, una beona. E quando accetti di avere un problema, anche se decidi di continuare a bere, bevi male. Qui non ero sola, ma soprattutto non ero l'unica donna. Ho fatto molta fatica a smettere, ma le prime ventiquattro ore senza alcol mi hanno fatto capire che un giorno ce l'avrei fatta. E ho ripreso in mano la mia vita».


Antonio parla della «paura ad affrontare la porta». La paura della prima riunione con gli alcolisti anonimi («La mia angoscia è durata un quarto d'ora. E dopo tre anni sono ancora qui»), mentre Chiara racconta il rapporto con la figlia, undici anni: «Mia figlia mi ha visto sempre come alcolista, adesso sono la sua mamma. Ho capito fuori di qui c'è la vita. E che la posso affrontare senza alcol».
E poi c'è chi ha smesso per una sfida, come Paolo. «Dopo qualche mese in Alcolisti Anonimi, una sera ho preso la parola e ho detto: "volete vedere che smetto". E ho smesso. Per me era stato uno sforzo enorme. Da parte degli altri mi aspettavo almeno un "bravo". Invece niente».
Perché, come spiega Roberto, «in Alcolisti Anonimi nessuno ti chiede di cambiare vita. Sono le esperienze che ti fanno capire che sei un alcolista. Ma anche che puoi smettere». Solo ascolto. Però senza dimenticare mai la tua condizione di alcolista. «Dopo più di trent'anni l'alcol c'è l'ho sempre in mente, dice Pino. L'alcolismo è una malattia, per questo dobbiamo ricordarci sempre che siamo alcolisti». Ciao, sono Pino. Sono un alcolista e nelle ultime ventiquattro ore non ho bevuto.

UNA SERATA PR CONOSCERE GLI «ALCOLISTI ANONIMI»
Venerdì 12 luglio la sede di «Alcolisti Anonimi», in via Bellini, 1 presso il Noa (Nucleo Operativo Alcologia) dell'ASL , aprirà le sue porte a tutti. Un modo per conoscere le persone protagoniste di questo articolo e avvicinarsi alla realtà degli «Alcolisti Anonimi».


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)