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Un sardo su quattro esagera con l'alcol, ed è boom tra i giovani

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Un sardo su quattro esagera con l'alcol. È boom tra i giovani
di Giovanni Bua
SASSARI. In centomila bevono almeno una birra al giorno, battuti solo dagli inarrivabili bolzanesi. In trecentomila buttano giù ogni 24 ore

qualcosa di alcolico. E in 245mila hanno almeno una volta in un anno un «comportamento a rischio» legato all'alcol (secondi in Italia tra gli

uomini dopo il Molise). Comportamenti tra cui spicca l'ormai famigerato binge drinking: ingollare almeno sei unità di alcol di qualsiasi tipo

in un ristretto lasso di tempo. Con l'obiettivo di raggiungere il prima possibile uno stato di ubriachezza. Pratica in cui la Sardegna

eccelle: lo fanno il 14 per cento dei maggiori di 11 anni, il 24,9 per cento (primi in Italia) degli uomini. E soprattutto lo fanno sempre di

più, visto che nell'ultimo biennio la percentuale è aumentata del 6,4 per cento. Ingozzarsi d'alcol. Questi i dati raccolti dall'istituto

superiore di sanità e pubblicati nella valutazione 2011 dell'Osservatorio nazionale alcol-Cnesps sull'«impatto dell'uso e abuso di

alcol».Dati che, oltre a confermare il noto adagio del sardo bevitore di birra «professionale», mettono in luce un problema che con «la

birretta tra amici» ha poco a che fare. E che molto invece riguarda il crescente disagio (giovanile e non solo). Un'industria del

divertimento che dietro il consumo "monstre" di alcol nasconde molte sue pecche. Una comunità scientifica abituata a curare i grandi

piuttosto che aiutare i piccoli. Un sistema di sicurezza pensato per reprimere invece che per prevenire. Una politica che (complici gli

incassi record di tasse sugli alcolici) semplicemente si gira dall'altra parte.Il tutto condito da media che con una mano fanno campagne

contro l'alcol alla giuda e con l'altra sponsorizzando tra giovani e giovanissimi colorati aperitivi in bottiglietta da 5 gradi ed energy

drink che promettono di far volare. Aria di Nord Europa. Risultato: «Tra i giovani - spiega uno studio Censis sui consumi e mutamenti sociali

legati all'alcol dal 1991 al 2010 - si affermano modelli di consumo di matrice nordeuropea, che trovano terreno fertile in quei contesti che

più hanno risentito dei processi di frammentazione sociale e di indebolimento delle reti. Il tutto legato alla crisi di fattori protettivi

tradizionali (famiglia, scuola, comunità di quartiere, parrocchia), a quella del principio autorità, e allo sviluppo di luoghi di incontro

con l'alcol». La serata non decolla. Luoghi di incontro e socializzazione (spesso inadeguati) nei quali l'alcol gioca il ruolo di

indispensabile «facilitatore». A confermarlo i dati raccolti per il 2010 dalla Doxa e dell'Osservatorio permanete sull'alcol. Che

sottolineano come tra chi tira tardi in locali da ballo e discoteche (più di 12 volte nell'anno) la quota di quanti dichiarano un

comportamento a rischio è nettamente più alta (tra i maschi, sono il 39 per cento rispetto al 23,7 di coloro che non vanno a ballare). Numeri

che schizzano ulteriormente se si prendono in considerazione le sole ubriacature per i giovani di 18-24 anni, che riguardano il 41,7 per

cento degli uomini che vanno in discoteca assiduamente (contro il 10,9 di chi non va) e il 20 per cento delle donne (contro il 3,6). Il

principale luogo di consumo di bevande alcoliche tra i giovani si conferma comunque il bar, dove a farla da padrona è la sempreverde

birretta. Che registra un forte aumento del consumo al bancone passando dal 27 per cento nel 1991 al 76 nel 2010. Poi aperitivi e digestivi

(dal 49,5 al 76,4, complici gli alcopops). E superalcolici, con chupiti, vodke e rhum che schizzano dal 33,9 al 49,7.In crescita anche il

consumo «in strada». Che se nel 1991 si limitava all'1 per cento, è cresciuto fino a raggiungere il 4,1 per vino e aperitivi, il 2,6 per i

superalcolici, l'8,7 per la birra. Tutto sotto controllo. Un fiume d'alcol che, secondo gli esperti, non è percepito come rischioso né dal

punto di vista sociale né da quello sanitario. Soprattutto tra i giovanissimi. «Nonostante - spiega uno studio Istisan - chi inizia a bere

prima dei 15 anni di età ha un rischio 4 volte maggiore di sviluppare dipendenza in età adulta rispetto a coloro che posticipano il consumo a

21 anni. E non dimenticando che negli adolescenti, il consumo di alcol è associato a numerosi problemi come attività sessuale a rischio,

riduzione delle prestazioni scolastiche, violenza, bullismo e possesso di armi. Inoltre, il consumo di alcol interferisce con il normale

sviluppo cognitivo, emotivo e delle competenze sociale degli adolescenti, ed è legato a una serie di disordini psichiatrici». Una porta per

la droga. Ma c'è di peggio. L'alcol infatti è una perfetta gateway drug, «droga ponte» che facilita e favorisce il consumo di altre droghe,

sempre più facili da trovare nei luoghi di aggregazione giovanile. Da ubriachi insomma è più facile cedere alla tentazione, e iniziare il

viaggio spesso senza ritorno nel mondo di allucinogeni, ecstasy e cocaina. Alcopops. A mischiare ulteriormente le carte in tavola le

strategie e le modalità di marketing che rendono le bevande alcoliche «seducenti». Basti per tutti l'esplosione degli alcopops, bevande

alcoliche, introdotte negli anni'90, dolci e colorate, con una gradazione intorno al 5%. Vera porta di accesso all'alcol per gli under 15 (e

per molte ragazze). O l'impazzare degli energy drink analcolici, che più che volare finiscono spesso per impantanarsi dentro cocktail a base

di vodka o rhum. Una strada da trovare. Insomma i messaggi che arrivano agli adolescenti sono tutt'altro che chiari. «Anche perché - spiega

Enrico Tempesta, presidente del Laboratorio dell'Osservatorio permanente sull'alcol - per decenni non c'è stata una chiave di lettura del

bere giovanile. Vent'anni fa nel nostro Paese la dimensione prevalente nella ricerca era quella medica, focalizzata sulla cura e sulla

riabilitazione delle patologie correlate all'abuso di alcol da parte di una popolazione di adulti se non addirittura di anziani. Per i

giovani si parlava solo di droga. E in parte è ancora così. La scommessa è quella di ricucire questo gap. E iniziare a parlare con gli

adolescenti. Spiegandogli che l'alcol non è un amico, né un aiuto». Anche perché (secondo uno studio pubblicato dalla inglese The Lancet):

«L'alcol è la sostanza psicoattiva maggiormente dannosa socialmente, più diffusa e disponibile e il cui basso costo è costantemente favorito

dalle promozioni al bere». Con buona pace di chi (a iniziare dallo Stato) il problema preferisce non vederlo. E lascia i nostri giovani ad

annegare dentro una bottiglia.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)