Una pianta spinosa per proteggere il fegato
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Gli antichi avevano chiaro il concetto, l'etimologia indoeuropea del termine "hepar" lo conferma, che il fegato è l'organo di accumulo per eccellenza, sia in senso fisico che psichico. Ittiti, Etruschi e anche Romani, analizzavano il fegato delle vittime sacrificali per trarne auspici. La ragione di questa usanza stava nel fatto che eventuali veleni o influssi negativi, si sarebbero accumulati e avrebbero dato segno di sé a livello di questo organo. Il fegato era anche, e correttamente, considerato la fonte della vita perché è la struttura che incamera nelle ore successive all'assunzione del cibo, quindi non in maniera fissa e regolare, ma distribuisce poi con un necessario flusso continuo, ormoni e sostanze nutritizie, opportunamente elaborate, a tutti gli organi del corpo, permettendone il funzionamento costante, anche a distanza dal pasto. Questa grossa ghiandola ove si accumulano soprattutto zuccheri e grassi provenienti dalla dieta, ha necessità di approvvigionamento ma anche limiti di capienza.
Un troppo scarso apporto di cibo porterà a una sofferenza che si manifesterà soprattutto a livello degli organi che dal fegato dipendono per le loro forniture energetiche. Un eccessivo apporto, dovuto a squilibri dietetici, o ad una incapacità di mobilitare le riserve, legata a fattori tossici o infettivi, crea un intasamento. Si determinerà in un primo momento accumulo di grasso a livello dell'organo e successivamente si innescheranno processi infiammatori e degenerativi. Oltre agli errori dietetici, anche vari virus concorrono quindi a determinare questo problema che in termini medici si chiama: steatosi epatica. Il più delle volte questa patologia viene evidenziata per caso, in corso di un esame ecografico da cui risulta un fegato stranamente scintillante. Spesso questo reperto viene sottovalutato, considerato quasi normale e quindi non trattato. Negli ultimi anni tuttavia si è notato che un numero crescente di tali quadri di accumulo evolve verso vere e proprie patologie infiammatorie croniche che possono esitare anche in cirrosi. Sebbene la cura corretta di questa affezione debba essere messa in relazione alla comprensione delle cause di base, esistono nell'ambito della Medicina Naturale delle sostanze che proteggono il fegato e ne ostacolano la degenerazione grassosa.
In particolare voglio qui citare una pianta, nota per la sua efficacia a livello digerente da oltre 2000 anni, ma solo recentemente riscoperta grazie alle molte evidenze scientifiche sui suoi effetti terapeutici; si tratta del Cardus marianus. È spinosa, frequente in estate nei campi incolti, simile sotto alcuni aspetti al carciofo, anch'esso ottimo epatoprotettivo. Tutta una serie di sostanze, oggi di uso molto comune, dall'alcol agli psicofarmaci, dagli anti ipertensivi alla pillola anticoncezionale, sono notoriamente tossiche per il fegato. Gli estratti della pianta impediscono non solo l'eccessivo assorbimento a livello intestinale di grassi, ma anche l'assimilazione di tossici a livello della cellula epatica e stimolano la loro espulsione con la bile, che tra l'altro rendono più fluida antagonizzando la formazione di calcoli. Il fegato è un organo estremamente vitale, con grandi capacità di rigenerazione.
L'assunzione prolungata di estratti di Cardus marianus , circa 600 mg al giorno, stimola le capacità di auto guarigione del viscere ed è utile non solo nella prevenzione e cura della steatosi epatica, ma anche nelle problematiche più avanzate quali la fibrosi e la cirrosi. Le cure naturali possono essere un valido aiuto in patologie complesse, quali quelle epatiche, tuttavia è necessario entrare in una filosofia terapeutica oggi controcorrente, con la consapevolezza che la salute non si riacquista in un " moment" come ci si vuole fallacemente far credere.
Ivo Bianchi. Esperto del Centro OMS di Medicina Tradizionale, Università di Milano