Via alla vendemmia: tra i filari l'incubo della crisi del vino
Via alla vendemmia: tra i filari l'incubo della crisi del vino
Entro pochi giorni partirà la vendemmia delle bianche e poi si passerà alle rosse e ai passiti vendemmia tardiva. Troppe
bottiglie invendute, crolla il prezzo delle uve
SERGIO MIRAVALLE
TORINO - Pronti con le forbici. Si comincia. Non troppo presto, com'era accaduto negli ultimi anni e neppure tardi. La
vendemmia 2010 si annuncia nella norma, con una resa media superiore di un buon 5% all'anno scorso il che, secondo la ricerca
Ismea-Unionvini, porterà l'Italia, a produrre 47 milioni di ettolitri di vini. Continua così il testa a testa con la Francia
per il titolo, non solo simbolico, di maggior produttore mondiale di uva. Si è cominciato da pochi giorni con i grappoli a
bacca bianca da base spumante, che vanno raccolti quando la maturazione non è del tutto completata in modo da garantire
freschezza e fragranza alle future bollicine in bottiglia. Poi si passerà ai moscati e al vermentino e infine alle rosse dai
dolcetti al sangiovese, dal nero d'Avola ai nebbioli, quando l'autunno già velerà di nebbie le colline.
Dalla Franciacorta in Lombardia, così come in Piemonte o in Veneto e al Sud dalla Sicilia alla Puglia il tam tam della
vendemmia batte una sola notizia: «Uve buone, a volte anche ottime, ma prezzi in forte frenata e in qualche caso in caduta
libera». La crisi economica pesa sui mercati e l'etilometro con le sue paure ha fatto il resto.
Ne sanno qualcosa le 19 cantine sociali del Sud Piemonte che hanno lanciato un clamoroso Sos rivolto ai politici, a
cominciare dal presidente della Regione Roberto Cota. A nome delle 12 mila famiglie dei soci si chiede di intercedere a Roma
affinché arrivino aiuti alla «rottamazione» di oltre 200 mila ettolitri di vini delle precedenti vendemmie, soprattutto
barbera e dolcetti, ancora conservati nelle vasche. «Se non togliamo dal mercato questa massa di invenduto, lasceremo spazio
alla speculazione al ribasso che sta deprimendo le quotazioni» spiega Roberto Porzio presidente della Vignaioli Piemontesi,
una delle associazioni che ha organizzato per giovedì 2 settembre una protesta sulla piazza di Asti. «Per la distillazione di
crisi c'erano a bilancio statale 27 milioni di euro per un contributo di 25 centesimi a litro - ricorda il deputato del Pd
Massimo Fiorio - abbiamo proposto un emendamento specifico per integrare l'intervento, ma è stato bocciato».
In Langa le cose paiono andare un po' meglio, ma non troppo. Le uve di nebbiolo dalle quali si ottengono Barolo e Barbaresco
fino a qualche anno fa arrivavo a quotazioni di oltre 4 euro il chilo, oggi c'è chi indica la soglia di 1,5-2 euro come la
«linea del Piave» sotto la quale non andare. «Noi, anche negli anni più euforici non abbiamo mai ecceduto sui prezzi delle
bottiglie e oggi teniamo le posizioni» commenta Piero Quadrumolo, direttore delle «Terre da Vino» un colosso con sede a
Barolo che raccoglie 13 cantine cooperative piemontesi. Per Quadrumolo occorre porre un freno al boom degli impianti: «Se il
mercato assorbe 8-9 milioni di bottiglie di Barolo, produrne oltre 12 milioni crea un squilibrio con la tentazione a
svendere».
Sempre in Piemonte è ancora aperta la delicata questione moscato, la materia prima per l'Asti spumante che, con 70 milioni di
bottiglie è il vino italiano più esportato nel mondo. Le Case spumantiere hanno proposto un prezzo bloccato per tre anni a
0,96 euro al chilo e una resa da 100 quintali ettari. Assomoscato, duemila produttori di uva, guidati dal vignaiolo Giovanni
Satragno, chiede almeno l'adeguamento Istat. «Abbiamo ordini internazionali sul moscato e l'Asti - assicura Lorenzo Barbero
enologo del gruppo Campari, che controlla i marchi Cinzano, Riccadonna - ma non possiamo permetterci aumenti della materia
prima». L'assessore regionale all'Agricoltura Giuseppe Sacchetto ha convocato le parti martedì per una mediazione.
La soglia dell'euro al chilo pare un miraggio per molte uve del centro sud che patiscono quotazioni ancora più basse. Calerà
il prezzo del vino? Non è detto. Nella filiera soprattutto quando tra produttore e consumatore si inseriscono altri soggetti
guadagna più chi commercia che chi produce la materia prima. E purtroppo non accade solo per l'uva.