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Violenza in famiglia: quando i figli sono violenti verso i genitori

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Violenza in famiglia: quando i figli sono violenti verso i genitori
A cura di Anna Bassoli
In Italia i bambini e i ragazzi sono pensati solo come la parte fragile e si fatica a vedere che possono fare violenza sui genitori. A

differenza di ciò che si pensa comunemente, una relazione violenta non coincide con assenza di legame. Al contrario, la violenza si manifesta

dove il bisogno di relazione è forte, pur esprimendosi in modo distruttivo. Dunque, nelle famiglie gravate dalla violenza il legame esiste ed

è intenso ma è un legame che porta in essere molta sofferenza, pertanto le relazioni violente, se sanate, possono evolvere in legami

gratificanti. I modi di stare insieme vengono ereditati e trasmessi tra le generazioni: ognuno insegna ciò che ha vissuto. Continuare a fare

ciò che si è sempre fatto non può che rinforzare il problema. Compiacere, blandire, nascondere per non urtare la suscettibilità del figlio lo

rende più prepotente. Per invertire la rotta, occorre immettere un nuovo punto di vista, quello di un professionista. Questa figura fatica ad

essere interpellata, poiché è un problema di cui nessuno vuole parlare per il timore di invadere una sfera troppo privata, come se fosse un

tabù. I genitori che soffrono per questo problema sentono una cappa di ipocrisia e di omertà che li mantiene nel silenzio.
Quando si parla di violenza si fa riferimento a due tipologie: la violenza verbale e la violenza fisica. Quella verbale si riferisce a

minacce, squalifiche, offese, intimidazioni; quella fisica si riferisce a persone (esempi: calci, pugni, spinte, percosse, ecc...), verso

oggetti (spaccare porte, sedie, ecc...) verso animali (torture, amputazioni, ferite di qualsiasi genere...). Quando un genitore subisce le

aggressioni verbali e fisiche di un figlio si chiede "cosa ho sbagliato?", piuttosto di chiedersi "cosa posso fare?". Sensi di colpa,

vergogna, ricerca di un presunto colpevole, paralizzano, indeboliscono, confondono, impediscono di cercare quel aiuto che solo un esterno può fornire. Convincersi che non si é soli, sia nel problema che nella ricerca delle soluzioni, può dare la forza per farlo emergere, contenerlo, comprenderlo e risolverlo.
La nostra società, per tante ragioni, ha scardinato l'autorità degli adulti nei confronti dei minori. Educare i figli è ogni giorno più

difficile, l'attacco ai genitori é sempre più precoce. Quando il figlio prende il sopravvento, il genitore, come guida, è già in scacco. Il

braccio di ferro e la sfida continua possono produrre un ribaltamento dei ruoli: i figli diventano i padroni della casa. Siamo di fronte al

"figlio tiranno": un figlio che insulta, squalifica, offende, ricatta, manipola, un figlio che picchia i genitori, quasi sempre la madre.

Madri molto coinvolte nella vita dei figli, costantemente pressate dalle loro pretese, madri che si sentono profondamente sole. A fianco,

padri molto occupati nel lavoro, lucidi rispetto al problema, ma percepiti come distanti, critici e distaccati. Una distanza che li mette

all'angolo, spettatori passivi della scena familiare. Il "figlio tiranno", è solo in apparenza potente: esprime con gli attacchi d'ira la

sua grande sofferenza. Facendo il padrone rimane in balia di se stesso, senza nessuno che lo protegga dalla propria aggressività. Dopo la

violenza si sente un cattivo figlio e teme di non meritare l'amore dei genitori.
La casistica rivela che una dinamica familiare ricorrente in situazioni di violenza è la triangolazione, ossia il movimento di inclusione di

un terzo nel gioco relazionale di una coppia. Quando il figlio è triangolato diventa uno strumento usato nel conflitto di coppia. Il figlio

può essere "usato" nel ruolo di collante, mediatore, controllore, giudice o essere coalizzato con un genitore contro l'altro (Bassoli,

Destefani, 2009).
Si possono raggruppare alcuni profili dei minori che agiscono violenza verbale e fisica sui genitori.
Figlio compiacente: dubitando dell'amore dei genitori il figlio ha tentato di conquistarli compiacendoli. La violenza sarebbe, quindi, il

segno del rancore accumulato negli anni, la difficoltà a staccarsi da chi potrebbe agire delle ritorsioni;
Figlio sedotto/coniugalizzato: in situazioni di violenza di coppia in crisi con estromissione/abbandono di un partner, il figlio viene

investito dall'altro partner, del ruolo rimasto vacante;
Figlio "nonno": in situazioni in cui il figlio è investito della funzione genitoriale nei confronti dei propri genitori. Esempi di figlio

nonno sono: figlio "giudice", quando è coinvolto a dare ragione/torto alle figure parentali, subendo un conflitto di lealtà atroce.
È in fase adolescenziale che il figlio prende le distanze dai genitori e può sviluppare un'aggressivita' verso di loro, colpevoli di averlo

"usato" in funzioni e ruoli che non erano di sua competenza e pertanto spesso il sentimento provato è di fallimento. Riempire un vuoto

affettivo del genitore che il figlio non ha contribuito a creare lo mette in una posizione di finto prestigio e orgoglio. Solo in seguito

capisce di essere stato "invisibile" rispetto alle sue esigenze e ai suoi bisogni di figlio e sviluppa l'aggressività verso i genitori e per

estensione verso il mondo degli adulti.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)