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Workaholic: malati di lavoro

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Workaholic, malati di lavoro

Più lavori e più ti senti insoddisfatto di ciò che fai. Ma non riesci a farne a meno, come in uno stato di dipendenza.. Che problema hai? Sei un workaholic (per dirla all’inglese), un “ubriaco di lavoro”. Si tratta di una forma di assuefazione, che può essere individuata e combattuta.
Alcuni ricercatori norvegesi dell’Università di Bergen hanno elaborato uno speciale questionario diagnostico, basato su alcune domande a risposta multipla.
Questo metodo di valutazione, cosiddetto scala di Bergen, punta su 7 criteri propri del mondo dell’impiego e della maggior parte delle dipendenze (alcol, droga etc): tolleranza, visibilità, umore, ripiegamento su se stessi, conflitto, ricaduta e problemi.
Disturbi legati al lavoro
I primi risultati ottenuti dagli specialisti hanno permesso di stabilire tre gradi di dipendenza: non dipendente, semidipendente e workaholic, facendo distinzione tra individui “sani”, lavoratori motivati e malati di lavoro.
Tra i soggetti più a rischio sembrano esserci coloro che per lavoro utilizzano smartphone, tablet o sistemi mobile in genere. I benefits tecnologici, infatti, servono proprio a tenere sempre legati al lavoro, aumentando la relativa dipendenza.
Terminata la giornata di lavorativa bisogna imparare a staccare la spina! Occorre mantenere una “giusta distanza” tra vita privata e lavoro: sono le persone che devono avere il controllo sugli oggetti, non il contrario.
Solitamente il workaholic parte da una condizione “normale” di interesse nei confronti del proprio impiego, finendo poi per renderla “patologica”.
L’iter che conduce all’assuefazione può passare attraverso una fase iniziale nella quale un individuo comincia a lavorare di nascosto, in orari straordinari: le relazioni iniziano a deteriorarsi, evidenziando leggeri stati di depressione, nervosismo e malessere. Segue poi una fase critica, come nelle dipendenze da alcol: la persona cerca scuse per lavorare anche nei giorni di riposo, non riesce a rispettare i limiti autoimposti, diventa aggressiva e comincia anche a mostrare pressione alta, disturbi cardiaci e gastrici.
Nell’ultima fase invece, quella cronica, il lavoro finisce per occupare tutte le  ore del giorno e i momenti liberi, sconvolgendo la vita privata.
Il metodo di valutazione di Bergen permette proprio di individuare in quale fase si trova un lavoratore, al fine di poterlo (eventualmente) aiutare.
Si tratta di uno strumento capace di aiutare chi esagera con gli impegni, facilitando eventuali terapie: questi disturbi non vanno assolutamente sottovalutati!
E’ già stato dimostrato come il superlavoro provochi insonnia, iper-stanchezza e stress, portando a conflitti relazionali e malessere.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)