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Internet e la dipendenza sociale, letale

Internet e la dipendenza sociale, letale

Internet e la dipendenza sociale, letale

Internet oggi compie 50 anni. Esattamente il 29 ottobre del 1969 ci fu il collegamento fra i primi due nodi della rete, tra l’Università di Los Angeles e quella di Stanford. Era l’inizio di una nuova era. I progettisti dell’Arpa, l’Advanced Research Projects Agency, stavano realizzando un sistema di scambio di dati tra studiosi del mondo e una biblioteca universale consultabile da chiunque in qualsiasi angolo del mondo. A soli cinquant’anni il sogno nobile di Internet è oscurato dai tanti, troppi, intoppi e pericoli che la rete presenta.

L’ingegnere informatico, Vincenzo de Feo, dagli anni ’90, combatte, al fianco dell’Arma dei Carabinieri e della Polizia Postale, contro cyberbullismo, bullismo, e contro tutte quelle forme di violenza e devianza che nascono, si consumano e si perpetrano in rete. È di Aversa, ma vive a Milano da molti anni.

 “La lotta contro il bullismo non contempla chiacchiere da salotto, bisogna essere umili, fare rete, comunicare. Bisogna parlare per informare: le dipendenze non sono solo quelle note droga, alcol, gioco patologico, pornografia ma anche rete, cyberbullismo, bullismo lo sono”. E sono parimenti pericolose, letali.

Sono false felicità che agiscono sul circuito cerebrale del piacere e creano dipendenza. Sviluppano un inganno, una percezione falsata di benessere. La sua è una visione a lungo termine, inusuale. Quando ha dovuto affrontare i problemi di suo figlio si è trovato solo. Suo figlio, nato e cresciuto a Milano, ha subito la contaminazione e la fagocitazione di un gruppo di mala vivenza.

Vessato, manipolato, indotto al reato; il suo caso si è consumato tra Città Studi, Tricolore, Guastalla, De Amicis, Magenta, Colonne, Arco della Pace. Non la periferia, i sobborghi malfamati ma il centro, tra la Milano “bene”, il cuore di Milano e di uno stile metropolitano alla deriva. Lui, padre attento, ha iniziato ad avvertire i segnali di errate abitudini, ad annusare odore di malsano, di cattive congiunture.

Quello che stava accadendo, a suo figlio, non era frutto di una compromissione ancestrale, e nemmeno era relato alle sorti di una famiglia, di un clan, di una classe sociale disagiata, della scuola, era un fenomeno sociale diffuso, largamente diffuso. Era qualcosa di ben più grande di un solo caso di bullismo. Cosa poteva fare: usare il pugno di ferro o la diplomazia?

Ha dovuto, come uno stratega in guerra, sradicare il problema facendo terra bruciata intorno a suo figlio, facendo in modo che non fosse più utile a un sistema, a un circuito vizioso, di coetanei che agivano, insospettabili, nel malaffare. Stiamo parlando di ragazzi dei primi anni delle superiori.

Erano gli anni ’70 quando lo psicologo svedese Dan Olweus iniziò a occuparsi di bullismo. Per lui un ragazzo (in età scolare) era bullizzato, cioè prevaricato o vittimizzato, quando era “esposto ripetutamente, nel tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni”.

Dal Franti della penna di Edmondo De Amicis in Cuore al Crash di Jerry Spinelli anche la letteratura ha i suoi bulli. Il bullo c’è da sempre, la vittima anche. Ma quando si parla oggi di bullismo o cyberbullismo bisogna considerare che la famiglia è cambiata, la scuola è cambiata.

Una volta nelle famiglie c’erano le nonne, gli zii, o quei parenti più giovani single che avevano la funzione di confidente, quelli che sapevano fascinare, fare leva sull’adolescente e guidarlo. Osservarlo; indurlo allo studio, alla conoscenza, al sapere o alla semplice saggezza popolare. Oggi i rapporti umani, anche i più intimi, sono sviliti dai social, il dialogo diventa impraticabile. La comunicazione non è più emozionale, tattile, ma pittografica.

“Non è facile intuire cosa dove e quando, oggi, un tredicenne incontra i pericoli metropolitani”. Sono cambiati anche gli strumenti, se il “malvagio Franti” usava spilloni per punzecchiare i vicini, oggi i bulli usano la rete, i cellulari, e sono sollecitati nel reiterare da una smania di affermazione.

Franti era solo contro tutti. I bulli non sono soli, sono connessi, iperconnessi. Hanno la rete: un palcoscenico che magnifica la simulazione. Trovano innumerabili sollecitazioni e ispirazioni per il loro agito dentro una pericolosa continua vertigine: dai reality al divismo degli influencer, dalla mistificazione dei valori alla smania di soldi, dal tatuaggio alla macchina, dalla motocicletta alle vacanze da sogno, e poi droga, video, musica con messaggi spenti o addirittura violenti.

“Tutto quello che c’è intorno ai ragazzi alimenta la voglia di affermarsi a discapito di qualcun altro. Occorre motivare i ragazzi a credere in se stessi e a smarcarsi (e non è facile) da un sistema nel quale vivono. Un sistema quasi “studiato a tavolino” per creare dipendenza. Non è così semplice uscirne”. Non è come spegnere la luce e uscire da una stanza.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.huffingtonpost.it/entry/contro-il-cyberbullismo-bisogna-fare-rete-anche-il-web-e-una-droga_it_5db805d7e4b0bd610250a24f

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)