La lingua della musica che ora i figli parlano e i genitori non traducono
La lingua della musica che ora i figli parlano e i genitori non traducono
Fenomeni come Sfera Ebbasta sono «ignoranti» ma urlano contro la solitudine di tanti giovani
C'è già chi, ovviamente, l'ha incoronata come musica del futuro. E chi, ci mancherebbe, crede avrà lo stesso rilievo del colpo di tosse di una zanzara.
Però anche in Italia la «trap» è senza dubbio il fenomeno musicale dell'ultimo anno, con grandi risultati in classifica e il tipico effetto divisivo tra le generazioni: gran parte degli adolescenti impazzisce per Ghali o Sfera Ebbasta o Izi, con milioni di streaming e visualizzazioni su YouTube, mentre i loro genitori non hanno neppure idea di chi siano. Dopotutto la «trap» sfugge i giornali, le tv generaliste, le radio (a parte qualche eccezione).
Intanto spieghiamoci.
La «trap» è una derivazione del rap che arriva dal sud degli Stati Uniti e prende il nome dalle «trap house», abitazioni abbandonate dove, specialmente nella periferia di Atlanta, gli spacciatori afroamericani mangiavano e spacciavano. Il suono è ossessivo, sincopato, gonfio di «drum machine» (quella che identifica il genere è la Roland Tr-808), con bassi cavernosi stile «dub», elettronica «notturna» e parti vocali rappate e distorte grazie all'AutoTune che conferisce alle voci un effetto metallico. In origine i testi erano il ritratto di quelle realtà fuorilegge, un contesto che ha autorizzato qualcuno a dare alla «trap» il significato di «trappola». In sostanza, sarebbe la colonna sonora di un tunnel stupefacente senza uscita al quale i pionieri americani del genere, come Gucci Mane o Travis Scott, accennano spesso nei loro testi.
Attenzione, però.
In Italia il contesto è diverso e sarebbe sbagliato bollare tutti i «trapper» come esegeti della droga, anche se molti dei nuovi eroi arrivano dalla nostra Atlanta, cioè la periferia assai difficile di Milano. «Tu scegli ciò che fai, sei tu che dici c'ho una vita di m... quindi devo pippare dalla mattina alla sera. Parlo di quell'attitudine lì», spiega Izi che è genovese ed è tutto tranne che favorevole alle dipendenze. Come il rap, e prima ancora il rock, anche la «trap» intercetta queste realtà, naturalmente rivedute e (s)corrette con l'attualità. Droghe sintetiche, cocktail feroci. Ma non si ferma lì. E non c'è apologia, tutt'altro. Nel «trap», in genere, non c'è quella voglia di isolamento superomistico di tanta musica del passato o l'autoaffermazione di superiorità rispetto all'universo mondo.
Anzi, c'è il lamento della solitudine che indica voglia di aggregarsi a prescindere dalla provenienza geografica. E l'inevitabile scotto consumistico alla moda (derivato dai rapper americani) è centrale solo in apparenza. Dopotutto il gergo e lo stile della «trap» sono quelli dell'«ignoranza», come la definiscono gli adolescenti: una miscela di nonsense e ironia che diventa un codice da sottogruppo culturale. Come sempre accade, prima di essere decrittato, ogni nuovo linguaggio musicale viene bollato come apologetico di dipendenze o violenze varie. Però influenza il linguaggio della nuova generazione o, meglio, ne è lo specchio.
«Ho visto tante cose, da fuori e da dentro, e vorrei far capire ai ragazzi di quartiere che le strade secondarie creano solo scompiglio. Riuscire con la musica vuole dire essere un esempio. Un esempio positivo», ha detto Ghali, italotunisino figlio di un pregiudicato, che sulla copertina di Ninna Nanna ha piazzato anche la foto della mamma.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.ilgiornale.it/news/lingua-musica-che-ora-i-figli-parlano-e-i-genitori-non-1474904.html
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)