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Alcol e cannabis a confronto: parla un esperto

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Un bicchiere o una canna? “Dannosi per i giovani: rischiano la dipendenza”


In seguito alla pubblicazione su Bergamonews dell'articolo “Facciamoci una canna: io esclusa dal gruppo perchè non ci sto”, nel quale una giovane lettrice si rammaricava per la deriva che avevano preso alcuni amici e per gli effetti che la sostanza aveva su di loro, si è scatenato un vero e proprio dibattito sulla questione tra i nostri lettori. Per provare a risolvere alcuni dei loro dubbi e quelli della 20enne bergamasca che aveva sollevato la questione, ci siamo affidati ad un esperto, il dottor Roberto Cavallaro, primario della Disease Unit per i Disturbi Psicotici dell'Ospedale San Raffaele Turro di Milano e docente di Psicofarmacologia delle funzioni cognitive alla facoltà di Psicologia dell'Università Vita-Salute San Raffaele. 


Dottor Cavallaro, partiamo da un quesito sollevato dalla nostra lettrice: cosa spinge i ragazzi verso la cannabis? 

E' complesso dare una risposta certa: c'è chi si avvicina e ne abusa perchè è predisposto all'abuso di sostanze e di comportamenti di dipendenza in genere e chi perchè ne fa un “uso sociale”, assumendo che se queste sostanze hanno una sorta “lascia passare” sociale non costituiscono comportamento particolarmente deviante e a reale rischio della salute, perché “lo fanno tutti”, sottovalutando i rischi dello sviluppo di una dipendenza e delle conseguenze mediche dell’abuso. Consideriamo che anche per la nicotina, nonostante le frequenti ed importanti campagne di sensibilizzazione, il discorso è lo stesso, ma gli effetti delle campagne stesse sono stati sensibili. 


La discussione nata tra i nostri lettori ha messo in contrapposizione la cannabis e l'alcool, in un tira e molla che stabilisse quale delle due sostanze fosse più dannosa per l'organismo. 

Sono sostanze diverse che comportano rischi differenti: in sostanza possiamo dire che entrambe sono dannose per l'organismo se l'utilizzatore ne abusa. Un consumo quantitativamente significativo, magari per apparire qualcosa di differente da quello che si è ed essere socialmente più “smart” nelle diverse culture di appartenenza, si porta inevitabilmente dietro alti rischi a livello fisico e psichico, nonché di dipendenza, poiché entrambe (come tutte le sostanze di abuso) portano a sindromi d'astinenza e quindi di “craving” ( La ricerca spasmodica della sostanza), i pilastri della strutturazione e del mantenimento di una dipendenza. Inoltre possono portare entrambe ad un appiattimento delle spinte edoniche fisiologiche per cui i soggetti che ne fanno uso cronico vedono alla fine nelle sostanze stesse l'unico motivo di interesse, facendo scemare la salienza di tutti gli altri. 


Gli ultimi studi e ricerche sulla cannabis a quali conclusioni hanno portato? 

La cannabis è stata a lungo al centro di un dibattito che ne stabilisse la classificazione in droga pesante o leggera: quarant'anni fa, però, aveva una diffusione limitata e una concentrazione di principio attivo minore con poche apparenti conseguenze significative, compreso il rischi di dipendenza . L'etichetta di “droga leggera” ne ha poi favorito la diffusione, ha ampliato il numero di utilizzatori soprattutto nell'adolescenza e nella prima età adulta. È cresciuto il numero degli esposti al rischio e il principio attivo (la ‘carica’ tossicologica) si è elevato. Uno degli ultimi studi, pubblicato sull'autorevole rivista Addiction, disaminando le evidenze scientifiche degli ultimi 20 anni, conclude che non è un farmaco che può portare abitualmente ad overdose fatale come il prototipo delle cosiddette “droghe pesanti”, ma  ha conseguenze a livello cognitivo, aumentando il rischio di incidenti stradali e riducendo la capacità di utilizzo di macchinari (l'utilizzo combinato con alcol, poi, aumenta  ulteriormente questi rischi) anche per l’utilizzo acuto.  E’ anche stabilito chiaramente che l’utilizzo cronico, in particolare se iniziato durante adolescenza porta a risultati scolastici e di carriera significativamente peggiori di coloro che non abusano. Cito uno studio condotto in Nuova Zelanda e compreso nella sopra citata revisione degli studi, in cui un campione di più di 1000 soggetti è stato seguito fino ai 38 anni. Negli abusatori cronici di cannabis si riscontrava  una riduzione del quoziente intellettivo di diversi punti che rifletteva la perdita dell’efficienza di alcune funzioni cognitive. L'aspetto interessante, però, era che se l'abuso era iniziato già in età adulta e il soggetto smetteva di assumere la sostanza c'era una possibilità di recupero delle normali funzioni mentre se l'abuso era iniziato nell'adolescenza, gli effetti permanevano. Ci sono poi rischi non ancora definitivamente confermati, come quello di avere figli con problemi di peso alla nascita o con deficit cognitivi se si fa un uso durante la gravidanza. Di contro è assodato che un consumo regolare e frequente o massivo aumenti il rischio di patologie a livello mentale. 


A cosa si riferisce? 

La cannabis aumenta il rischio di patologie psichiatriche, e dei disturbi psicotici tra cui la schizofrenia, in particolare, con un maggiore rischio nei soggetti con altri fattori predisponenti come la familiarità: il rischio raddoppia e la patologia si presenta prima che nei soggetti non abusatori. 


Quindi i rischi legati all'uso e all'abuso della cannabis sono in qualche modo collegati all'età del soggetto? 

Direi che in casi come l’aumento del rischio di schizofrenia l'adolescente in particolare è un soggetto molto sensibile perché è in un momento di sviluppo del cervello delicato ed a rischio per gli effetti negativi di una varietà di eventi esterni, in particolare quando esistono già fragilità del sistema nervoso centrale legate ad altri fattori di rischio ‘latenti’ per la patologia. Per quanto riguarda i rischi dell’assunzione acuta (ad esempio deficit cognitivi  poi collegati anche ai problemi relativi alla guida di autoveicoli) il rischio è per tutti, così come per le condizioni di diminuzione della prestazione cognitiva e dell’efficienza mentale nei consumatori cronici, che assumono cannabis almeno una volta al giorno e più volte a settimana, per cui abbiamo già citato i problemi delle carriere scolastiche. Senza dimenticare che l’utilizzo cronico massivo di cannabis come per l’alcool può indurre la cosiddetta “sindrome apatico-amotivazionale”, per la quale il soggetto perde interessi e capacità di provare piacere e ricercare soddisfazioni. 


Dove ha ragione chi sostiene che la cannabis abbia effetti positivi sull'organismo? 

I cannabinoidi agiscono su ricettori  presenti nell'organismo che fanno parte di un sistema (quello degli endocannabinoidi, sostanze prodotte dall’organismo normalmente) con importanti coinvolgimenti in diverse funzioni fisiologiche. La perturbazione di questo sistema, derivante dall’abuso, modifica la fisiologia dell’organismo in negativo creando condizioni patologiche. In determinate condizioni mediche  l'utilizzo motivato e controllato cannabinoidi può migliorare determinati sintomi, come dolore cronico o i sintomi della sclerosi multipla ed il mondo della ricerca farmacologica da tempo è alla ricerca di composti che interagiscano positivamente con il sistema degli endocannabinoidi  senza gli effetti deleteri della cannabis, per la cura di diverse condizioni e alcuni sono già stati sperimentati. Ma, come detto, tutto ciò rientra nei trattamenti medici in ambiti specifici. Il vero problema è di informazione: molto spesso ci si informa in rete e sui media in genere basandosi su opinioni e non su dimostrazioni scientifiche, ormai abbondantemente presenti nella letteratura scientifica ai più alti l


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.bergamonews.it/cronaca/un-bicchiere-o-una-canna-%E2%80%9Cdannosi-i-giovani-rischiano-la-dipendenza%E2%80%9D-196522


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)