Università di East Anglia : nuova ricerca su come smettere di fumare
Premiare le persone per smettere di fumare funziona. Ecco perché
Una strategia efficace per riuscire a spegnere l’ultima sigaretta, come rivela un’indagine pubblicata su Cochrane Library. Ma per mettere KO questa dipendenza e non ricadere nel vizio bisogna lavorare a 360°. Abbiamo fatto il punto con un esperto
di SARA PEROCOME fare a mettere un freno alla dipendenza dal fumo, un’abitudine che si attesta tra le principali cause di morte evitabile al mondo, e che rappresenta per molte persone un obiettivo piuttosto arduo o difficile da raggiungere? Diversi studi puntano sulla possibilità di ricompensare chi riesce a spegnere l’ultima sigaretta con degli incentivi finanziari, come denaro o dei voucher. Un’arma che sta dando buoni risultati nella lotta al tabagismo. Come suggerisce una revisione condotta nell’Università di East Anglia (Inghilterra), appena pubblicata su Cochrane Library.
Una strategia che funziona
I ricercatori hanno preso in esame i risultati di 33 studi, focalizzandosi su un campione totale di oltre 21mila persone provenienti da otto paesi, che avevano ricevuto dei premi di diverso valore - da circa 40 euro a oltre mille - per capire se le ricompense economiche funzionano, anche dopo la fine dell’erogazione di questi incentivi finanziari. "Abbiamo scoperto che le persone che ricevevano questi premi avevano circa il 50% in più di probabilità di smettere di fumare rispetto ai gruppi di controllo nei sei mesi successivi dall’inizio degli studi, ma anche oltre questo periodo di tempo”, spiega Caitlin Notley, tra gli autori principali dell’indagine. In particolare il 7% degli individui che non aveva ricevuto alcun incentivo riusciva a dire basta al fumo, rispetto al 10,5% delle persone che avevano invece ricevuto un compenso. "Si tratta di un risultato che suggerisce come gli incentivi possano essere uno strumento utile per aiutare le persone a smettere di fumare, con benefici che continuano anche dopo la fine della ricompensa”. E lo stesso discorso potrebbe valere anche per il fumo in gravidanza: circa un terzo delle ricerche prese in esame riguarda infatti le donne fumatrici in dolce attesa, ma sui risultati ottenuti i ricercatori vanno più cauti a causa dell’esiguo numero e qualità di studi condotti su questo aspetto.
“Le dipendenze, come quella del fumo di sigaretta, rappresentano uno dei temi di neuroscienze applicate alla clinica al momento più interessanti e investigati. E tra le diverse strategie quella su cui si sta prestando molta attenzione è la cosiddetta tecnica della gestione della contingenza di rinforzo: una terapia comportamentale basata sull’idea di rinforzare la motivazione a smettere di fumare premiando con somme di denaro, voucher per l’acquisto di beni, servizi o cure quei soggetti in trattamento che dimostrano di essere riusciti ad astenersi dal fumo”, spiega Stefano Canali, ricercatore del Laboratorio Interdisciplinare della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e coordinatore del comitato scientifico della Società Italiana Tossicodipendenze.
L’idea è quella di usare la stessa leva che ha costruito la dipendenza da fumo, come aggiunge Canali, che da anni si occupa di questi temi, curando il sito di informazione scientifica sulle dipendenze Psicoattivo: “La gratificazione, il piacere, quegli stati soggettivi che poi inducono a ripetere i comportamenti associati al piacere stesso e che sono mediati dal cosiddetto sistema cerebrale della ricompensa”. Questo sistema si attiva naturalmente ogni volta che proviamo piacere o sentiamo che si è alleviato uno stato di disagio, ad esempio, “dopo esserci sfamati, dissetati, riscaldati, dopo aver scampato un pericolo, nella sessualità, quando otteniamo un premio o abbiamo un successo personale, o quando scopriamo una novità”. In poche parole il sistema della ricompensa segnala che è stato soddisfatto un bisogno fondamentale “per la sopravvivenza di un individuo e della specie o un obiettivo importante per il benessere e l’adattamento e ci ricorda al momento adatto cosa fare per ripristinare quello stato di soddisfazione, innescando così la motivazione ad agire, il desiderio di quel piacere ricordato. Ciò – puntualizza l’esperto - avviene soprattutto in virtù del rilascio di dopamina nel sistema della ricompensa”.
Purtroppo l’attivazione del sistema della ricompensa e il rilascio di dopamina sono causati anche dalla nicotina, come da tutte le sostanze legali e illegali in grado di dare dipendenza. “Da questo punto di vista – continua Canali - il tabagismo è una specie di apprendimento patologico di un comportamento che mima i processi di ricompensa funzionali e, sollecitandoli, finisce per sequestrarli. Quando si fuma il rilascio di dopamina favorisce la costruzione di circuiti cerebrali che collegano la ricompensa percepita con i comportamenti, i gesti fatti prima e durante il fumo stesso, come ad esempio prendere un caffè, gli ambienti in cui si sta fumando, con chi, le emozioni e i pensieri che uno ha, ad esempio una piccola ansia, una irritazione, le sensazioni fisiche che avverte. Ripetendo il consumo di una sigaretta in situazioni e contesti analoghi, la dopamina finisce per fissare questi collegamenti, che diventano inneschi della motivazione a fumare, del desiderio di tabacco”. A questo punto il consumo di tabacco è trasformato da un comportamento volontario a una sorta di compulsione, un automatismo che spesso porta ad accendersi una sigaretta senza averlo deciso realmente.
Quanto conta la motivazione
Nella lotta al tabagismo le strategie remunerative sono delle metodiche molto utili per smettere di fumare perché lavorano sul livello motivazionale delle persone, quello cioè che ci spinge a compiere o meno una serie di azioni per ottenere un certo piacere o senso di gratificazione. E sembrano motivare di più un fumatore a spegnere l’ultima sigaretta rispetto alla semplice spiegazione degli effetti dannosi del fumo sulla salute umana perché, spiega Canali, “probabilmente la strategia economica fa leva su una ricompensa immediatamente acquisibile”. Ma va anche detto che questa strategia ha delle limitazioni: “Questo metodo potrebbe funzionare meglio con persone in condizioni economiche più svantaggiate – spiega l’esperto - nelle quali la ricompensa economica può ovviamente avere un valore maggiore rispetto a chi vive in condizioni economiche molto agiate”.
Un altro limite, soprattutto quando questa metodica non è accompagnata da altre strategie terapeutiche efficaci, è la sua portata temporale limitata: gli studi prospettivi di efficacia hanno visto che molti dei soggetti trattati con la gestione della contingenza di rinforzo smettono ma poi tendono a riprendere dopo alcuni mesi, come spiega Canali: “Ciò accade perché questa tecnica sviluppa evidentemente una associazione tra ricompensa economica e astinenza, quindi la motivazione a non fumare per ottenere il premio, non una motivazione intrinseca, profonda, a smettere”. E di conseguenza quando al termine del trattamento la ricompensa economica non viene più erogata viene meno in qualche modo l’obiettivo dell’astinenza.
Per questo motivo le versioni più efficaci di questa tecnica usano premi non monetari ma voucher per servizi che riaprono il soggetto a esperienze gratificanti, come l’abbonamento al cinema, in piscina, in palestra, un viaggio in gruppo, un qualche corso, magari anche professionalizzante, che sia gradito al paziente: “Stiamo per approntare una nuova ricerca in tal senso su un campione di adolescenti in trattamento”, commenta Canali. Questo approccio si basa sempre sul premio economico, che stimola sì il circuito della motivazione, ma che potrebbe continuare a dare frutti anche quando l’incentivo non viene più fornito. “Questo perché l’obiettivo – aggiunge l’esperto - è quello di aiutare le persone a trovare con questa strategia nuovi stimoli d’interesse, che possano aiutarlo a riattivare il sistema della ricompensa sequestrato dalla nicotina verso forme alternative di gratificazione e sbloccare così i processi motivazionali che promuovono la cessazione del fumo”.
Vincere la dipendenza
Il punto è che per avere maggiori chance nella cessazione del fumo si deve lavorare con la persona dipendente in maniera trasversale, su più livelli: il livello fisiologico, quello cognitivo, e quello motivazionale, proprio come fa la sostanza per la quale non si riesce più a farne a meno. “Al livello fisio-patologico, sappiamo che la nicotina altera una classe specifica di neuroni, i neuroni colinergici della corteccia cerebrale, ed è su questo aspetto che si lavora ad esempio con le terapie sostitutive della nicotina”, aggiunge l’esperto, come i cerotti, per ripristinare gradualmente in questi neuroni la capacità di funzionare anche senza nicotina.
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copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.repubblica.it/oncologia/prevenzione/2019/07/25/news/_premiare_le_persone_per_smettere_di_fumare_funziona_ecco_perche_-231998102/?refresh_ce
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)