Riorganizzazione dei Servizi Pubblici per le dipendenze: idee di Riccardo Gatti
IDEE PER LA RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI DI CURA DELLE DIPENDENZE
Quanto l’attuale struttura e configurazione dei servizi pubblici di cura delle dipendenze da sostanze è adeguata ai cambiamenti epocali portati dalla pandemia? Riccardo Gatti, medico psichiatra e responsabile del Dipartimento Dipendenze Patologiche della ASL città di Milano, prova a mettere in relazione la crisi del paradigma della guerra alla droga con alcune idee di riorganizzazione del sistema pubblico d’intervento. Il ragionamento svolto da Gatti è articolato e complesso, perciò appare utile riportare in modo quasi integrale l’articolo, lasciando al lettore il compito di trarre delle suggestioni o delle conclusioni: “Ma se le situazioni di crisi globale accelerano cambiamenti che altrimenti sarebbero più lenti e legati all’avvicendamento di generazioni, la politica, spesso, li interpreta in anticipo e, infatti, è già da tempo che le questioni legate a ciò che si chiamava “emergenza droga”, non sono più in agenda: vengono messe in secondo piano. Lo stesso interesse dei media per questo campo è ridotto. Dura qualche giorno, in caso di eventi drammatici, ma si spegne molto rapidamente. I momenti “eroici” in cui i leader salvifici di settore frequentavano i salotti televisivi, almeno quanto i virologi al tempo del COVID, fanno ormai parte della storia del secolo scorso. Chi lavora nel settore della prevenzione e della cura si lamenta di ciò che ne deriva: una scarsa attenzione, rispetto al passato. Forse, non si rende pienamente conto del fatto che la politica ed i media hanno già colto gli umori di una parte consistente della società che non percepisce più il consumo di droga come un problema da risolvere, a condizione che non vada a turbare palesemente il decoro urbano, o a mettere in discussione la sicurezza o l’ordine pubblico. A queste condizioni, se il consumo rimane invisibile, generando comunque PIL, legale o illegale che sia, ed occasioni di lavoro, va bene così.
Infatti, negli scenari internazionali, sostanze un tempo bandite, poco per volta, rientrano gradualmente nel mercato, per essere riproposte come farmaci o pseudo-farmaci, anche attraverso start-up quotate in borsa. Le stesse istanze antiproibizioniste, ormai, più che su ragioni libertarie, sembrano concentrarsi, sempre più, su argomenti economici, relativi allo spostamento del profitto dalle organizzazioni criminali alla società civile ed allo Stato. Una operazione che può essere davvero conveniente, se può contare su un uso di sostanze ampio e trasversale, simile a quello del secolo scorso per il tabacco, tale da giustificare l’interesse degli investitori per costruire catene di produzione, distribuzione e vendita. Da noi, ancora, non esistono, sebbene si stiano già abbozzando, almeno per quanto riguarda la cannabis. Nel frattempo le stesse azioni repressive coordinate in tema di droga, oggi hanno sempre più a che fare con funzioni più di tipo “regolatorio”, da parte dei Prefetti e delle Forze dell’Ordine più che con una lotta senza quartiere contro un nemico.
Insomma, la consapevolezza ormai condivisa, sebbene non sempre ufficialmente dichiarata, è che alcuni paradigmi della guerra alla droga, ad esempio quello di liberare la società dalla droga stessa, non siano realisticamente perseguibili. D’altra parte la domanda di droghe illecite è così alta che diventa difficile fare diversamente. Nemmeno il lock-down della prima parte del 2020 è riuscito a fermare questi mercati che, organizzati in una efficiente delivery, hanno accontentato i clienti affezionati, ancor meglio di come abbia fatto la grande distribuzione di alimentari nello stesso periodo, con aumenti di prezzo del tutto paragonabili o inferiori.
Anzi, proprio l’emergenza COVID sembra spingere i mercati delle droghe, verso una evoluzione, per esempio verso una maggior varietà di prodotti ed una distribuzione più efficiente, che in altri tempi sarebbe stata più lenta.
È proprio questo scenario che potrebbe contribuire a rendere rapidamente obsoleto l’intervento dei SERD, perché collegato concettualmente a paradigmi di una guerra alla droga che non viene più combattuta, spostandolo definitivamente nell’ambito del contenimento della cronicità. D’altra parte l’annessione progressiva dei Servizi al settore della Salute Mentale, potrebbe avere implicitamente proprio questo significato. Una maggiore attenzione a chi usando droghe illecite è anche affetto da disturbi mentali e, quindi, ha bisogno dell’intervento psichiatrico; una ancor minore attenzione a chi ha altri tipi di disturbi non meno importanti, sebbene collegati a situazione di dipendenza o di uso di sostanze, come il tabagismo, l’alcolismo, o l’uso di farmaci psicotropi non prescritti, già oggi intercettati, anche per la cura, da settori specialistici diversi.
Non sono in grado di prevedere quanto, nella situazione post – COVID, si accelererà un percorso per superare definitivamente i paradigmi della “guerra alla droga” intesa, alla Nixon, come “nemico pubblico numero 1”. Abbiamo, tuttavia, altri tipi di certezza: gli analisti economici ci spiegano che, nel prossimo futuro, saremo più poveri e, come nazione, ancor più indebitati. Con molti debiti, già ne avevamo troppi prima di questa crisi, è necessario guardare all’essenziale. Già da ora, la popolazione considera prioritari altri problemi. Se si riuscirà a mantenerla attiva, quindi, la sanità pubblica dovrà pesare molto bene le priorità: difficilmente i Servizi Dipendenze potranno, come invece chiedono, avere più risorse di quante ne abbiano oggi. Non è pessimismo ma un sano realismo nella visione prospettica del prossimo futuro.
Nel realismo è compresa la necessità di comprendere che, indipendentemente dalla tolleranza individuale e dal comune sentimento rispetto alla diffusione dell’uso di droghe, che sono variabili determinate da una serie di fattori diversi, la diffusione epidemica di droghe, lecite o illecite, è come le altre epidemie. Si alimenta sotto la cenere con disattenzioni, negazionismi e mancanza di strategie preventive. Quando esplode colpisce trasversalmente, in modo prima subdolo e, poi, violento. Chi è un attento osservatore di questi fenomeni si rende conto di quanta brace stia covando sotto la cenere e come la crisi che stiamo attraversando e attraverseremo, possa innescare situazioni più gravi di quelle già preoccupanti oggi.
Tralasciare, quindi, i concetti di “guerra alla droga”, dimenticandosi, però, di costruire nuove strategie alternative, potrebbe essere molto pericoloso dal punto di vista della salute di tutti i cittadini.
Un settore specializzato, o meglio ancora specialistico, indirizzato ai disturbi da uso di sostanze e, in generale, alle dipendenze patologiche, è quello che, sino ad oggi, ci ha salvato da grossi problemi (basta vedere il disastro che accade in paesi dove un Sistema di Intervento Pubblico, in questo ambito, è assente o ridotto ai minimi termini). Disperderlo o, comunque, limitarne la potenzialità dal punto di vista della tutela della salute, potrebbe essere l’inizio di un percorso difficile e doloroso del nostro Paese in questo ambito. Insomma: potrebbe essere un grave errore.
Insomma l’obsolescenza dei SERD, che sia programmata o frutto di un insieme di casualità deve essere combattuta e, in presenza di risorse non grandi, il modo più efficace e realistico è quello che, a prima vista, potrebbe essere più complesso. Reingegnerizzare l’intervento trasversalmente al sistema sanitario e sociosanitario di cui i SERD, le Comunità Terapeutiche, i Centri Diurni ed i Progetti di settore fanno parte.
Le strade di questo realismo credo si possano concretizzare secondo alcune direzioni fondamentali:
1) Riconfigurare i Servizi Dipendenze (e di tutte le componenti dell’attuale “Sistema Dipendenze”) come nodi specializzati di reti di intervento in cui è coinvolto tutto il sistema socio-sanitario. In pratica, come per altre patologie potenzialmente gravi, invalidanti ed anche mortali, occorre creare collegamenti e prassi operative affinché, a diverso livello, dal medico di medicina generale allo specialista ospedaliero, sia strutturata una diversa attenzione clinica alla prevenzione delle dipendenze ed all’individuazione precoce dei disturbi da uso di sostanze ed alla cura. Studiare e mettere in opera, incentivandoli, percorsi innovativi per una più razionale gestione delle fasi acute di patologia, degli accertamenti connessi alle patologie correlate, e dei trattamenti a lungo termine. Ribilanciare l’offerta relativa ai disturbi collegati all’uso di sostanze lecite vs. l’uso di sostanze illecite nei servizi territoriali, in quelli ospedalieri e nella interazione tra loro.
2) Facilitare l’accessibilità alle cure specializzate, potenziando la strutturazione di percorsi più individualizzati degli attuali, anche negli orari e nella possibilità di realizzare interventi di contatto, consulenza e supporto a distanza, attraverso mezzi tecnologici audio/video; favorire l’interazione e l’informazione ed il contatto personalizzato via web; qualificare e fornire interventi dedicati alla dipendenza da tabacco e da farmaci; curare al massimo la riservatezza degli interventi e la garanzia della privacy in modo che il tutto sia assolutamente evidente, per chi accede alle cure. Troppe persone sono, infatti, convinte che rivolgersi ad un servizio pubblico per le dipendenze, equivalga ad essere “schedati” per l’uso di droghe. Non hanno ragione, le norme in questo campo sono ferree per la protezione della privacy. Ma le richieste che arrivano di continuo da parte delle forze dell’ordine ai SERD “di zona”, per sapere se una determinata persona sia o meno seguita, non lasciano tranquilli, anche quando, “essere seguiti”, può essere un vantaggio e non uno svantaggio per la persona. Non sfuggirà, tuttavia, che rivolgersi, a pagamento, per la cura da parte professionisti privati, lascia, all’interessato maggiori possibilità di scelta. Questo è un fattore che, però, diminuisce l’accessibilità precoce ai trattamenti in generale.
3) Realizzare e pubblicizzare percorsi differenziati, precoci, a bassa soglia, di “pre-trattamento”, per persone in situazione di grave marginalità e/o, comunque, in situazione di particolare instabilità sociale e di rischio sanitario, che non è possibile inserire in percorsi terapeutici e riabilitativi strutturati e per soggetti che, indipendentemente dallo status sociale, assumono sostanze a scopo non terapeutico, non hanno intenzione di sospenderlo, ma comunque desiderano tenerlo sotto controllo, per diminuirne i rischi per la salute.
4) Realizzare possibilità di supporto clinico preventivo per persone che, usando sostanze, non hanno intenzione di sospenderne l’uso ma sono interessate a ridurne i rischi per la salute attraverso azioni di monitoraggio e screening diagnostico periodico.
Si tratta di punti che, per essere realizzati a pieno, richiedono anche percorsi normativi e di indirizzo che sono tutti da realizzare, ma sono possibili. Vanno, tra l’altro, ridiscusse norme, regole ed anche prassi operative che sembrerebbero fatte per evitare l’emersione di fenomeni che, illeciti e/o stigmatizzati, finiscono per rimanere sommersi, sino a quando esplodono. Il sistema sta andando verso una obsolescenza programmata … per mancanza di programmazione e carenza di vision e di mandato per costruirla, adeguata ai tempi.
(...omissis...)copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.cesda.net/?p=18013
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)