Dipendenza affettiva: le cause
Dipendenza affettiva
Le relazioni sono importanti per tutti, perché è nella natura dell’essere umano entrare in relazione e crescere attraverso di essa. La vita è relazione.
Ma che fare quando ci si trova in una relazione problematica? Che fare quando ci si trova nel bel mezzo di una dipendenza affettiva o dipendenza emotiva? Si tratta evidentemente di una modalità distorta di vivere la relazione, che provoca sia sintomi che effetti spiacevoli, e va quindi affrontata e risolta, così da riportare il giusto equilibrio fra sé e l’altro.
Vediamo insieme più da vicino che cos’è la sindrome della dipendenza affettiva, quali sono i suoi aspetti, come riconoscerla, e come uscirne..
1. Dipendenza: che cos’è
La dipendenza è un fenomeno ampio, multifattoriale e dalle molteplici sfaccettature, che investe vari ambiti. Si può essere dipendenti da una persona o da più persone, da animali, e da cose. Si può essere dipendenti da situazioni in cui sono coinvolte più persone, oggetti, ambienti e abitudini.
Considerare la dipendenza affettiva – emotiva da una persona come un fenomeno slegato dal contesto più ampio della dipendenza, sarebbe riduttivo, in quanto chi dipende affettivamente da una persona, di solito ripropone lo stesso schema o atteggiamento anche in altre aree della sua vita, per esempio nel rapporto con il cibo, col proprio corpo, con la casa, il cellulare, il lavoro, ecc…. Dunque, per la soluzione del tema della dipendenza affettiva, è sicuramente d’aiuto allargare la propria visione a comprendere che cosa è dipendenza in senso lato.
Che si tratti di dipendenza da persone, da cose, da sistemi di persone e cose, il motivo conduttore è il medesimo: si cerca di tappare un buco interiore, un vuoto che non si vuole affrontare, mediante la presenza esterna di qualcosa di “consolatorio”.
Tale oggetto esterno è così investito di un enorme potere: puoi accorgerti di essere dipendente quando noti di non poter farne senza. La cosa -o la persona- da cui dipendi è diventata più importante di te. Così, tu non sei padrone di te stesso, ma schiavo di ciò da cui dipendi.
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2. Dipendenza affettiva: le cause
La dipendenza affettiva denota sempre una profonda carenza emotiva, una mancanza risalente all’infanzia, e che da adulti rimane impressa nel nostro bambino interiore.
La dipendenza affettiva ha origine nell’infanzia: da bambini avevamo bisogno dei genitori e ne dipendevamo completamente per la nostra sopravvivenza.
Dentro di noi stiamo ancora aspettando ciò che non abbiamo ricevuto da piccoli, e come adulti non siamo in grado di autogenerarlo, perché proprio le ferite che abbiamo subito, ci hanno fatto perdere contatto con la sorgente interiore dell’amore verso noi stessi. Ecco allora da dove scaturisce il riflesso condizionato a cercare fuori da se stessi qualche forma di appagamento sostitutivo a ciò che ci manca. Ovviamente, non si tratta di vero appagamento, ma di compensazione: ciò che il dipendente può trovare fuori di sé è una bàlia, un placebo, un surrogato, che non solo non porta soddisfazione, ma tende col tempo ad aggravare il problema..
3. Come fare a riconoscere la dipendenza
Come fare a sapere se sei dipendente?
La dipendenza è un fenomeno dalle infinite gradazioni, dai molteplici abiti. Si va dal caso grave del tossicodipendente, che richiede certamente di essere affrontato nelle sedi opportune con l’aiuto di esperti, al caso lieve della dipendenza dal cioccolatino o dal caffè. Per quanto riguarda la dipendenza affettiva, si va dal caso grave della persona che tenta il suicidio perché è stata lasciata dal partner, al caso lieve della persona che assume un atteggiamento fin troppo accondiscendente e compiacente col partner, pur di accontentarlo e di rassicurare se stessa che non verrà abbandonata.
Se affrontiamo la tematica razionalmente, col giudizio, ci sembreranno casi così lontani tra loro da non poter essere accostati nella medesima riflessione. Ma qui non si vuol dare un giudizio di valore, quanto piuttosto trovare la chiave del fenomeno, un denominatore comune per un complesso di atteggiamenti, comportamenti, pensieri e abitudini, che sono più diffusi di quel che si crede.
Proviamo a mettere da parte il giudizio, proviamo a mettere da parte la paura di essere dipendenti, di aver contratto questa “brutta malattia”. Proviamo a non leggere la dipendenza come qualcosa di patologico, che si pensa colpisca gli altri ma non noi. E incominciamo a aprire il cuore a una visione più oggettiva, volta all’interno. Allora saremo in grado di accorgerci di noi stessi, di lavorare su di noi per comprendere se e come siamo dipendenti, da cosa lo siamo, e come sganciarci per guarire noi stessi.
E’ aprirsi a una visione spirituale: incominciare a prendere consapevolezza del problema, di quanto e come ci riguarda, è il primo passo per uscirne bene, arricchiti dall’esperienza e dall’autostima di essere stati in grado di trovare la soluzione e applicarla..
4. Profilo del dipendente
Spesso accade che il dipendente non sappia di essere tale. Il problema può emergere in mille modi, di solito sono le relazioni interpersonali che lo rivelano: relazioni difficili, conflittuali, la tendenza a ripetere gli stessi errori, paura della solitudine, sentirsi scontenti e inappagati, ecc…, sono tutti elementi che, nel corso della vita e delle esperienze di una persona, possono spronarla a prendere consapevolezza del problema e a fare qualcosa per scioglierlo.
Quando una relazione non va bene, alla base c’è sempre un problema di dipendenza affettiva: non sai reggerti sulle tue gambe emotivamente, non sai bastare a te stesso, hai bisogni con cui non sei a contatto, e pertanto addossi all’altro la enorme responsabilità di soddisfare ciò che nemmeno tu sai individuare, né tantomeno chiedere o ricevere. Pretendi che sia l’altro a renderti felice, a capire di cosa hai bisogno e a fare qualcosa in funzione di te. Ma l’altro non può darti ciò che tu non sai dare a te stesso.
Qui sta il succo di ogni comportamento dipendente: attribuire all’altro -sia esso una persona, un animale, una cosa, un complesso di situazioni e di soggetti- la responsabilità della propria felicità o della propria infelicità. Il dipendente è convinto che ci siano cause esterne al suo star bene o star male, non si assume la responsabilità del suo stato emotivo ed energetico.
Così, è incline a lamentarsi, a dare la colpa agli altri quando qualcosa non va.
Oppure, quando è su di giri, tende a idolatrare l’oggetto o gli oggetti da cui dipende e con cui sta provvisoriamente tappando il suo buco interiore.
Così, dà via il proprio potere e la propria libertà.
Il dipendente è soggetto a sbalzi di umore, è emotivamente instabile, proprio perché non ha ancora riconosciuto in sé un polo in cui centrarsi e su cui fare affidamento per creare benessere ed equilibrio.
Vi sono anche dipendenti che hanno usato la dipendenza affettiva per attutire la sensibilità: si tratta, come diremo in seguito, del fenomeno dell’assuefazione. Per costoro, l’apparente calma interiore, che è in realtà solo una forma di disconnessione dal sentire, viene turbata quando manca l’oggetto dal quale dipendono: allora, possono precipitare in depressione, anche senza un motivo apparente. Sono talmente abituati a non riconoscere ciò che sentono, che quando si presenta l’occasione per ricominciare a sentire, non reggono l’impatto delle proprie emozioni.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://dottgiancarlobarbini.it/ilblog/dipendenza-affettiva
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)