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La doppia solitudine nella dipendenza affettiva

La doppia solitudine nella dipendenza affettiva

 

 

La doppia solitudine nella dipendenza affettiva

Vi è capitato di frequentare qualcuno che conoscevate intimamente e di notare il lui/lei drastici cambiamenti psicologici in corrispondenza di una sua relazione sentimentale? Quante volte avete pensato “Non ti riconosco più” nel constatare che il vostro amico o la vostra amica siano diventati tristi, irrequieti, isolati o depressi dopo l’incontro di quello che considerano il/la loro nuovo/a partner?

 

Assistere al deperimento emotivo di una persona cara, vederla spegnersi nell’ossessione e trasfigurarsi nel mal d’amore è un’esperienza più comune di quanto si pensi, ma la reazione più frequente è concludere l’amicizia o allentarla notevolmente.

Alcuni di noi, mossi dalla rabbia e dal senso di frustrazione e di impotenza provocati dall’ostinazione con cui l’altro, che consideravamo “intelligente”, si lascia consumare dall’infelicità di un rapporto malato, sono istintivamente portati a distaccarsi.

 E a giudicare“È un egoista perché mi chiama solo per vomitarmi addosso i suoi problemi”, “È un/a egocentrico/a: parla solo di sé”“È fuori di testa … non voglio più averci a che fare”.

Così sulla “vittima” di una relazione pericolosa, si abbatte quasi sempre l’incomprensione degli amici più cari che, non essendo psicoterapeuti si spendono nell’arte del buon senso quotidiano per aiutarla, ricevendo in cambio reazioni a loro incomprensibili. Seguono il distacco, la rabbia, il silenzio e l’estraneità, oppure la diagnosi ingenua: “deve essere bipolare”, “borderline”, “depressa/o”. Perché, come diceva Piaget, “sfortunatamente per la psicologia, tutti si sentono psicologi”.

La conseguenza dell’aiuto fai-da- te offerto da amici e parenti con le migliori intenzioni è che la “vittima” si sente profondamente incompresa dai suoi affetti e sminuita nel suo dolore, ricavandoin questo modo nuovi elementi per “vittimizzarsi”, mentre si legherà con nodi sempre più stretti al partner.

Poi gli amici si dilegueranno uno dopo l’altro, spinti dall’evidenza che qualunque cosa dicano o facciano, saranno disarmati dalla contraddizione silenziosa con cui, tipicamente, il/la dipendente affettiva rifiuta l’aiuto proprio mentre lo richiede.

 

Il partner dominante della relazione disfunzionale, quindi, non mancherà di rincarare la dose: dirà che ci aveva visto giusto, che quelli erano “falsi amici”, coglierà l’occasione per svalutare e ridicolizzare “la vittima” circa la sua incapacità affettiva, e utilizzerà questi argomenti per abbandonarla, salvo poi tornare incensato come un salvatore, professandosi come l’unico che davvero tiene a lei. Almeno un po’. E che non sia mai più di quel poco che le offre tra un tradimento, una punizione, un insulto, un divieto e quelli successivi.

Gli amici capitolano spesso davanti al fallimento ripetuto dei loro tentativi di distogliere la/il dipendente affettivo dalla sofferenza e di arrestare la sua mutazione in uno sconosciuto cupo e solitario. Arrivano a pensare che stia subendo un “lavaggio del cervello”, oppure a riconsiderare la sua persona sino a credere di essersi sbagliati sul suo conto.



(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

http://psicoadvisor.com/la-doppia-solitudine-nella-dipendenza-affettiva-10427.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)