Corpi in trappola: le emozioni nei disturbi del comportamento alimentare
Corpi in trappola le emozioni nei disturbi del comportamento alimentare
I Disturbi del Comportamento Alimentare rappresentano da sempre, e purtroppo oggi più che mai, un fenomeno psicopatologico allarmante dato l’elevato tasso di incidenza nella popolazione, così come riportato dalle ricerche condotte nel contesto italiano ed in ambito internazionale (Faravelli et al., 2006; Hoek, 2006).
Sorti per la prima volta nella seconda metà del ‘900, come conseguenza delle trasformazioni storiche, sociali, economiche ed antropologiche e come reazione al mutamento del ruolo femminile nella società, i Disturbi del Comportamento Alimentare (d’ora in poi DCA) si delineano in modo drammaticamente rapido come una vera e propria “epidemia sociale” (Gordon, 1990).
In questa sede verranno sinteticamente descritte le tre forme più diffuse che maggiormente correlano con alterazioni della componente emotiva.
In particolare, negli anni ’70 Hilde Bruch, psichiatra statunitense di origine tedesca, ha sostenuto che i DCA correlano con la difficoltà ad identificare e verbalizzare i propri sentimenti e stati d’animo. Tali variabili si configurano nel disturbo alessitimico.
La mancanza di consapevolezza dei propri stati emotivi e delle proprie esperienze affettive possono condurre allo sviluppo di “stati di alienazione sociale e disagio psichico tanto intollerabili da provocare il ricorso a condotte patologiche discontrollate” (Carano, Totaro, Ranalli, Cicconetti, Mancini, Vizza, & Mariani, 2011, pag.8).
Anoressia Nervosa
È una condizione psicogena caratterizzata dalla paura di ingrassare, da rifiuto del cibo e dal desiderio di perdere peso.
L’anoressia nervosa può insorgere durante l’adolescenza o in giovane età adulta, durante la pubertà, ed addirittura prima dell’età puberale come riportato dalla letteratura scientifica, o dopo i 40 anni.
Storicamente numerose sono le teorie elaborate sull’eziopatogenesi del disturbo.
Freud attribuiva il disturbo ad una regressione alla fase orale di sviluppo; Melanie Klein aveva parlato di un incompleto superamento della fase schizo-paranoide (La Barbera & Varia, 2003).
Minuchin, che nel 1974 ha messo a punto l’approccio strutturale, ha adattato il suo modello al trattamento della famiglie di pazienti anoressiche. Evidenze empiriche mostravano la presenza, nella famiglia, di confini interni labili e di un eccessivo invischiamento tra i membri. Il genitore appariva ipervigilante e troppo preoccupato al buon funzionamento del figlio; il figlio rispondeva a tali atteggiamenti sviluppando un perfezionismo ossessivo, preoccupandosi di ricercare l’approvazione genitoriale (Del Corno & Lang, 2013).
Il DSM V (APA, 2014) distingue due sottotipi di anoressia nervosa:
• il tipo bulimico caratterizzato dalla presenza di condotte di eliminazione, quali vomito auto-indotto, ricorso a lassativi o diuretici a seguito di episodi di bulimia;
• il tipo “restrieter” caratterizzato da diminuzione del peso a seguito di digiuno, dieta ed esercizio fisico eccessivo (La Barbera & Varia, 2003).
È possibile rintracciare tre ordini di fattori di rischio:
– temperamentali: soggetti che hanno manifestato disturbi d’ansia o tratti ossessivi in età infantile sono esposti ad un alto rischio di sviluppare anoressia;
– ambientali: l’insorgenza dell’anoressia è strettamente connessa al modo in cui la magrezza viene considerata all’interno dei diversi contesti ambientali e culturali; occupazioni ed hobby che incoraggiano la magrezza possono anch’essi essere associati a rischio elevato di sviluppare la patologia.
– genetici: c’è un elevato rischio di sviluppare l’anoressia nervosa tra parenti di primo grado di soggetti che presentano il disturbo e tra gemelli monozigoti rispetto a gemelli dizigoti (APA, 2014).
L’anoressia nervosa può condurre a dei limiti funzionali che possono alterare il normale svolgimento delle attività di vita quotidiana: molti soggetti, infatti, mostrano un marcato isolamento sociale ed uno stentato avanzamento nella carriera accademica o lavorativa (APA, 2014).
Il trattamento d’elezione è quello integrato, che deve avvalersi di:
– terapia psicofarmacologica: gli antidepressivi sono maggiormente utilizzati;
– psicoterapia ad orientamento comportamentale, sistemico-relazionale o analitico, a seconda dei casi (La Barbera & Varia, 2003).
Bulimia Nervosa
È un disturbo caratterizzato da episodi in cui il soggetto mangia, in un discreto periodo di tempo (entro 2 ore), un’eccessiva quantità di cibo; tali episodi sono seguiti da comportamenti compensatori atti ad evitare l’aumento di peso (vomito autoindotto, ricorso a diuretici o lassativi).
La bulimia nervosa può insorgere durante l’adolescenza o la giovane età adulta, più raramente in pubertà o dopo i 40 anni (APA, 2014).
La corrente psicoanalitica vede la crisi bulimica come una difesa utilizzata dal soggetto per difendersi da relazioni conflittuali.
Un orientamento più recente considera la bulimia una manifestazione della predisposizione all’utilizzo di sostanze (La Barbera & Varia, 2003).
Il DSM V distingue la bulimia con condotte di eliminazione e senza condotte di eliminazione (APA, 2014).
I principali fattori di rischio possono essere raggruppati in tre categorie:
– temperamentali: bassa autostima, sintomi depressivi, disturbo da ansia sociale o eccessiva ansia insorti in infanzia sono associati ad un elevato rischio di sviluppare la bulimia nervosa;
– ambientali: soggetti che hanno subìto abusi fisici o sessuali sono esposti ad un alto rischio di sviluppare la patologia;
– genetici: l’insorgenza della bulimia nervosa può correlare con obesità infantile e/o una precoce maturità puberale. Esiste anche una certa vulnerabilità genetica che può intervenire sull’insorgenza del disturbo (APA, 2014).
Le alterazioni funzionali possono essere poste su un continuum che va da forme ben compensate ad alterazioni marcate dell’adattamento sociale, familiare e lavorativo (La Barbera & Varia, 2003).
Anche in questo caso, è possibile ottenere risultati soddisfacenti mediante il trattamento integrato che deve combinare:
– terapia psicofarmacologica: triciclici e serotoninergici sono i farmaci più adoperati;
– psicoterapia: trattamento d’elezione, in questo caso, è quello ad orientamento cognitivo-comportamentale.Binge-Eating Disorder
Il Binge-Eating Disorder (d’ora in poi BED) consiste nel mangiare in un breve periodo di tempo (entro 2 ore) quantità di cibo che normalmente non possono essere ingerite nell’arco di tempo in questione. Il soggetto, inoltre, mangia molto più rapidamente del normale fino a sentirsi spiacevolmente pieno, ingerisce elevate quantità di cibo pur non percependo il senso della fame, mangia da solo per il senso di imbarazzo che deriva dal comportamento alimentare cui segue un senso di colpevolezza, disgusto e depressione.
All’interno di tale condizione psicogena il cibo si configura ed è utilizzato come regolatore emotivo a fronte dell’incapacità di riconoscere e gestire le proprie emozioni, in particolare quelle negative.
Tutt’oggi poco è noto circa l’insorgenza o l’età di esordio del disturbo.
Il disturbo può insorgere in infanzia, associato ad obesità o aumento di peso, ma è comune l’insorgenza anche negli adolescenti, nei giovani adulti ed in tarda età adulta (APA, 2014).
L’insorgenza del BED può risentire di influenze genetiche.
Il BED può essere associato a numerose conseguenze funzionali che includono disturbi nella regolazione del ruolo sociale, una compromissione della salute legata alla qualità ed alla soddisfazione della vita, sviluppo dell’obesità e rischio di aumento di peso.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)