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Tossicodipendenza e sofferenza familiare

Tossicodipendenza e sofferenza familiare

Tossicodipendenza e sofferenza familiare

Dr Quirino Zangrilli



Il terapista, in ragione del suo lavoro, è in contatto continuo con la sofferenza umana e l’osservatorio privilegiato costituito dalle sedute individuali (tanto più profondo quanto più protratto è il tempo di seduta) gli consente di raccogliere ciò che di più intimo e vero alberga nell’animo umano.

Nel corso di una interazione così profonda progressivamente le bugie, le manipolazioni, i camuffamenti, le razionalizzazioni cedono il passo ad associazioni mentali via via più sincere e vicine al dato realmente presente nella parte più ricca, energeticamente potente della nostra personalità: l’inconscio.

Se si potesse misurare la distanza tra ciò che effettivamente l’essere umano vive da un punto di vista psichico ed emozionale e ciò che racconta o crede di vivere, saremmo senz’altro costretti a ricorrere agli anni-luce.

Uno dei problemi sociali che maggiormente è soggetto a fenomeni di massa di diniego, rimozione o deformazione è senz’altro quello della tossicodipendenza.

Ed al contempo questa drammatica realtà trascina con sè un grande bagaglio di sofferenza per il tossicodipendente e per la sua famiglia.


In un articolo dedicato alla divulgazione non ci si può esimere da approssimazioni e da cesure espositive.

Innanzitutto vorrei ricordare una cosa elementare: al di là di una piccola percentuale di casi in cui nella condotta tossicomaniaca si reperisca l’assenza di una conflittualità psichica rilevante, il tossicodipendente è un malato come un altro: dovremmo dunque sforzarci di associarlo mentalmente a qualsiasi altro malato portatore di una affezione somatica grave potenzialmente mortale (il cardiopatico grave, il malato neoplastico, per esempio, verso i quali non proviamo difficoltà alcuna a nutrire spontanei ed intensi sentimenti di pietas).

Questa affermazione che potrebbe essere ritenuta addirittura pleonastica tanto appare ovvia, in genere suscita vibranti dissensi proprio da parte dei tossicodipendenti, i quali, in ragione dello smisurato senso di onnipotenza che caratterizza la loro struttura di personalità ed impedisce di percepire il reale pericolo connesso con l’uso del farmaco, tendono ad ammantare, per razionalizzazione difensiva, l’intenso e coatto bisogno inconscio, con la rivendicazione di una vita diversa, eroica, protesa verso l’infinito, staccata con disprezzo dalle bassezze della quotidianità borghese.

Ho ormai preso l’abitudine automatica di tirare un sospiro di sollievo quando ascolto un sincero “Dottore, mi aiuti” da parte del tossicodipendente. Il malato che richiede aiuto si situa già nella dimensione avanzata di colui che sta già tentando dentro di sé di arginare il male, ne percepisce la pericolosità, ed ha maturato quell’ovvia considerazione, innata nei soggetti immuni dall’appetenza alle droghe, che non vi può essere libertà alcuna in presenza del bisogno coatto. I secondi a dolersi di tale ovvia considerazione sono le persone costrette dalla propria paura ed aggressività inconscia ad eliminare totalmente qualsiasi pur lontana possibilità di comunanza tra sé e l’Altro, il Delinquente, il Deviante, un po’ come qualche decennio fa si faceva comunemente con i malati di mente.

Ma il tossicodipendente è un malato particolare: uno dei segni caratteristici della sua “malattia” si fonda sull’intensa appetenza psichica alla droga; è infatti ormai fuor di dubbio, per chi abbia una pur minima esperienza clinica, che la cosiddetta “sindrome da astinenza”, tanto drammatizzata in passato, dal punto di vista dei disturbi strettamente somatici non ha nulla di particolarmente imponente e preoccupante, è di pronta risoluzione, con presidi farmacologici addirittura banali.

Il problema centrale è che nessuno finora è stato disposto a formulare l’ovvia domanda: ”Perché esiste questa appetenza psichica?”. La risposta, anche se può apparire sconcertante, è che questi soggetti hanno un reale bisogno di quella sostanza farmacologica socialmente denominata “droga”.

Ne hanno bisogno perché placa transitoriamente l’intensa angoscia e l’intollerabile conflittualità interna che li agita.

 

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

 

http://www.psicoanalisi.it/osservatorio/2265

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)