Dipendenza da web, nell'era 3.0 il 32% dei giovani passa 4 ore al giorno online
Dipendenza da web, nell'era 3.0 il 32% dei giovani passa 4 ore al giorno online
A sostenerlo l'ultima ricerca dell'Associazione Nazionale Di.Te. che ha intervistato oltre 23mila giovani. Più del 17% del campione resta connesso tra le 7 e le 10 ore
di ANNA RITA CILLISCONNESSI più ore al giorno. Troppe. Per usare le parole di Daniele Grassucci, co-fondatore del portale Skuola.net: "Non è possibile tornare indietro, ma la cosa che possiamo fare è utilizzare gli strumenti tecnologici con una consapevolezza diversa cominciando anche a monitorare quelli che sono gli effetti di un uso non regolamentato ed educato di questi mezzi e riportarli in un alveo corretto. Come accade nel mondo analogico, dove si insegnano ai figli a guardare ai pericoli con le attenzioni del caso, così si dovrebbe fare anche nel mondo digitale". La sua non è una dichiarazione estemporanea ma arriva durante la presentazione dell’ultima ricerca fatta dall’associazione nazionale Di.Te, che si occupa di tecno-dipendenze, realizzate con il supporto del portale per studenti (di cui Grassucci è anche direttore). Un lavoro spalmato su 23.166 giovani (oltre 9 mila i maschi, quasi 14 mila le ragazze) tra gli 11 e i 26 anni, che spalanca le finestre sull’utilizzo che ne fanno gli under-30 delle nuove tecnologie, ripercussioni sulla vita sociale e personale incluse.
• IPERCONNESSI
Se da una parte non è una novità che i ragazzi – ma anche molti adulti – vivano iperconnessi, dall'altra sembrano ancora poco fruttuosi gli avvertimenti, i moniti e i consigli fin qui elargiti per arrivare a un uso consapevole di smartphone, tablet pc e altro. Almeno se si prendono come riferimento i numeri di questo lavoro presentato a poche ore dalla "Seconda giornata sulle dipedenze tecnologiche" che si apre a Roma (Auditorium Massimo) sabato mattina e alla quale parteciperanno, tra gli altri, oltre a Giuseppe Lavenia, psicoterapeuta e presidente dell'Associazione nazionale Di.Te, lo psicanalista Massimo Recalcati e Federico Tonioni, da anni responsabile dell’Ambulatorio sulle dipendenze da sostanze e comportamentali del romano policlinico Gemelli.
• I NUMERI
I ragazzi, dati alla mano sono iperconnessi, soprattutto in alcune fasce di età. In media, rivela la ricerca dell'associazione tra gli 11 e i 26 anni spendono online tra le 4 e le 6 ore il 32,5% degli intervistati. Più del 17% del campione resta connesso tra le 7 e le 10 ore. Supera le 10 ore quasi il 13% degli intervistati. Entrando nel dettaglio si nota che dagli 11 ai 14 anni circa il 12% delle femmine e il 10% dei maschi dichiarano di passare più di 10 ore al giorno online, la percentuale sale rispettivamente al 35% e al 20% intorno ai 26 anni. In tutte le fasce di età indagate, invece, emerge che controllare lo smartphone con una frequenza di 10 minuti è l'esigenza di circa il 40% dei ragazzi. Dichiara di farlo il 40% delle femmine e il 27,6% dei maschi tra gli 11 e i 14 anni, il 45,4% delle ragazze e il 38, 8% dei ragazzi tra i 15 e i 17 anni, il 46,8% delle giovani e il 38,1% dei loro coetanei dell'altro sesso tra i 18 e i 20 anni. Dai 21 ai 26, invece, iniziano a guardarlo quasi nel 30% dei casi, sia maschi sia femmine, con una frequenza intorno ai 30minuti.
• SEMPRE PIU' DISTRATTI
Tempo speso online ma a discapito della capacità di attenzione, che per gli esperti nel frattempo è drasticamente diminuita. Se fino a qualche anno fa durava anche più di 20 minuti, "oggi potremmo paragonarla a quelle di un pesce rosso, che riesce a stare concentrato per 9 secondi", commenta Lavenia. Con un costo sulla vita di relazione: "Questi comportamenti, in alcuni casi compulsivi e che potrebbero evidenziare un ipercontrollo oltre che un'iperconnesione, hanno un prezzo elevatissimo: aumentano la distanza relazionale fra noi e gli altri.
• VITE ON LINE
La vita offline non è uguale a quella online: nella prima si utilizzano tutti i sensi, si attivano meccanismi psicofisici diversi", rimarca Lavenia. Ma non è tutto: "Anche la capacità di provare sentimenti ne risente. Sì, perché emozioni e sentimento non sono la stessa cosa. La prima è frutto di un momento, mentre il secondo richiede tempo, intuito, capacità di coltivare la relazione e di farla crescere, aggiunge Grassucci "la dimensione digitale non è più trascurabile né etichettabile come solo virtuale: questo concetto, infatti, rimanda a una realtà che non esiste o che è in potenza. Ma, invece, si tratta di una dimensione reale e che ha sue precise caratteristiche nell'ambiente digitale, ha una sua identità e sue modalità di interazione. Dunque, va a modificare le capacità di espressione personale, di relazione, di ascolto di sé e dell'altro. Il problema oggi è prendere consapevolezza che la tecnologia ha le sue dimensioni pervasive che ci hanno portato de facto ad avere una sfera digitale nella quale l'essere umano è immerso per un numero di ore significativo, come si evince dai dati, ed è quasi paragonabile a quelle in cui è immerso nella realtà analogica sensoriale".
• QUELLO CHE I FIGLI NON DICONO
Ma quanto raccontano i ragazzi ai loro genitori di quello che fanno in rete? In media - esce dallo studio - dichiarano di non farlo mai il 18,5% delle ragazze e il 20% dei ragazzi minorenni tra gli 11 e 17 anni. Nella stessa fascia di età, lo fa “ogni tanto” il 30% del campione, mentre solo il 20% coinvolge raramente mamma e papà su quanto fa sui device. "Questa è una ricerca che abbiamo condotto insieme a Skuola.net su un ampio campione di ragazzi, ma nell'indagine precedente in cui abbiamo intervistato 1.000 adulti tra i 28 e i 55 anni e 1.000 giovani tra i 14 e i 20 anni abbiamo rilevato che nel 38% dei casi la risposta dei genitori ai figli che chiedono loro di parlare è “un attimo”. Spesso, rispondono così perché sono loro i primi a essere affaccendati sul loro smartphone", riprende Lavenia per il quale «si dovrebbe iniziare a riparare a questi momenti che vengono percepiti dai figli come disconferme, disvalore. I ragazzi non si sentono importanti per i genitori e questo li fa chiudere in se stessi. La condivisione, così, verrà sempre più a mancare. Si deve stabilire un momento in famiglia in cui tutti i telefoni e tutti gli strumenti digitali che possono avere una connessione rimangono spenti o silenziosi senza vibrazioni o distrazioni di sorta. In quel tempo si parla, si discute, ci si confronta. Un'altra cosa a cui noi dell'Associazione Di.Te. ci stiamo interessando da tempo sono i Disconnect Day, momenti nelle città in cui per qualche ora le famiglie depositano il cellulare e fanno attività che li riportino a sensazioni legate al corpo e all'ascolto degli altri. Oggi, quest'aspetto è pressochè assente in alcune realtà». Se poi si chiede ai ragazzi tra gli 11 e i 17 anni se i genitori controllano le loro attività online, quasi il 50% di loro dice di no. "L'avvento del digitale ha avuto un'evoluzione molto veloce, bisognerebbe lavorare anche sulla consapevolezza di quelli che sono i rischi di un uso non equilibrato. Sia per i ragazzi sia per gli adulti", avverte Daniele Grassucci.
• CYBERBULLISMO
La ricerca ha messo in luce anche un altro dato sul quale riflettere: quasi il 15% del campione ha detto che riceve di tanto in tanto commenti offensivi sulle chat o sui social network, e la stessa percentuale di giovani risponde pan per focaccia a queste vessazioni. Più del 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, però, non parla ai propri genitori di queste esperienze spiacevoli. Scende di due e quattro punti la percentuale, se si va a leggere i dati relativi rispettivamente ai giovani che hanno tra i 15 e i 17 anni e tra quelli compresi tra i 18 e i 20 anni.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2018/11/09/news/nell_era_3_0_relazioni_e_cambiamenti_dei_giovani_ancora_troppo_iperconnessi-211195832/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)