GAP, Palmieri: "Non si tratta di perditempo, ma di persone ammalate"
gioco d'azzardo dipendenza malattia psichica giovani alcolismo
di ROBERTO CALPISTA
«Non sono fannulloni, irresponsabili, nullafacenti. Non guardateli con disprezzo quando si aggirano presso le sale scommesse. Sono persone malate che vanno aiutate, non isolate, non abbandonate per non accrescere la loro emarginazione, per non aggravare il disturbo di cui soffrono». È quasi un appello quello che lancia Antonella Palmieri, medico psichiatra e psicoanalista.
Di cosa soffrono?
È un disturbo del controllo degli impulsi, come la cleptomania o come quello che assilla i piromani. Un disturbo serio.
Quando il gioco diventa malattia?
C'è il gioco «normale» di tipo sociale, la schedina, il «gratta e vinci» acquistato occasionalmente per tentare la fortuna. C'è poi il «gioco d'azzardo patologico» che colpisce circa il 3 per cento della popolazione e che è una vera malattia in continuo aumento che si mostra in età adolescenziale, ma ha picchi tra i 40-50 anni.
Un disturbo in aumento?
Certo le persone a rischio hanno poi troppe sollecitazioni, troppe occasioni. È un po' come per l'alcolismo tra i ragazzi: l'happy hours sta facendo disastri.
Che accade nel giocatore patologico? Non è capace di frenarsi, ha la continua necessità di giocare, non pensa ad altro. E nemmeno la vincita interessa tanto, quanto il senso di onnipotenza.
E se poi vince davvero?
Continua a giocare e dilapida anche questi soldi. Spesso perde il lavoro, la famiglia lo abbandona. Per chi soffre di gioco d'azzardo patologico non esiste altro. Non c'è una dipendenza, ma un impulso, un'ossessione.
L'ammalato si accorge del suo stato?
No, si rende conto dello sperpero di denaro, ma non può farne a meno, ed è convinto di poter vincere e ricominciare a giocare. Anche l'intervento dello specialista - che è sempre necessario - è richiesto sempre da un familiare.
Ci sono cure?
I soggetti vanno sempre inquadrati dal punto di vista clinico, perchè spesso presentano altri disturbi. La terapia non è facile, ci si affida ai farmaci, anche antidepressivi, sebbene resta d'elezione un approccio psicoterapeutico.