Costruire la motivazione attraverso il colloquio
COSTRUIRE LA MOTIVAZIONE ATTRAVERSO IL COLLOQUIO
Miller e Rollnick definiscono “principi” del Colloquio Motivazionale alcuni punti ritenuti essenziali per lo sviluppo di tale stile di counselling.
Manifestare empatia
La empatia è il clima relazionale del CM. Empatia non significa consenso, approvazione o
accordo sul comportamento d el cliente, ma accurata comprensione delle condizioni che lo
caratterizzano e lo determinano. Significa comprendere le ragioni del cliente, anche se
queste non sono condivise né condivisibili; il concetto di non-giudizio è parte integrante
dello stile empatico. La relazione empatica è dunque centrata sul fatto cognitivo di capire,
ma contiene anche un significato di accoglienza calda e non possessiva. In una parola,
empatia significa accettazione, della persone come è e nello stadio del cambiamento in cui
si trova. Nella relazione empatica il professionista ha una rappresentazione interna
positiva del cliente, e la manifesta, lascia che questa impronti di sé la relazione.
Costruire una relazione empatica con persone dal comportamento talvolta non adama
ntino può essere difficile o impossibile se l’operatore non riesce ad interpretare tale
comportamento come il compromesso migliore che il cliente abbia potuto produrre nelle
condizioni date. Più pragmaticamente, secondo una visione nettamente comportamentista,
si sviluppa empatia se si pratica ascolto riflessivo.
A questo punto dedicheremo maggiore attenzione trattandone in dettaglio più oltre.
Evitare discussioni
Il secondo “principio” (Evitare discussioni) è rispondente all’idea secondo cui se il cliente è
ingaggiato in una controversia in cui il suo interlocutore prende decisamente la posizione
del cambiamento, egli assume quella contraria, per il non-cambiamento. E’ inoltre evidente che questa posizione è negativa rispetto alla generazione di empatia.
Aggirare e utilizzare le resistenze
Il terzo “principio” (Aggirare e utilizzare le resistenze) corrisponde a due idee rispetto alla
resistenza. La prima idea è che contrastare direttamente e frontalmente una resistenza
non sia una buona strategia, perché finisce per rafforzare la resistenza, e in ogni caso
costringe il cliente a difenderla dall’attacco dell’operatore; da qui il pensiero che aggirarla è
meglio che scontrarsi con essa. La seconda idea è che la resistenza non è solo e
necessariamente un che di negativo, ma può fornire all’operatore l’occasione di aiutare il
cliente a fare passi verso il cambiamento, proprio partendo dalle sue resistenze. La visione del CM rispetto alla resistenza è comunque che una resistenza bassa è la condizione affinché il cambiamento proceda. Al contrario, una resistenza tangibile mette in crisi processi di cambiamento anche avanzati (il granello di sabbia che inceppa un meccanismo delicato). Quindi, nella strategia del CM, tenere basse le resistenze è comunque il primo obiettivo da conseguire (1).
Lavorare sulla frattura interiore
Lavorare sulla frattura interiore è il quarto “principio”. Si è accennato in precedenza alla
frattura interiore come ‘motore’ del processo del cambiamento. La percezione, avvertita
dolorosamente, del contrasto tra come si è, si sta, ci si vede, e come si potrebbe/vorrebbe/dovrebbe essere, stare, vedersi,
è indubbiamente la spinta prima al
cambiamento. Senza tale sentimento non esiste pulsione a cambiare. Da questo è stata
costruita la visione secondo cui il cambiamento procede dal malessere avvertito, e tanto
maggiore il malessere tanto maggiore, si assume, sarebbe la spinta al cambiamento.
Questa visione ha dato origine alla tesi secondo cui per cambiare occorre “toccare il fondo” (‘hit the bottom’).
Noi abbiamo sviluppato, anche sulla base delle risultanze di studi con uno strumento psicometrico che misura, tra l’altro,
anche il grado di frattura interiore
che tale costrutto è correlato con la spinta al cambiamento fino ad un certo grado, oltre il
quale invece la correlazione non esiste più. Questo corrisponde al razionale clinico
secondo cui un soggetto che avverte la propria frattura come enorme, sente anche che il
cambiamento è un compito troppo gravoso, fuori portata. In effetti toccare il fondo
generalmente non è l’origine di una risalita, ma semplicemente la fine di una discesa, e, a
nostro parere, spingere una persona a toccare il fondo affinché possa poi rinascere è una
strategia sciagurata, che è totalmente incompatibile con la visione e la pratica del CM.
Lavorare sulla FI, da questo punto di vista, significa allora favorirne lo sviluppo se è troppo
bassa, diminuirne gli effetti contrari al cambiamento se è eccessiva (in riferimento alla
dipendenza da droghe, questa è la condizione tipica di soggetti che siano ricaduti dopo
percorsi di recupero, magari multipli, e che si trovino in Precontemplazione, non
riconoscano la necessità di cambiare, perché non ritengono che tale obiettivo sia alla loro
portata).
Le strategie per lavorare sulla FI sono quelli con cui si aiuta il cliente ad esaminare la
propria situazione, ad enucleare i problemi che la affliggono, a rappresentarsi la possibile
evoluzione negativa (“esaminare il peggio”) del proprio stato, a rappresentarsi, per contro,
il futuro possibile una volta superato il problema, a ragionare sul proprio sistema di ideali.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://soggiornoproposta.org/files/documenti/colloquiomotivazionale.pdf
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)