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Dipendenza e contro dipendenza: due facce della stessa medaglia

Dipendenza e contro dipendenza: due facce della stessa medaglia

Dipendenza e contro dipendenza: due facce della stessa medaglia

la dipendenza e la contro dipendenza che apparentemente sembrano opposte, si rivelano intimamente collegate, come due modi per difendersi dall'abbandono.

Dr. Mariateresa Di Taranto

La dipendenza tra mamma e bambino

L’essere umano è per alcuni aspetti, intrinsecamente legato all’altro in una prima forma di dipendenza: fin dalla nascita il bambino è in relazione alla madre, che percepisce nei primi mesi di vita come un’estensione del proprio corpo e del proprio sé. Solo successivamente, dopo diversi mesi, impara a distinguere il sé dal non sé, a partire dal riconoscimento di quanto è proprio, come il suo corpo e di quanto è dell’altro, come la madre, o dell’ambiente esterno.

La prima importante distinzione che il bambino apprende è quella tra sé e la madre, che dall’essere considerata parte di sé, comincia ad essere rappresentata come altro e di conseguenza situata fuori da lui, separata.

In un certo senso come osservava Winnicot il bambino non esiste senza la madre, in quanto data l’impossibilità per lo stesso di provvedere ai suoi stessi bisogni, senza le cure materne sarebbe destinato a morire. Tuttavia, la madre, oltre al nutrimento, alla protezione e all’accudimento, fornisce al figlio riconoscimento, cioè gli consente gradualmente di percepirsi come soggetto e accoglie dentro di sé i suoi bisogni, provvedendo al soddisfacimento degli stessi.

Inoltre, contiene emozioni e vissuti quali rabbia, frustrazione, paura, fragilità del bambino, causata da un apparato percettivo e sensitivo estremamente sensibile agli stimoli visivi e uditivi provenienti dall’ambiente circostante, restituendoglieli bonificati e quindi sopportabili per lui. Infatti, soprattutto nei primi mesi di vita, il bambino, in virtù della propria sensibilità corporea, percettiva ed emozionale, vive gli stimoli e le sollecitazioni provenienti dal suo interno e dall’esterno con grande intensità, un’intensità che mediante la sua forza in rapporto alla sensibilità dell’infante può rivelarsi violenta.

Il bambino non è in grado di pensarsi e di percepirsi come essere umano e tale processo viene favorito dalla madre, la quale pone le basi per lo strutturarsi del sé del proprio figlio e poi successivamente, della personalità e di tutte le capacità emotive e cognitive di quest’ultimo.

Attraverso l’amore, il calore, la dedizione, la sicurezza, la madre fornisce al bambino una stabile rappresentazione di sé, dell’altro e del legame, dando un senso al suo esistere. Se invece la madre avverte al suo interno un vissuto di inquietudine, ansia, insofferenza, l’infante può ritrovarsi travolto da tali esperienze interne materne che gli ritornano come qualcosa di intollerabile ed incontenibile.

La madre nel relazionarsi al proprio figlio, non è chiamata solo all’accudimento, ma anche al saper pensare ed amare, nello specifico, pensarlo ed amarlo.

Tale relazione è per il bambino un imprescindibile appagamento, un’illimitata possibilità di ricevere il tutto che la madre è in grado di offrirgli, a partire dal soddisfacimento dei bisogni primari, fino al calore, alla vicinanza emotiva, alla sicurezza. Tale relazione si inserisce in un’assoluta dipendenza del bambino dalla madre, non solo per l’impossibilità del primo di soddisfare i propri bisogni autonomamente e sostenersi da sé, ma anche perché non contempla la reciprocità.

La dipendenza in un certo senso è quindi l’unica condizione possibile che garantisce al bambino la sopravvivenza e lo sviluppo psico-fisico adeguato. Successivamente, negli anni, il bambino comincia ad acquisire gradualmente i requisiti che rendono possibile la separazione dalla madre e più in generale dai genitori, accostandosi ad una sempre maggiore autonomia.

Quali sono i rapporti con l'altro?

L’altro, in genere la madre, essendo colui che si occupa del bambino, che risponde alle sue urla e ai suoi bisogni offrendogli nutrimento, conforto, calore, lo introduce nella dimensione diadica. Lo introduce nel legame, ossia nel rapporto con l’altro, che si costituisce come un vincolo affettivo e al contempo una risorsa; come una legatura della propria persona ad un’altra.

L’altro viene sin da subito percepito e vissuto come naturalmente predisposto a nutrire la propria individualità, come colui che è indispensabile per rispondere ai propri bisogni e donare amore, sicurezza, apprezzamento. L’altro è vissuto come lo specchio nel quale si può riflettere la propria esistenza soggettiva.

Questo può nascondere due lati oscuri. Il primo, sul versante della dipendenza, rivela l’altro come un essere che in virtù della propria importanza strutturale nel donare amore, sicurezza, conforto, si manifesta come assolutamente necessario in tutto, introducendo una minaccia alla vita del soggetto in caso della sua assenza. L’altro è colui che non può mancare, da cui dipende la sicurezza del soggetto.

Il secondo lato oscuro, che si colloca sul versante della contro dipendenza, rivela l’altro come persona che mette in scacco l’autonomia del soggetto e attraverso il suo esserci gli comunica che non ci si può bastare da soli. Al contempo può essere vissuto come colui che non lascia vivere, che non lascia essere, che ha il potere di riportarlo a quella penosa condizione di dipendenza che vuole attentare la sicurezza della propria condizione di autonomia e di libertà.

Mentre il dipendente, quindi, cercherà di rinsaldare ulteriormente il suo legame con l’altro, il contro dipendente cercherà di svincolarvisi, ribellandosi ad esso, nel tentativo di ripristinare una logica che sostiene che può fare ed essere senza l’altro.

Il passaggio all'età adulta

Una volta divenuto adulto, l’individuo tendenzialmente ha raggiunto un’autonomia sufficiente per provvedere ai propri bisogni, inserirsi nella società, condurre la propria vita disponendo delle capacità di governarsi e reggersi da sé. Tuttavia, tale condizione di autosufficienza, tipica dell’adulto, non implica un totale svincolo dall’altro, che al di là di tutto resta una fonte essenziale di amore, affettività, condivisione, riconoscimento, validazione della propria immagine, sostegno emotivo.

Se il bambino ha ricevuto e percepito un accudimento adeguato e rispondente ai propri bisogni fisiologici, emotivi, sociali e psicologici, che si è tradotto in un legame affettivo che ha saputo alternare alla presenza amorevole, l’assenza, come condizione necessaria per lo svilupparsi di una propria individualità, tendenzialmente si svilupperà come adulto in grado di provvedere ai propri bisogni autonomamente.

Al tempo stesso, riuscirà a riferirsi all’altro e creare con questi un legame all’interno del quale coinvolgersi ma non al punto di annullarsi; amare e farsi amare, vivendo l’amore come un arricchimento e non come l’essenzialità della vita; fidarsi ed affidarsi, senza rifuggire dall’altro o consegnarglisi totalmente e senza resti; saper stare nel rapporto con un giusto coinvolgimento, che unisca all’amore per l’altro, quello per sé stesso, non vivendo il legame come un tutto o un niente.

In tali casi, generalmente l’individuo saprà collocarsi in una giusta posizione tra dipendenza ed indipendenza nel legame, trovando quindi la distanza confacente dall’altro: non troppo vicino da perdere sé stesso, annullandosi nell’intensità e totalità del legame; non troppo lontano da rimanervi inesorabilmente estraneo, irrimediabilmente disunito, intimamente separato.

La dipendenza affettiva

La dipendenza affettiva è un modo di stare nel legame, percepirlo e viverlo come qualcosa di indispensabile e totalizzante; l’individuo dipendente si lega all’altro e non tollera il distacco, in quanto lo percepisce, in maniera più o meno consapevole, come un attentato al rapporto o una minaccia di separazione angosciante.

Sono soprattutto le donne, ma non solo, a sviluppare una dipendenza affettiva per differenti ragioni: una maggior emotività, una disposizione a sentirsi o pensarsi mancanti senza l’altro, una propensione a vedere o depositare nell’altro ciò di cui si sentono prive.

Spesso, sono attratte da uomini narcisisti, sfuggenti, che all’inizio attraverso la presenza e i gesti promettono loro un amore idilliaco e poi si dileguano, in modo palese o silenzioso, sottraendosi subito al legame, o restandovi e disinvestendo sempre più. Questi uomini sono spesso contro dipendenti; rifuggono dal legame o vi restano ai bordi, senza mai addentrarsi veramente.

Per approfondire:Come riconoscere un narcisista

La contro-dipendenza

La dipendenza e la contro dipendenza sembrano due modi opposti di vivere il legame, due modi assolutamente contrastanti e distanti di percepirsi con e senza l’altro. Tra esse, che appaiono a prima vista come due risposte estreme e in antitesi, vi è una continuità di fondo, un punto di giuntura che le unisce nella ferita profonda dell’individuo e nella sua fragile radicalità di vivere il legame, considerandolo nel caso della dipendenza così essenziale da non potersene privare, nel caso della contro dipendenza, così alieno e minaccioso da non poterlo sopportare, se non restandovi ai margini.

Vi è tra dipendenza e contro dipendenza quindi, un filo invisibile e altrettanto indissolubile che le lega l’una all’altra e origina sin dai primi legami, nella sola presenza o nella sola assenza, assenza intesa non necessariamente come assoluta deprivazione affettiva, ma anche come un velato distacco emotivo, uno sfondo di indisponibilità e di estraneità rispetto al bambino e al suo mondo interno, alla sua intimità.

Nella storia familiare del dipendente, generalmente ci sono stati i segni del troppo amore o di una stretta molto forte che ha inibito l’espressione della nascente individualità del bambino, oppure di uno sguardo sempre presente, che sono stati interpretati da egli come dei modi per colmare la sua incapacità, vulnerabilità, la sua mancanza sul registro dell’essere. Invece, nella storia familiare del contro dipendente vi è stato un vuoto difficilmente sanabile nato da una sensazione di troppo poco amore, o comunque da una percezione di indisponibilità da parte del genitore, di dare, di esserci.

Il contro dipendente tendenzialmente è un uomo, ma ci sono diverse donne che possono esserlo. Il motivo per cui le donne si legano a uomini contro dipendenti è riconducibile al fatto che essi emanano quella luce che a loro manca, quella sicurezza interna di cui loro si sentono prive, che però è in realtà una difesa dalla percezione che da bambini hanno ricevuto dell’indisponibilità dell’altro, dall’assenza e dalla minaccia dell’abbandono che incombe sul legame.

Il disturbo di personalità dipendente

È necessario distinguere la dipendenza affettiva dal Disturbo dipendente di personalità, che spesso però è concomitante con essa, in quanto il soggetto affetto da tale disturbo, manifesta una necessità eccessiva e pervasiva di essere accudito insieme al timore della separazione, come anche indicato dal DSM V (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali).

Secondo il DSM V il Disturbo dipendente di personalità insorge più o meno entro la prima età adulta e nell’ambito clinico “è stato diagnosticato più frequentemente nelle femmine, sebbene alcuni studi riportino percentuali di prevalenza simili tra maschi e femmine”.

Per diagnosticare ad un soggetto il Disturbo dipendente di personalità, è necessario che questi soddisfi almeno cinque criteri degli otto elencati:

  • difficoltà a prendere decisioni quotidiane senza un’eccessiva quantità di rassicurazione e consigli da parte di altri,
  • bisogno che gli altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita,
  • difficoltà ad esprimere disaccordo rispetto agli altri per la paura di perdere il loro appoggio,
  • difficoltà di avviare progetti o essere autonomo, non riconducibile ad una mancanza di motivazione o energia, ma piuttosto ad una scarsa fiducia nelle proprie capacità,
  • disponibilità ad offrirsi per compiti spiacevoli pur di ottenere il supporto da parte degli altri,
  • sensazione di disagio quando si è soli, dovuta alla difficoltà di prendersi cura di sé,
  • ricerca di una persona con cui intraprendere una relazione in seguito alla rottura di un legame,
  • preoccupazione estrema di essere lasciato a prendersi cura di sé.

Il Disturbo dipendente di personalità e la dipendenza affettiva possono essere strettamente correlati e coesistere nello stesso individuo, infatti, quasi tutti i criteri del DSM V si riferiscono a comportamenti del soggetto in relazione all’altro.

Il soggetto affetto da tale disturbo, infatti, avverte dentro di sé la vitale necessità di relazioni accudenti, nelle quali si mette nella posizione dell’accudito, per poter recuperare la serenità interiore perduta e soprattutto una sicurezza che percepisce come proveniente solo dall’altro. La sua identità si struttura quindi, all’interno di una rappresentazione di sé stesso come di un essere incapace, fragile ed indegno.

(...omisss...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/2696-dipendenza-e-contro-dipendenza-due-facce-della-stessa-medaglia.html

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.cufrad.it)