Le dipendenze? Sono desideri di ricompensa come quelli che avevamo da piccoli
Le dipendenze? Sono desideri di “ricompensa” come quelli che avevamo da piccoli
La dipendenza è un problema della relazione che intratteniamo con un particolare oggetto. Non è tanto la sigaretta, il cellulare, la sostanza o la slot-machine, la causa della dipendenza, quanto la relazione che intratteniamo con ognuno di questi oggetti. Di per sè, infatti, nel corso della vita, le dipendenze migrano, spostandosi su oggetti diversi. Da bambini potevamo essere dipendenti da cose che poi nel tempo di sono mutate e sostituite ad altre: oggi possiamo scoprirci a dipendere dal telefono, dall’iper-connessione, tutte dipendenze adulte, «evolute» e più confacenti all’età in cui viviamo.
Si dibatte molto sull’origine del tratto caratteriale di dipendenza: come mai alcune persone tendono, più di altre, a diventare dipendenti da qualcosa? La questione è controversa; ciò che sembra però trasversale, è la questione affettiva. Non sentiamo la necessità di iper-connetterci se viviamo una relazione profonda e coinvolgente: tenderemo anzi a dimenticarci del nostro oggetto di dipendenza, in quel momento, declassandolo a mero sostituto/surrogato. La questione dell’affettività sembra centrale, quindi; proviamo a darne una spiegazione in termini neuroscientifici.
IL MECCANISMO DI REWARD
Il cervello è progettato, evoluzionisticamente, per ricercare e ripetere ciò che serve al corpo per la sua sopravvivenza. Siamo programmati per nutrirci in modo costante e regolare, per intrattenere rapporti gratificanti e intensi, per cercare il conforto di un ambiente sicuro. Lo sperimentare questi momenti è fondamentale affinchè noi si sopravviva. Ciò che regola questi meccanismi viene definito meccanismo di reward: ogni qualvolta viviamo qualcosa per noi piacevole e utile alla nostra buona sopravvivenza, il cervello rilascia delle sostanze dopanti che ci producono sensazioni di forte benessere.
Inoltre, interviene la memoria che ci rende indimenticabili e sempre presenti nel nostro «registro mentale» queste stesse esperienze, in modo che per noi sia più semplice, in futuro, ricercarle e ricrearle. Questo meccanismo funziona quindi da un lato rendendoci estremamente gratificanti esperienze adatte al nostro sopravvivere (cibo, riproduzione, ricerca di un luogo e di relazioni sicure), dall’altro facendo sì che la nostra memoria le ricordi in modo vivido, così da permetterci di ricercarle in futuro. Tutte le esperienze che ci fanno questo effetto, sono definite “gratificatori”.
GRATIFICATORI
Da bambini viviamo esperienze gratificanti in modo puro: il cibo, le relazioni, il contatto con la natura sono esperienza in grado di produrci fortissime e indimenticabili sensazioni corporee e mentali. Nel tempo, evolviamo e i gratificatori divengono più complessi e variegati.
Nel caso delle problematiche di dipendenza, succede che al posto dei gratificatori «naturali» (quelli che possediamo da bambini, o in uno stato normale di benessere psicofisico), vengano inseriti gratificatori esterni e diversificati, che riescono a produrre impressioni forti e attraenti sul nostro sensorio, coinvolgendo il meccanismo di reward prima citato. Pensiamo per esempio a sostanze come nicotina, cocaina, eroina, ma anche alla gratificazione continua cercata dall’uso dei Social attraverso il cellulare.
Sostituire i gratificatori naturali, con altri gratificatori che coinvolgono il meccanismo di reward (producendo rilascio di sostanze dopanti e attivando la memoria), distorce il sistema stesso, fino a che i gratificatori naturali passano in secondo piano, perdendo di importanza (tant’è che quando siamo assorbiti da una dipendenza verso una sostanza, o verso Internet, il cibo, le relazioni e gli altri gratificatori naturali perdono di importanza e vengono abbandonati pensiamo per esempio al fenomeno degli Hikikomori giapponesi).
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)