Li chiamano Bar bianchi, sono locali alcol free: nati per combattere il binge drinking
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Tendenza analcolica
Li chiamano Bar bianchi, sono locali alcol free: nati per combattere il binge drinking, la moda di bere fino allo sballo, servono il "rucolino" al posto dello spritz.
Centrifugato di rucola, ginger e limonata: all'aperitivo, "rucolino senz'alcol". "Dopo vent'anni d'esperienza ho fatto una scelta: non vendo alcolici, anche se la mia licenza lo consentirebbe". Fabio D'Aguanno, barman, nel 2010 ha aperto l'Indimenticabile, il primo bar bianco (cioè analcolico) di Treviso, patria del prosecco. "Da 7 anni avevo un locale simile qui vicino, poi ho deciso di allargarmi". All'Indimenticabile, gestito in società con lo storico supermercato biologico La Spiga d'Oro, si servono caffè, spremute, ginger, succhi, panini, pizzatte di farro, toast, tramezzini e 6mila libri da sfogliare. E i clienti non sono solo astemi: "Serviamo gente di tutte le età. C'è il professionista, lo studente, l'imbianchino... Qualcuno viene per un caffè, poi va a prendere uno spritz altrove". Il 99 per cento degli esercizi trevigiani vende vino, birra e superalcolici, "ma la Asl dice che i giovani spesso ne abusano -spiega Fabio-. Nel mio piccolo voglio dare un contributo, dimostrare che ci si può divertire anche senza alcol e che un bar come questo può avere successo".
I bar bianchi sono una realtà, ma scovarli fra i circa 172mila locali italiani (dati Fipe - Federazione italiana pubblici esercizi) non è facile. A Trento, dal 2010, li incentiva la legge provinciale n. 19 sulla "tutela dei minori dalle conseguenze legate al consumo di bevande alcoliche". La norma (che fra l'altro ha esteso a tutti gli esercizi pubblici il divieto di vendere alcol ai minori di 18 anni, mentre il codice penale si ferma agli under 16), prevede orari d'apertura più lunghi per i bar bianchi e l'istituzione di un loro albo, ma non è ancora chiaro quanti commercianti abbiano apprezzato la proposta.
A Predazzo il progetto comunale Flair analcolic style, cofinanziato dalla Provincia di Trento, ha varato a giugno un bar analcolico itinerante. Sotto la guida di un barman acrobatico professionista, dieci ragazzi fra i 16 e i 29 anni si sono specializzati in cocktail alcol free da servire alle feste paesane. Merito dell'intuizione di Giovanni Aderenti, consigliere comunale con delega alle Politiche giovanili e docente di agraria: "Ai miei allievi insegno a fare il vino e la birra, non sono un proibizionista -spiega-, però cerco di educarli al bere responsabile".
Una battaglia combattuta fino all'ultimo bicchiere, visto che, secondo l'Istituto superiore di Sanità,il 26 per cento dei trentini è "consumatore di alcol a maggior rischio", ovvero beve abitualmente in quantità elevate o pratica il binge drinking (bere in modo compulsivo fino allo "sballo"). E a confermare la gravità della situazione c'è anche l'esperienza quotidiana di genitori e insegnanti: in Italia gli 11-17enni bevono più che in passato. Soprattutto fuori pasto: nel 2011 è capitato al 54 per cento di loro (contro il 44,4 per cento del 2010, dati Istat), e oltre 3 milioni e 600mila persone sopra gli 11 anni lo fanno almeno una volta a settimana. "In un sondaggio i nostri studenti hanno detto che si divertirebbero anche senz'alcol", racconta Aderenti. Ma le alternative analcoliche restano poche.
In Emilia il Caffè Reggio, aperto nella primavera 2010, ha dato respiro a un intero quartiere. "Qui c'era uno storico problema di consumo di alcol: rovinava la vita delle persone e impediva la fruizione serena degli spazi pubblici", racconta Franco Corradini, assessore alla Coesione e sicurezza sociale del Comune di Reggio Emilia. "Così, nell'ambito di una strategia più ampia di prevenzione, riqualificando la piazza abbiamo voluto un chiosco di analcolici". Oggi è un luogo di ritrovo apprezzato dagli anziani del posto e dagli stranieri, che in questa zona sono quasi il 70 per cento della popolazione. "Ci sono molte famiglie con bambini, organizziamo corsi e attività e nel periodo del Ramadan siamo stati aperti fino a notte per i clienti musulmani", racconta Sandra Canovi della cooperativa sociale Koiné, che gestisce il bar. Intorno ci sono supermercati e locali "normali", "ma siamo così diversi che non c'è concorrenza. Chiediamo solo di non venire a bere alcolici ai nostri tavoli". Nei bar tradizionali i commercianti possono rifiutarsi di servire chi è già alticcio, "ma avendo lavorato in entrambi i contesti riconosco che non vendere alcol elimina in partenza la conflittualità", conclude Sandra.
Altrove, aprire un bar bianco resta una scelta imprenditoriale poco diffusa. Valentino Patussi, medico, coordinatore del Centro regionale alcologico Toscano, nella sua regione nota "un movimento di ricerca delle alternative". E a Greve, Firenze, la
42esima Expo del vino Chianti Classico ha previsto uno stand analcolico all'insegna del divertimento senza "sballo". "Qui ci sono 11mila bar e noi abbiamo 2mila soci, ma non conosco attività analcoliche", dice Antonello Giuffrida, segretario dell'Associazione
esercenti bar di Roma e provincia. Eppure, in altre regioni, chi adotta questa linea c'è. "Noi l'abbiamo fatto per selezionare la clientela", racconta Saverio Zagaria, 29 anni, di Andria (Bt). Sei anni fa ha preso in mano il bar Oberdan, l'attività familiare
aperta dal 1967 che ora serve solo caffè: "Siamo specializzati in gelati, volevamo un ambiente tranquillo", spiega. Sempre ad Andria, nel 2010 è nato il Denny's, un bar bianco e una pizzeria-braceria (dove chi cena può ordinare la birra). "Collaboro
con un'associazione che opera nelle scuole e conosco i pericoli dell'alcol. Pur lavorando nella ristorazione, non avevo mai voluto aprire un bar -racconta Marcello Fusaro, uno dei titolari-. Poi, col mio socio Riccardo Malcangi abbiamo optato per un esercizio analcolico". A Milano il bar Lotto, vicino allo stadio, ha bandito l'alcol da un paio d'anni: "Non volevo cedere alle insistenze dei ragazzini che dicevano ‘se non mi dai da bere tu, vado al supermercato' -spiega Alberto Marinetti, il proprietario-. Ora c'è il cartello ‘non si vendono alcolici'". E gli incassi? "Sono un po' calati. Ma ci abbiamo guadagnato in serenità".
A chi sostiene che il bar bianco è una scelta perdente, l'Indimenticabile di Treviso ribatte coi suoi numeri: "Consumiamo da 3 a 4 chili di caffè al giorno, mentre la media nazionale è un chilo e mezzo". Il Caffè Reggio paga due dipendenti, "ma bisogna considerare che le utenze sono a carico del Comune -osserva Sandra Canovi-. Per far fruttare un locale bianco ci vuole il doppio dell'inventiva". Per Italo Di Cocco, presidente della Fipe di Latina, il bar bianco diventerà commercialmente sostenibile "quando sarà nata la moda dell'analcolico". La sua idea, applicata ai bar tradizionali, è questa: "Non voglio proibire l'alcol, ma per evitare gli abusi è necessario che ci siano proposte analcoliche altrettanto sfiziose, cocktail a base di frutta... Se l'alcol non farà più tendenza, chi offre le alternative migliori ne avrà un ritorno d'immagine e di guadagni".
Ilaria Romano